Alatri: il vescovo in visita in ospedale e alla parrocchia della Fiura

Sabato 10 e domenica 18 febbraio il vescovo Ambrogio Spreafico ha fatto visita ad Alatri a due importanti realtà: una, l’ospedale San Benedetto, importante per l’intero territorio diocesano ma anche per quello provinciale, e l’altra – la parrocchia della Fiura – tra le più grandi presenze pastorali della città, con i suoi circa 4.500 abitanti e un territorio che arriva fino ai confini con Veroli e Collepardo. All’ospedale di Alatri il vescovo è stato accolto dal cappellano, don Alessandro Tannous, e con questi ha celebrato Messa al cambio turno delle 14, così da dare la possibilità a più personale possibile, sia medico che paramedico, di partecipare al rito, insieme ai malati che hanno potuto deambulare fino alla cappella ospedaliera. Spreafico, che ha così voluto suggellare le celebrazioni per la Giornata del malato insieme a quella interdiocesana di Fiuggi di domenica 11 febbraio, nel corso dell’omelia ha ricordato l’importanza di farsi prossimi con i malati e i sofferenti. La solitudine per queste persone è ancora più brutta, ha argomentato il vescovo, e tutti noi siamo chiamati a dare del tempo alle persone, a comunicare con gli altri, a non vivere isolati, in tanti “io” che non producono niente e che, anzi, fanno solo intristire le persone, giovani compresi, tutti intenti solo a pigiare sul telefonino, a chattare, senza curarsi del vicino di casa solo, dell’anziano che non ha nessuno che lo vada a visitare. Nella mattinata di domenica 18 febbraio, poi, il vescovo è tornato ad Alatri, nella contrada della Fiura e nella sua parrocchia, dedicata a Santa Maria della Mercede. Anche qui, insieme al sindaco Maurizio Cianfrocca,  è stato accolto da don Alessandro Tannous, il sacerdote che, insieme all’ospedale, porta avanti quest0altro compito pastorale. Originario del Libano, 47 anni, don Alessandro ora è anche cittadino italiano ed è parroco a La Fiura dal 2020, dopo aver servito in precedenza la parrocchia di Collepardo. Il vescovo Spreafico ha celebrato la Messa delle 11 e nel corso dell’omelia ha invitato a rapporti sempre più umani, nel segno della fratellanza e non di quelle critiche che servono solo a distruggere l’altro. «C’è bisogno di recuperare una dimensione sempre più umana e di costruire rapporti di armonia, di simpatia, senza star sempre lì a correre da una parte all’altra». Il vescovo ha benedetto anche gli anelli di una coppia di sposi della contrada, Giselda e Loreto, nel 50° di matrimonio e, al termine della Messa, si è intrattenuto a lungo con i fedeli per scambiare due chiacchiere.

Il vescovo pellegrino a piedi alla Santissima: «Camminiamo insieme»

