Venerdì 19 gennaio, a Tecchiena, la Preghiera ecumenica interdiocesana

Sarà la chiesa parrocchiale di Santa Maria del Carmine a Tecchiena di Alatri (via Cavariccio) ad ospitare, venerdì 19 gennaio con inizio alle 20.30, la preghiera ecumenica nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, Ambrogio Spreafico, presiederà la celebrazione, alla quale parteciperanno anche i rappresentanti delle Chiese presenti nel territorio delle due diocesi.In tutto il mondo, come sempre, la Settimana è prevista dal 18 al 25 gennaio perché compresa tra la festa della Cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo. Quest’anno verterà sul tema “Amerai il Signore tuo Dio e il tuo prossimo come te stesso”.

Il vescovo Spreafico ai giovani: «Lasciamoci sorprendere dal Signore per essere luce in questo mondo»

La calligrafia per niente incerta, con lo stampatello ben chiaro nello scrivere a matita “Aiutami Signore e lasciami sorprendere ancora dalle piccole cose”, su uno dei tanti post-it poi deposti nella mangiatoia vuota e alla fine scambiati anonimamente tra tutti i partecipanti, quasi al termine della veglia di preghiera che lunedì 18 dicembre i giovani della diocesi di Anagni-Alatri hanno vissuto in preparazione al Natale, insieme al vescovo Ambrogio Spreafico. E proprio questo lasciarsi sorprendere è stato l’invito finale dell’intervento del vescovo, denso di spunti di riflessione: «Lasciamoci sorprendere dal Signore per essere luce in questo mondo. Cambiare il mondo dipende da ognuno di noi: se cambi te stesso, cambi il mondo in cui vivi e poi tutto il mondo». E sempre dal verbo “sorprendere”, che non a caso da transitivo talvolta diventa anche riflessivo, è partito il vescovo Spreafico per parlare a cuore aperto ai giovani che hanno riempito la chiesa Regina Pacis di Fiuggi, insieme a decine di educatori, sacerdoti e religiose, provenienti da diverse realtà parrocchiali della diocesi:  «Il Natale sorprende, perché il Figlio di Dio nasce senza nessuno, “perché per loro non c’era posto nell’alloggio”. E nasce da una donna giovane, venuta dal paese sconosciuto di Nazareth. Ma come è possibile tutto questo? Come mai è accaduto? Perché Dio sceglie i piccoli, gli umili, perché dal piccolo può nascere qualcosa che poi cambia il mondo. E invece in questo nostro mondo non ci si sorprende più, si fa tutto per abitudine, anche nei giorni prima di Natale con le nevrosi dell’ultimo regalo. E nessuno si sorprende più da questa nascita un po’ strana, misteriosa, inaspettata. Ma cosa cambia nella nostra vita con questa nascita? Certo, Lui era il Figlio di Dio, ma non aveva alcun “potere” all’interno dell’Impero romano; eppure, quando parla cambia la vita di chi lo ascolta, dei discepoli, degli apostoli, delle donne, dei poveri che lo seguivano, perché Lui era la Parola di Dio. E allora anche noi siamo chiamati ad ascoltare il Vangelo, perché crediamo che con la Parola qualcosa cambia anche nella nostra vita, perché il Vangelo ci dà vita, il Vangelo è contro corrente, come questo brano», ha aggiunto Spreafico riprendendo proprio un passo di Luca, declamato poco prima: “E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama”. E qui il vescovo ha rimarcato ai giovani come «la gloria di Dio dipende anche da me, da noi, è la pace sulla terra. Dio si gloria se noi siamo in pace. Invece in questo nostro mondo abbiamo la gloria dei potenti, che consiste solo nella vittoria sul nemico. E così abbiamo un mondo non pacifico, con tante guerre che neppure le conosciamo tutte. La gloria di Dio invece è la pace tra noi: nelle relazioni, nell’ascoltare l’altro, nel costruire un mondo dove vivere insieme con gli altri, non contro gli altri. Ma se non sei in pace, non sei felice: ti manca qualcosa! La guerra è morte sempre e in guerra non c’è mai distinzione tra le vittime. Però noi dobbiamo essere protagonisti di un mondo pacifico, del nostro futuro. E dobbiamo cominciare laddove ci troviamo: a scuola, in famiglia, tra gli amici, al lavoro, ascoltando gli altri e cercando di capirli, non giudicando, andando incontro a chi soffre, a chi si trova nel bisogno. E allora chiediamo al Signore che ci aiuti a trovare la pace, perché Lui ci chiede questo. Ognuno di noi sia protagonista della pace», ha chiuso con questo auspicio e invito il vescovo. La veglia, organizzata dalle Pastorali giovanile e vocazionale della diocesi, coordinate da don Luca Fanfarillo e don Pierluigi Nardi, ha vissuto altri momenti importanti, come l’adorazione silenziosa davanti al Santissimo, esposto sull’altare. O come il suggestivo scambio di post-it tra i partecipanti, cui abbiamo accennato all’inizio, tra un canto e l’altro, il tutto preparato dall’equipe giovani che nei prossimi giorni verrà ufficialmente nominata. E per finire, nei locali sottostanti la chiesa, un bel momento di convivialità, dolce e caldo, di panettoni e cioccolata fumante, offerto dalla comunità dei francescani di Regina Pacis. di Igor Traboni