Oltre duemila persone hanno partecipato, nella mattinata di venerdì 16 febbraio, al pellegrinaggio al santuario della Santissima Trinità, in occasione della festa dell’Apparizione, unico giorno in cui il sacro speco, chiuso da inizio novembre e maggio, riapre ai fedeli. In molti sono saliti a piedi da Vallepietra, guidati dal vescovo Ambrogio Spreafico, per un pellegrinaggio che è iniziato per l’appunto nella chiesa del piccolo borgo, dove il vescovo è stato accolto alle 7 del rettore del santuario e parroco di Vallepietra, monsignor Alberto Ponzi, e dal sindaco Flavio De Santis. «Ci tenevo tanto ad essere qui con voi, a farmi pellegrino con voi – ha detto il vescovo in un breve saluto prima della benedizione ai fedeli già radunati in chiesa – ed essere pellegrini vuol dire proprio questo: imparare a camminare con gli altri nella vita; durante un pellegrinaggio ci aiutiamo, ci sosteniamo; certo, ognuno ha il suo passo, ma nel cammino siamo sempre pronti ad aiutare gli altri. E non si va dove ognuno vuole, ma in questo caso insieme verso la Triniità». E così è stato: un fiume di gente ha quindi preso le mosse dalla bella piazzetta del paese, per inoltrarsi nei vicoli del borgo, quindi sfiorare le ultime case del paese, i campi coltivati, qualche cavallo e un asinello, il piccolo cimitero, un antico molino, zigzagando tra il Simbrivio che qui scorre, prima di gettarsi più a valle nell’Aniene. Così camminando, è stato anche recitato il Rosario, prima dell’ascesa vera e propria al santuario, dove alle 10.30 è stata celebrata la Messa, presieduta da Spreafico e con una decina di sacerdoti provenienti anche da diocesi limitrofe e pure dall’Abruzzo, alla testa di altrettante “compagnie” di fedeli. «E’ bello fare il pellegrinaggio in questo luogo dove veramente c’è il Dio unico in tre persone», ha detto all’inizio il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino. Ringraziamo il Signore che ci aiuta a stringerci attorno all’altare, ad essere una comunità di fratelli e sorelle, anche con la grazia di Dio del silenzio, in un mondo dove le chiacchiere si sprecano». Nel corso dell’omelia, e prendendo spunto dalla lettura di Isaia appena declamata, Spreafico ha fatto riferimento al tempo difficile in cui viviamo, dove anche oggi «ci sono pochi ricchi e tanti poveri, in un mondo profondamente ingiusto. Quanta gente porta dei pesi e noi non ce ne accorgiamo? Gli anziani delle Rsa, i malati, quelli che vivono da soli. Ma abbiamo mai bussato alla porta del vicino che non vediamo da giorni, invece di giudicarlo?». Spreafico ha quindi invitato i presenti a vivere la Trinità «in un mondo che dovrebbe essere di fratelli. E allora, ognuno di noi può costruire un mondo migliore, però finiamola di lamentarci, di svegliarci la mattina e ce l’abbiamo sempre con tutti. No, la mattina diciamo una preghiera, fermiamoci almeno un minuto con il Signore e poi quando usciamo facciamo un sorriso al vicino che magari ci sta poco simpatico. Questi si meraviglierà, ma l’avremo “convertito” ad una nuova umanità». Sul senso del pellegrinaggio , il vescovo è tornato quindi ad esaltarne la bellezza «perché i pellegrini si fermano se c’è uno in difficoltà, si salutano, fanno amicizia. E noi nella fatica non dobbiamo mai dimenticare gli altri. Abbiamo bisogno di quella gentilezza che rende la vita più bella. In questo tempo di guerre, di tante violenze, anche nelle nostre città, noi però non dobbiamo cedere alla paura: affidiamoci a Dio, tenendoci per mano, abbracciandoci. Perché l’amore fa vivere, mentre la solitudine abbrevia la vita. Ognuno di noi deve star bene dove sta, deve essere felice dove si trova, perché non è il posto, ma quello che hai dentro che ti cambia la vita». Spreafico si è avviato a concludere l’omelia, volgendo ancora una volta lo sguardo alla montagna che sovrasta il santuario, rivolgendo un augurio ai presenti, ma anche alle comunità di appartenenza e a quanti saliranno da maggio prossimo al santuario: «La Trinità vorrebbe che fossimo felici così: amandoci l’un l’altro. Chiediamo alla Trinità che ci faccia vivere proprio così». di Igor Traboni

Il vescovo Ambrogio: «La Quaresima un tempo in cui tornare al Signore»

Mercoledì delle Ceneri, quest è il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio Spreafico nella Messa nella Cattedrale di Anagni, 14 febbraio 2024 Sorelle e fratelli,oggi un invito pieno di amore raggiunge anche noi, come coloro che ascoltavano il profetaGioele in un tempo difficile, di guerra, carestie, sofferenza: “Ritornate a me con tutto ilcuore…ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e digrande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”. Davanti al male si pensa di solito chenon si possa far niente o, per lo meno, che non dipende certo da noi se le cose non vanno beneo come noi vorremmo. Così cresce il pessimismo e l’indifferenza, mentre si aspetta che arrivifinalmente qualcuno che aggiusti le cose.Oggi, all’inizio della Quaresima, la parola profetica, una parola che ci aiuta a vedere le coseda un altro punto di vista, ci dice con chiarezza: “tornate” al Signore, perché ci aspetta nellasua misericordia, tenerezza, amore appassionato. Tocca a te, non ad altri. Anzi, tocca a noiinsieme, come assemblea, come comunità. Nella Bibbia questo invito è simile alle prime paroledi Gesù secondo il Vangelo di Marco, che il sacerdote ripeterà mettendo le ceneri sul capo diciascuno: “Convertitevi e credete nel Vangelo”, cioè cambiate voi stessi ascoltando il Signoreche vi parla. E si cambia tornando davanti a Dio, ascoltando la sua Parola. Capite allora il sensoprofondo dell’invito del profeta: tornare al Signore con tutto il cuore, perché così potremocambiare noi stessi, ma insieme, come comunità, come popolo di Dio. Ecco il segreto delcambiamento, che parte da noi stessi per rendere possibile il cambiamento del mondo. Nonriuscirai da solo. Hai bisogno di essere con gli altri, di andare insieme davanti al Signore, comefacciamo oggi.L’ invito è a radunare il popolo, a rendere possibile riunire tutti, dai vecchi ai fanciulli, dailattanti alla famiglia, dai sacerdoti a tutte le genti. L’inizio della Quaresima è una convocazionedella comunità perché, riconoscendo la nostra fragilità e il nostro peccato, possiamo rimettereil Signore al centro della nostra vita personale e comune e ricevere il suo perdono e la suacompassione. Le ceneri, che verranno poste sul nostro capo, ci ricordano proprio la fragilitàdella nostra condizione umana, quella polvere che noi siamo e a cui torneremo. Tuttavia, essaè animata dallo spirito di Dio, che le dà forma, animo, forza. Comprendiamo allora il bisognodel tempo che iniziamo, non un tempo triste, ma un tempo in cui tornare al Signore perricevere quella forza spirituale che potrà sostenere la nostra umanità e renderci sorelle efratelli, comunità in un mondo si cammina da soli, dediti a sé stessi, alla ricerca ansiosa delproprio benessere, prigionieri del nostro io. Il Vangelo ci indica, come ogni anno, i passi da compiere ogni giorno perché in questo tempopossiamo camminare insieme verso la Pasqua di morte e resurrezione del Signore Gesù:elemosina, preghiera, digiuno. Sono passi semplici quanto necessari. Comincia conl’elemosina, non con la preghiera, perché l’attenzione al bisogno dell’altro ti apre a Dio.L’elemosina ti libera dall’ossessione del possesso insegnandoti la gratuità del dono. Essa tirende felice, dà sollievo all’animo perché ti fa incontrare nel povero la presenza di Gesù. Ècome un atto di culto a Dio e ti fa incontrare con lui. La preghiera ci aiuta a vivere incomunione con il Signore. Nella preghiera la meditazione della Parola di Dio ci insegnal’alfabeto di Dio, ci dà parole, pensieri, sentimenti, con cui arricchire la nostra umanità. Ildigiuno è un gesto materiale di un digiuno spirituale, in cui prendiamo un po’ la distanza danoi stessi, da quel modo istintivo di mettere sé stessi al primo posto, che rende prepotenti,irritabili, rancorosi, protagonisti tristi, desiderosi di approvazioni e consensi. Insomma,l’elemosina ci fa generosi e gratuiti, liberandoci dal peso del possesso, la preghiera ci avvicinaal cuore di Dio, il digiuno fa esistere l’altro come parte del nostro essere donne e uomini di unpopolo che cammina insieme.Infine, Gesù invita a non esibirsi, a noi cercare approvazioni e consensi. Siamo assuefatti a unmondo in cui per esistere ci si deve esibire, mostrare se stessi, contare il numero deifollowers, degli amici che la pensano come te e ti scrivono “mi piace”, anche se basta a volte unclic per passare da amico a nemico. Non è nel consenso la felicità, ma piuttosto nel dare, nellagratuità dell’amore, nella comunione con Gesù, nella fraternità e nell’amicizia con i poveri enella tua comunità. Signore, aiutaci a vivere come tuo popolo, come comunità radunata dal tuoSpirito, per essere segno di amore e di pace in questo tempo di violenza e di guerra. Donaci digustare con te la gioia della fraternità e dell’amicizia con tutti, perché tu sei grande nell’amoree nel perdono. Amen!