Il vescovo ai giovani: «Siate luce, non rassegniamoci al buio!»

Sale per insaporire, luce per illuminare: possono sembrare due verbi scontati, sicuramente conseguenziali. Eppure, non lo sono affatto, se coniugati con le riflessioni che il vescovo Ambrogio Spreafico ha offerto nella serata di venerdì 24 novembre a circa duecento ragazzi delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, ritrovatisi presso l’auditorium San Paolo, a Frosinone, ancora una volta insieme per il raduno interdiocesano dei giovani. Partendo dal discorso della montagna  e da quei due inviti “Voi siete sale della terra… voi siete luce del mondo”, il vescovo ha detto ai giovani «che è proprio quello che Gesù chiede a ognuno di noi, perché Lui crede di più in noi di quanto noi crediamo in noi stessi. E soprattutto crediamo poco che il mondo possa cambiare, siamo come rassegnati alla vita. Ma ricordiamoci che il mondo si costruisce insieme, perché se sei solo gli altri ti “mangeranno”.  Ma i prepotenti prima o poi cadranno, come è sempre successo nella storia. Dio abbatte i potenti e innalza gli umili!». Spreafico ha quindi esortato i giovani «ad essere sale della terra, quel sale che dà un sapore vero, come nei piatti della cucina ciociara! Gesù vorrebbe che ognuno di noi desse sapore alla vita degli altri, ma c’è gente insipida, che non sa di niente, non comunica umanità. Sapete perché c’è tanta gente arrabbiata, che manca di rispetto, prepotente? – ha continuato il vescovo calamitando ancor di più l’attenzione dei giovani presenti – Perché è gente senza sapore! Gente che si esalta sfrecciando a 180 all’ora sulla Casilina o con il nuovo smartphone da esibire con gli amici, perché anche questa dell’esibizionismo è un’altra costante dei nostri giorni. Ma questi egoisti non si accorgono che il male lo fanno prima a loro stessi. E la luce serve a farti vedere gli altri, non per esibirti, ma per brillare perché altri brillino in te, e in te vedano la luce di Dio! Ognuno di noi ha dentro l’impronta di Dio: se tu vedi nell’altro questa impronta, allora già cambi. La luce non va nascosta, altrimenti il nostro mondo continuerà a vivere con questa incapacità di vedersi, di guardarsi. Siamo tutti pronti a vedere nell’altro i difetti, ma perché non vediamo il bene? Se ognuno aiutasse gli altri a far vedere il bene, come sarebbe bello il mondo!». Da qui l’invito finale del vescovo Ambrogio: «Scegliete di fare luce e cogliere la luce che c’è negli altri! Proviamo a capire come possiamo essere luce, insieme, illuminandoci insieme. La luce dà speranza, aiuta a camminare, fa vedere gli altri. E gli altri hanno bisogno di luce, di speranza. Non rassegniamoci al buio!». La serata è poi proseguita con i giovani che si sono divisi in vari gruppi, guidati dai sacerdoti presenti e da alcuni giovani più… grandicelli, a seconda del colore dei braccialetti fosforescenti distribuiti poco prima, e insieme hanno elaborato dei pensieri relativi a cosa li fa brillare – questo il tema dell’incontro – e cosa invece li incupisce. Questi pensieri sono stati poi scritti su dei post-it e affissi su un grande pannello. Ed eccoli alcuni dei pensieri messi nero su bianco dai ragazzi, a partire da quello che li incupisce:  paura, delusione, insicurezza, perdita di umanità e contatto con le persone, ansia, mancanza di amore, giudizio degli altri, prepotenza, lamentele, indifferenza, incomprensioni, opinioni. Ed ecco invece ciò che li fa brillare, come hanno doppiamente testimoniato illuminando la sala con i telefonini ad ogni lettura di un post-it che corrispondeva loro: servizio, portare colore, curiosità, sorriso dei bambini, forza del bene agli altri e vedere il loro sorriso brillare, amore per il prossimo, amici, il sorriso degli altri, vedere le persone sorridere e felici anche se io sono triste, empatia, apertura, comunità. I giovani hanno anche preparato nei gruppi, e poi comunicato agli altri, delle “preghiere dei fedeli”, tutte molto profonde, niente affatto scontate, prima di recitare tutti insieme quella che il Padre ci ha insegnato (e molti tenendosi per mano). La serata si è avviata alla conclusione con altri spunti di riflessione offerti da don Francesco Paglia e don Tonino Antonetti  e  con un canto finale. Ma baci, abbracci, sorrisi e risate sono proseguiti anche una volta fuori dall’auditorium, in una notte così illuminata! di Igor Traboni