Il vescovo Ambrogio guida il pellegrinaggio a piedi alla Santissima

Il 16 febbraio si ricorda l’Apparizione della Santissima Trinità e, come consuetudine, dalla chiesa parrocchiale di Vallepietra, si sale in pellegrinaggio al Santuario. Questo è l’unico momento, nei mesi in cui il Santuario è chiuso (dal 3 novembre al 30 aprile), nel quale si può accedere a questo luogo sacro, santuario diocesano e punto di riferimento di fedeli e pellegrini della nostra diocesi, di tutto il Lazio e delle regioni limitrofe. Come ogni anno le celebrazioni si dividono in due giornate: il giorno dell’apparizione, venerdì 16 febbraio, alle 7 si parte a piedi dalla chiesa parrocchiale di Vallepietra. E quest’anno il pellegrinaggio sarà guidato da Monsignor Ambrogio Spreafico, Vescovo di Anagni-Alatri, che condurrà personalmente il corteo in pellegrinaggio verso il Santuario, dove poi presiederà alla celebrazione eucaristica, insieme a Monsignor Alberto Ponzi, rettore del Santuario. Il giorno successivo, sabato 17, alle 16.30 ci sarà la recita del Rosario, seguito alle 17 dalla celebrazione eucaristica presieduta dal Rettore Mons. Alberto Ponzi; a seguire, la processione del quadro con l’immagine della Trinità per le vie del paese. Negli ultimi anni la festa dell’apparizione sta diventando sempre più importante e molto partecipata, conducendo a Vallepietra centinaia di pellegrini che visitano e rendono grazie alla Trinità nell’unico giorno di riapertura della pausa invernale.

Il vescovo alla Giornata del malato: “No alla cultura dello scarto”

Nel pomeriggio di domenica 11 febbraio, festa della Madonna di Lourdes, il vescovo Ambrogio Spreafico ha presieduto la Messa per la Giornata del malato, nella chiesa Regina Pacis di Fiuggi. Si è trattato di un momento interdiocesano, che ha coinvolto quindi le associazioni  delle due diocesi (Unitalsi, con i presidenti Paola Pietrobono per Anagni-Alatri e Francesco Santoro per Frosinone-Veroli-Ferentino, e Siloe, presente a Frosinone, con il presidente Paolo Capocaccia) con oltre un centinaio tra malati e volontari. Con il vescovo Spreafico hanno concelebrato don Francesco Frusone, assistente Unitalsi per Anagni-Alatri, e padre Enzo Maria Francesco Iannaccone, parroco di Regina Pacis. Nel corso dell’omelia, e rifacendosi anche all’episodio del lebbroso del Vangelo del giorno, il vescovo Ambrogio ha indicato positivamente le realtà associative che si prendono cura di malati e disabili: «In un mondo diviso, dove c’è tanto odio ed egoismo, con la vostra esperienza positiva rappresentate una bella risposta di amore, solidarietà e fratellanza di cui c’è tanto bisogno. Questa è una società che tende a scartare il debole, l’ultimo», ha sottolineato Spreafico, invitando a dire ‘no’ alla cultura dello scarto, e ad accogliere invece con amore, malati, anziani, disabili «che sono il cuore di Dio». Sempre verso queste persone, il vescovo ha esortato «ad usare compassione», per rifuggire anche da una società fatta invece di troppi ‘io’, di tanti individualismi. Sia prima che dopo la Messa monsignor Spreafico si è inoltre intrattenuto con alcuni malati, che hanno voluto salutarlo. Prima del rito, invece, decine di malati e disabili si sono ritrovati presso la struttura dell’ex albergo Ludovici di Fiuggi per un momento conviviale, di allegria e spensieratezza, legato al carnevale, con musiche e giochi vari. Per quanto riguarda invece più da vicino l’Unitalsi della diocesi di Anagni-Alatri, in preparazione alla Pasqua ci sarà un momento di formazione e ritiro spirituale, con modalità da definire, guidato sempre dall’assistente don Francesco Frusone. A giugno ci sarà invece il pellegrinaggio diocesano a Lourdes (anche in questo caso data e modalità verranno comunicate successivamente, anche attraverso media e social diocesani), così come si sta pensando all’organizzazione del treno dei bambini per il santuario mariano di Loreto.

L’omelia del vescovo Ambrogio per la Giornata della vita consacrata

Questo è il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio Spreafico nella Messa per la Giornata della vita consacrata, celebrata a livello interdiocesano il 2 febbraio 2024 nella chiesa della Madonna del Carmine a Tecchiena.  ————————————————————————————————- Cari fratelli e sorelle celebriamo con gioia la festa della Presentazione al tempio di Gesù secondo la Torà, l’insegnamento di Dio al suo popolo Israele. Maria e Giuseppe non si sottraggono a questa prescrizione, ma al tempio incontrano due custodi di quella Parola di Dio, antica ma sempre attuale, sempre capace di parlare con un antico alfabeto un nuovo linguaggio. Simeone e Anna. Quei due anziani avevano custodito nel cuore quella Parola attraverso la preghiera e la frequentazione di quel luogo sacro. Erano persone di speranza, perché custodi di quella parola antica “lampada per i nostri passi, luce sul nostro cammino”, come recita il Salmo (119,105). Cari fratelli e sorelle, cari consacrati e consacrate, voi avete risposto alla chiamata di Dio in modo del tutto particolare. Di questo ringraziamo il Signore, come lo ringraziamo per la vostra testimonianza e i vostri carismi radicati in questa terra. Lo facciamo anche con le monache dei nostri monasteri di clausura, che non sono qui in presenza, ma si uniscono alla nostra celebrazione e alla nostra preghiera, e che salutiamo con affetto. Mi chiedo: come Simeone e Anna, siete anche voi ascoltatori e custodi della Parola antica di Dio nella vostra vita? E ancora: sapete rinnovare la vostra vita e le vostre opere alla luce di quella Parola che continua a parlarvi oggi, in questo tempo così complesso e nuovo rispetto magari alla storia dei vostri carismi? Oppure siete ancorati alle vostre tradizioni senza interrogarvi sul senso che esse hanno nel tempo in cui siamo? Oppure siete dominati dal mantenimento delle vostre strutture senza la fretta di condividerne le fatiche e le sofferenze perché siano luoghi in cui parla il Signore attraverso la vostra presenza? A volte ci prende il pessimismo, l’idea di un tramonto di cose antiche e ci lasciamo andare alla tristezza e a un senso di declino. Eppure, il Signore continua a parlarci, come fece con Simeone e Anna, i quali ascoltando seppero riconoscere nel Signore l’atteso delle genti. E noi? Come possiamo essere portatori della luce di Dio per il mondo, per i giovani o gli anziani affidati alle nostre cure? Chi parlerà di Lui se non saremo profeti della sua Parola e testimoni del suo amore con generosità e passione? Come costruiremo comunità che sanno essere luoghi di umanità, solidarietà, pace in un mondo violento e di tanti che si isolano e combattono? “Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui”. Care sorelle e cari fratelli, sappiamo ancora stupirci davanti alla Parola di Dio che ci parla di quanti aspettano la salvezza? Nelle nostre comunità ci sono spesso molti anziani, custoditeli. Come Simeone e Anna sono custodi di una storia e di uno spirito. Siano con noi donne e uomini di speranza, luce di Dio nelle tenebre del male, forza di amore e di pace. Cari amici, le luci con cui abbiamo accompagnato Gesù nella sua casa con Maria e Giuseppe, siano sempre con noi, siano guida per la nostra vita e luce per tutti coloro che noi incontriamo. Il mondo, a cominciare dai poveri, dai soli, dagli anziani, dai deboli, ha bisogno della luce di Dio. Non nascondiamola sotto il moggio, non nascondiamola a nessuno, mai, anche a chi è lontano dal Signore e dalla Chiesa. Tutti la aspettano. Tutti ne hanno bisogno.

Giornata del malato e festa della Madonna di Lourdes con il vescovo Ambrogio

Verrà celebrata domenica 11 febbraio a Fiuggi, presso la chiesa Regina Pacis, la 32^ Giornata del malato e la festa della Madonna di Lourdes. Alle 17.30 il vescovo Ambrogio Spreafico presiederà la celebrazione eucaristica interdiocesana, alla presenza delle associazioni di volontariato  assistenza malati e disabili delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino. Istituita nel 1992 da Giovanni Paolo II, ogni anno questa Giornata offre ulteriori spunti di riflessione e preghiera. Il tema scelto per il 2024 è: “Non è bene che l’uomo sia solo – Curare il malato curando le relazioni”. A  tal proposito, nel suo messaggio Papa Francesco ha scritto tra l’altro: «Gli ammalati, i fragili, i poveri sono nel cuore della Chiesa e devono essere anche al centro delle nostre attenzioni umane e premure pastorali. Non dimentichiamolo. E affidiamoci a Maria Santissima, Salute degli infermi, perché interceda per noi e ci aiuti ad essere artigiani di vicinanza e di relazioni fraterne».