Mons. Spreafico: «La Trinità ci aiuti ad essere costruttori di pace»

Domenica 29 ottobre il vescovo Ambrogio Spreafico ha celebrato Messa al santuario della Santissima Trinità davanti a moltissimi fedeli, compresi quelli delle “compagnie” arrivati dalla Ciociaria e dalle province limitrofe per il tradizionale saluto alla Santissima. Nel corso dell’omelia, monsignor Spreafico ha innanzitutto sottolineato l’importanza dell’ascolto: «Oggi ascoltiamo troppo poco gli altri, siamo sempre lì che straparliamo. E invece abbiamo bisogno di ascoltare Dio che ci parla. Come facciamo in questo luogo così bello e significativo. Questo è il miracolo della Messa nella casa di Dio, dello stare di fronte all’altare: stiamo zitti, ascoltiamo e quando si parla lo facciamo con gli altri, nella preghiera, nel canto: si crea così quell’armonia che nella vita non c’è! Questo è il segreto della Trinità.  Perché Dio Padre Altissimo ha voluto esser Padre, Figlio e Spirito Santo? Per farci capire che la vita è con gli altri, che non è mai sola la vita. Nessuno di noi è padrone della vita, degli altri, ma siamo chiamati ad essere uomini e donne che creano armonia e pace in un mondo così difficile, violento, che accetta la guerra come se fosse una cosa normale», ha aggiunto il vescovo con un forte richiamo all’attualità: «Abbiamo visto in queste ultime settimane gli attacchi terroristici di Hamas nel sud di Israele, ma questo non è accettabile, non c’è niente da capire. E’ morte, uccisione senza distinzione tra vecchi, bambini, donne, malati. Da qui vogliamo invocare la Trinità perché ci aiuti a essere costruttori di pace, di amore, cominciando da noi stessi, nella vita di ogni giorno, in famiglia, al lavoro nello studio. Mai vedere nell’altro un nemico, perché in ognuno c’è l’immagine di Dio». Ricordiamo che l’ultima celebrazione al santuario, prima della chiusura invernale, è fissata per giovedì 2 novembre, con la commemorazione dei defunti.

L’omelia del vescovo Ambrogio nella Messa a conclusione dell’assemblea pastorale diocesana

XXV Domenica T.O. (anno A) Isaia 55,6-9; Filippesi  1,20c-24.27°; Matteo 20,1-16 Care sorelle e cari fratelli, concludiamo nella nostra Cattedrale l’Assemblea Diocesana che ci ha visto riuniti in questi due giorni. Essere insieme come sorelle e fratelli ci fa gustare la gioia e la bellezza di essere Chiesa, un unico popolo, comunità di comunità, che non vivono per se stessi o nelle cerchia delle proprie abituali frequentazioni, ma che accettano di condividere la loro vita e la loro fede in maniera larga, in una famiglia senza confini ed esclusioni. La tentazione quotidiana infatti è sempre e ovunque quella di costruirsi un mondo a propria immagine o a immagine delle certezze che ognuno di noi si è fatto nel tempo. Ma i tempi cambiano e la Parola di Dio ci chiede di vivere la nostra fede nel tempo in cui siamo accettando di cambiare noi stessi, rispondendo ai segni dei tempi che riusciamo a vedere e a capire, come abbiamo cercato di fare ieri nel nostro dialogare. Il Signore viene di nuovo in mezzo a noi, come fece secondo la parabola, alla ricerca di operai per la sua vigna. Spende tutta una giornata a cercare operai. Dio è instancabile. Ha bisogno di donne e uomini che accolgano la sua chiamata per lavorare per lui e con lui. Così è avvenuto anche nella nostra vigna. Quegli operai sono gente comune, non persone speciali né qualcuno che riceve una chiamata particolare, come possono essere nella Chiesa i sacerdoti o i consacrati e le consacrate. Quindi si parla di noi tutti. Ognuno riceve la chiamata a lavorare nella vigna del Signore, senza esclusioni. Alla fine del giorno trova pure persone a cui nessuno aveva proposto un lavoro, un impegno. Quante gente vive attorno a noi, a cui noi non abbiamo forse mai parlato, a cui non abbiamo mai rivolto l’invito a lavorare con noi nella vigna del Signore. A volte ormai li abbiamo del tutto dimenticati. Pensiamo che non siano interessati! Ma tu ci hai mai parlato, li hai mai ascoltati o solo giudicati ed esclusi? La parabola sottolinea che il Signore non fa neppure distinzione tra chi è arrivato fin dalla prima ora e chi è arrivato al termine della giornata. Questo, cari amici, ci mette tutti alla pari e ci libera dai soliti e abituali giudizi con cui guardiamo gli altri e li giudichiamo secondo i nostri criteri e le nostre preferenze e simpatie, escludendo e includendo come ci piace. L’atteggiamento di quel padrone sorprende, soprattutto quando dà la stessa paga al primo e all’ultimo arrivato. Eppure, non avevano lavorato le stesse ore. Non avremmo anche noi mormorato e considerata quella decisione ingiusta come fecero i primi arrivati? Non mormoriamo anche noi quando cominciamo a fare confronti all’interno delle nostre comunità o della vita quotidiana, pretendendo di avere di più, di essere considerati di più rispetto ad altri, che forse giudichiamo meno generosi e impegnati di noi? Cari amici, il Signore vuole affermare qualcosa di essenziale per tutti, indipendentemente da chi siamo e dal nostro impegno o dal nostro ruolo: ciò che ricevi nella vigna del Signore, nella tua comunità o altrove, è sempre segno della bontà gratuita e della misericordia di Dio. È la grazia che riceviamo ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio e la viviamo. È questa l’unica ricompensa che rende felici, perché ci fa gustare l’amore di Dio, fa vivere, fa crescere, fa vivere insieme come sorelle e fratelli, senza continui confronti e giudizi come avviene spesso anche nelle nostre comunità. Ci potremmo però chiedere: che significa essere operai della vigna? Qual è il nostro lavoro? Che cosa possiamo proporre agli altri? Nel capitolo decimo del Vangelo di Luca Gesù chiamò altri 72 discepoli e li mandò due a due in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Erano misti. Gente normale. Disse loro: “pregate … andate” senza portare troppe cose con voi per non appesantirvi …e “dite” in ogni casa: “Pace a questa casa”. Ecco, cari amici, il lavoro degli operai della vigna: dire pace, essere operai di pace in questo tempo violento e diviso, litigioso e arrogante. Sì, ci manda come “agnelli in mezzo ai lupi”, cioè miti in mezzo alla violenza e alla prepotenza. Ma gli agnelli hanno la forza della Parola di Dio, del Vangelo della pace, dell’amore di Dio e della loro fraternità. Infatti non li mandò da soli, ma due a due, per sostenersi e aiutarsi. Però “la messe è molta, ma gli operai sono pochi”. Non dovremmo allora, come quel padrone della vigna, cercare operai di pace per la vigna del Signore? Allora cerchiamo il Signore nella sua Parola, come ci ha detto il profeta: “Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino. …Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie”. Cari fratelli e sorelle, questo è il tempo in cui cercare il Signore, anzi forse è il tempo in cui farci trovare da lui, che sempre cerca operai per la sua vigna, senza nasconderci dietro noi stessi, le nostre abitudini o i nostri ruoli. Lasciamoci trovare da lui, ascoltando con il cuore la sua parola perché rinnovi la nostra umanità e le nostre comunità. Ne abbiamo bisogno in questo tempo di sofferenza, di violenza e di guerra. Affidiamo al Signore chi soffre, i piccoli e i poveri, gli anziani e i malati, i giovani e le famiglie. Preghiamo in particolare per i migranti e i rifugiati in questa giornata mondiale del migrante e del rifugiato, perché siano accolti e curati. Su tutti si riversi la benedizione di Dio e il suo amore gratuito che siamo chiamati a condividere. Sono contento di dirvi che la Caritas della nostra diocesi accoglierà a Fiuggi una famiglia di profughi provenienti dalla Siria che arriveranno a Fiumicino giovedì 28 grazie ai Corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio. Sono il segno della generosa accoglienza che già tante nostre comunità stanno vivendo verso donne e uomini che sono arrivati nel nostro Paese,