Il vescovo alla marcia di Ac: «Costruiamo la pace ogni giorno»

La preghiera comunitaria guidata dal vescovo e la riflessione offerta ai presenti dallo stesso monsignor Ambrogio Spreafico hanno chiuso nel pomeriggio di sabato 27 gennaio la Marcia della pace, organizzata dall’Azione Cattolica diocesana e ospitata dalla città di Alatri. E proprio piazza Santa Maria Maggiore ha rappresentato il centro dell’iniziativa, che qui è iniziata e qui si è conclusa, sul sagrato della chiesa degli Scolopi, con intervento del vescovo che alle centinaia di bambini festanti ha subito chiesto: «Ma è possibile la pace?», con un coro entuasiasta di “sì” levatosi dalla piazza, colorata di cappellini, bandane e bandiere. «Ma la pace è possibile – ha quindi detto Spreafico – solo se si dialoga. E per dialogare la prima cosa da fare è ascoltare gli altri. Quando parlano mamma e papà, ad esempio, voi bambini dovete stare zitti e ascoltare. Ma anche quando parla un bambino, i genitori, i grandi, hanno il  dovere di ascoltare! Oggi invece si ascolta troppo poco e si pensa sempre di avere ragione. Vogliamo la pace, certo, ma poi litighiamo tra noi, oppure non accogliamo l’altro che è in difficoltà, l’amico o con il compagno di a scuola che ha bisogno, quando addirittura non arriviamo ad esercitare la violenza, come purtroppo è successo in questa città di Alatri. Perché la violenza non è solo la guerra che vediamo in televisione. Ma ci riguarda anche da vicino, se solo pensiamo che in Italia ci sono 8 milioni si armi e di queste 6 milioni e mezzo non sono neppure dichiarate, per non parlare poi delle armi che mandiamo in tutto il mondo. Gesù invece ci insegna che si vive disarmati. E allora – ha invitato il vescovo – disarmiamo anche i nostri cuori, i pensieri, i sentimenti, perché la pace cammina e si costruisce anche dentro di noi e attorno a noi. E invece tanti nostri paesi fanno a gara nelle “chiacchiere” sugli altri. Oppure non riusciamo a trattenere il ditino sul cellulare e mettiamo i like se uno insulta un altro. Ma questo non è da cristiani, mentre bisogna ricordare che Gesù ha detto: io sono la pace! Ascoltiamo Gesù e impariamo a costruire rapporti di amicizia, impariamo anche ad essere gentili con gli altri. Siamo qui per costruire la pace, ogni giorno!», ha concluso il vescovo, non prima di aver ricordato a bambini e ragazzi l’importanza del Giorno della Memoria, celebrato sempre il 27 gennaio. La marcia e le iniziative collegate, come detto, sono state ospitate da una accogliente città di Alatri, grazie anche ai luoghi e alle strutture messe a disposizione dal sindaco Maurizio Cianfrocca. Presenti diversi sacerdoti diocesani: il parroco don Walter Martiello, l’assistente unitario dell’Ac don Rosario Vitagliano, don Fabio Tagliaferri, don Roberto Martufi, don Pierluigi Nardi, don Luca Fanfarillo . Dopo l’arrivo dei gruppi e i saluti della presidente diocesana Concetta Coppotelli, del sindaco di Alatri e della responsabile del circolo Legambiente di Anagni (partner di questa edizione)  Rita Ambrosino, i partecipanti si sono divisi per gruppi di età e, guidati dagli educatori per l’ACR, dall’equipe e dall’assistente per il settore giovani e con don Fabio per il settore adulti, si è riflettuto insieme sulle seguenti tematiche di pace. Piccolissimi-FACCIAMO ESPLODERE LA PRIMAVERA 6 / 8 anni – SULLE DITA DI UNA MANO 9 / 11 – GUERRA E PACE 12 / 14- È BELLO CIÒ CHE È PACE GIOVANISSIMI e GIOVANI : Pace e comunicazione- Priorità di pace. ADULTI-“ FEDE E PACE”: BEATI GLI OPERATORI DI PACE! Tanti i presenti, comprese alcune religiose, e diverse le parrocchie partecipanti, da Alatri, Anagni, Fiuggi, Acuto, Fumone, Filettino, Mole Bisleti, Tecchiena, Tecchiena Castello, Sgurgola, con alcune iniziative collaterali pure degne di nota, come ad esempio quella presa dalle educatrici di Tecchiena Castello che hanno portato i bambini del catechismo anche in Concattedrale per far loro conoscere il miracolo dell’Ostia incarnata, accolti calorosamente dal parroco don Walter Martiello. La marcia ha quindi percorso le vie del centro storico, per poi fermarsi in preghiera a piazza Regina e in largo Paolo Cittadini “Il Girone”, in ricordo di Emanuele Morganti e di Thomas Bricca, prima di tornare in piazza Santa Maria Maggiore. La marcia della pace attraversa città e paesi italiani da quasi mezzo secolo, come ci ricorda la presidenza dell’Ac diocesana: l’educazione alla Pace entra a far parte del percorso formativo dell’ACR dopo l’incontro nazionale con papa Paolo VI del 20 maggio 1978 il cui slogan “La pace nascerà: parola di ragazzi”. Pochi giorni prima del giorno fissato, si verificano a Roma alcuni fatti di violenza terroristica. Il cardinale vicario Ugo Poletti decide dunque di cogliere l’occasione per lanciare un appello alla città per vincere la violenza invitando “tutti i cittadini di buona volontà” a partecipare alla manifestazione. Lo slogan scelto dall’ACR per la prima Carovana di pace è: Per la pace tutti in campo. La Carovana della pace o marcia, diviene così un appuntamento fisso per l’AC della diocesi di Roma e man mano si allarga a tutte le altre diocesi italiane. Così, nel mese di gennaio di ogni anno, si inizia a preparare questa manifestazione: i gruppi ACR delle parrocchie si confrontano su come portare pace nel mondo che li circonda e preparano un messaggio da offrire durante la messa e da scambiarsi con le altre parrocchie; colorano poi striscioni, cartelloni bandiere e costruiscono strumenti per “farsi sentire” durante il percorso. Nasce l’idea di una manifestazione che, a chiusura del percorso di riflessione dei gruppi parrocchiali, porti i bambini a testimoniare davanti alla città il loro desiderio di pace e il loro impegno personale.

Il vescovo a Mole Bisleti per parlare di pace ai bambini

Domenica 21 gennaio  le parrocchieincomunioneconmaria  hanno festeggiato sant’Antonio, un grande  uomo che ha lasciato i suoi agi e ha  lottato a lungo  per  ricercare la pace  nel cuore e con il Signore. In questa occasione i ragazzi della catechesi, coordinati egregiamente dalle loro catechiste, dopo aver  riflettuto sul messaggio della  pace di papa Francesco, hanno dato vita ad uno spettacolo che ha coinvolto emotivamente  i numerosi adulti presenti nella chiesa Maria Santissima del Rosario di Mole Bisleti. Alla presenza del vescovo monsignor Ambrogio Spreafico e del  parroco don Luca Fanfarillo, oltre che dei genitori, i bambini hanno cantato note di pace, recitato poesie scritte a più mani, hanno raccontato ai presenti i loro pensieri sulla  pace e hanno letto stralci del messaggio del Papa, con l’auspicio che le intelligenze artificiali possano aiutare l’umanità e non creare maggiori disuguaglianze in questo mondo già  tanto martoriato da guerre e violenza: “Soffiano venti di guerra nei cuori dei potenti della Terra, l’animo umano è pieno di odio e rancore, non c’ è più rispetto per l’altro né amore. Soffiano venti di pace nel cuore e nelle menti dei bimbi che gridano forte: pace invochiamo, pace sogniamo, pace vogliamo, pace auspichiamo.  La pace inizia da noi; la pace è possibile; sorella della pace è l’amore; la pace rende liberi e unisce le persone; la pace è il giardino in cui fiorisce la speranza; la pace è l’unica battaglia che vale la pena di intraprendere; la pace è amore; la pace è sorridere; in un luogo dove regna la pace anche i pensieri scelgono di non far rumore; non basta parlare di pace bisogna crederci; possa la pace illuminare il nostro cammino” Un’espressione assai forte e coraggiosa pronunciata dai ragazzi ha fatto tremare i polsi degli adulti presenti: «Perchè sono gli uomini a governare il mondo? Potevano farlo i cani, gli uccelli, i gatti pelosi, ma anche gli animali pericolosi…nessuno di loro né in pace, né in guerra farebbe del male a chi è della sua stessa specie. Vogliamo che torni presto gioia, vita e pace quieta in ogni piccolo angolo di questo pianeta. La pace nascerà: parola di ragazzi». Ha concluso la giornata iniziata con la preghiera, il gioco, la condivisione del pranzo e la riflessione, il vescovo Ambrogio che ha raccontato che nel mondo esistono decine di conflitti, che in Italia si trovano milioni di armi ma la forza dell’ alfabeto della pace e della preghiera porterà la pace nel cuore di ogni uomo. Monsignor Spreafico ha quindi rassicurato  i ragazzi,  che sono la speranza del domani, che un giorno vivranno in un mondo finalmente pacificato.

Il vescovo alla veglia ecumenica: «La “compassione” rende la vita possibile»

La domanda del maestro della Torà, la Legge, era molto importante, direi una domanda legittima che esprime un desiderio di bene, di eternità, cioè di qualcosa che non finisce, che va persino oltre la nostra esistenza terrena. Noi, il mondo, siamo pieni di domande di questo genere. Tuttavia molte volte preferiamo non porle, non farle, soprattutto a Gesù, perché preferiamo rimanere come siamo, non essere disturbati, non essere messi in discussione. Gesù accoglie quelle domande e non risponde come avrebbe potuto, ma vuole dialogare con quell’uomo saggio. Così fa anche con noi. La sua Parola non si impone, ma è frutto di un dialogo, di domande a cui rispondere.  Così avvenne per quel saggio, che rispose ripetendo il grande e unico comandamento, che racchiude in sé tutta la legge. Non si accontenta tuttavia dell’apprezzamento del Signore, e vuole continuare a capire: “Chi è il mio prossimo?”. Conosciamo bene la parabola del Buon Samaritano. Chi fu il prossimo di quell’uomo mezzo morto lasciato sul bordo della strada? Tutti e tre videro quell’uomo, ma uno solo si fermò. Eppure erano uomini religiosi, un sacerdote e un addetto al tempio. Cari amici, non basta essere frequentatori della casa di Dio per vivere secondo la sua parola e non secondo noi stessi. Noi vediamo tante immagini di donne e uomini mezzi morti o eliminati dall’odio, dalla violenza, dalla guerra, dall’abbandono della nostra società a volte crudele e disumana. Certo vediamo. Ma poi le immagini passano e si dileguano. Anche noi spesso passiamo oltre, dall’altra parte, scansiamo il dolore di quelle immagini. Chi si ricorda Cutro? Chi si ferma davanti alle immagini di morte, di guerra, di distruzione? E quante volte passiamo oltre il dolore e la solitudine di un’anziana sola o malata, che avrebbe bisogno di qualcuno che si accorga di lei, prima che muoia e venga trovata a casa magari dopo mesi? Che cosa cambia la sorte segnata di quell’uomo mezzo morto? Si legge: “Un samaritano, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide, e ne ebbe compassione. Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò”. La “compassione”, sentimento attribuito solo a Gesù nel Vangelo, cambia la scelta di quell’uomo che passava di là per caso e non aveva nulla a che fare con quel poveretto. Cari fratelli e sorelle, la “compassione”, la scelta di immedesimarsi nella condizione dell’altro, chiunque sia, ma soprattutto in chi è nel dolore, chi è ferito dalla vita, rende la vita possibile, perché fa avvicinare, si fa cura, medicina. Ma non può fare tutto il samaritano. Tuttavia lo porta in un luogo dove qualcun altro possa continuare a prendersi cura di lui. Queste locande sono le nostre comunità. Nessuno riesce a far tutto da solo per gli altri, né per i poveri. Abbiamo bisogno di essere nel “noi” delle nostre comunità, che, come ha detto papa Francesco, dovrebbero essere come “ospedali da campo”. Allora capiamo la domanda di Gesù, che rovescia quella di quel saggio. Chi è il mio prossimo? Per scoprirlo devi “farti prossimo” altrimenti non lo capirai mai! Nella prossimità verso il bisogno degli altri sono certo che affretteremo il tempo dell’unità piena tra i discepoli di  Gesù, di cui il mondo ha tanto bisogno. Allora quel saggio del Vangelo rispose molto bene al Signore: “Quello che ha avuto misericordia (e non “compassione”, come traduce la Bibbia) di lui”. La misericordia, infatti, è la compassione diventata il nostro modo di vivere con gli altri. Facciamo come quell’uomo, se vogliamo costruire un mondo fraterno, dove ci sia posto per tutti, a cominciare dagli ultimi e dai poveri. Questa scelta ci renderà più uniti, un “noi” nel rispetto delle nostre diversità e aiuterà la pace nel mondo. “Chiese sorelle, popoli fratelli”, diceva Atenagora, patriarca di Costantinopoli, lui che aveva incontrato papa Paolo VI a Gerusalemme dopo secoli di distanza.