I riti della Pasqua con il vescovo Ambrogio

Il vescovo Ambrogio Spreafico celebrerà la Messa della Pasqua in Cattedrale, ad Anagni, domenica 31 marzo alle 11.30. Sarà invece interdiocesano il rito della Messa crismale del Mercoledì Santo, il 27 marzo: il vescovo Spreafico presiederà la celebrazione nell’Abbazia di Casamari, alle 17, con i presbiteri della diocesi di Anagni – Alatri insieme al presbiterio della diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino.Per quanto concerne ancora la Cattedrale di Anagni la veglia pasquale del 30 marzo avrà inizio alle 23; la Messa del Giovedì Santo alle 21 e la celebrazione della Passione, nel Venerdì Santo, alle 20.30.

«Sotto la croce invochiamo la fine di ogni violenza e guerra». Il vescovo alla veglia per i missionari martiri

Questo il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio Spreafico nel corso della veglia interdiocesana per i missionari martiri – Chiesa Sacratissimo Cuore di Gesù, Frosinone, venerdì 22 marzo 2024 ——————————————— I discepoli di Gesù erano appena usciti dal tempio di Gerusalemme, di cui avevano ammirato lamaestosità. Gesù parlò invece della sua distruzione. Ciò suscitò in Pietro, Giacomo e Giovanni ladomanda su quando ciò sarebbe avvenuto. Fratelli e sorelle, a volte noi ammiriamo giustamente lagrandiosità delle cose, siamo attratti dalla loro bellezza, e ancor più altrettanto giustamente cistupiamo quando questa bellezza viene intaccata o distrutta. Pensiamo alla distruzione provocatadalla guerra o dai cambiamenti climatici. La fine di qualcosa che avevamo ammirato giustamente cirattrista. Dimentichiamo tuttavia di essere fragili e di vivere in un mondo fragile. Ciò impaurisce erattrista, spesso fa chiudere in se stessi, fa isolare dagli altri, dalla consapevolezza di essere parte diun mondo di cui siamo tutti responsabili e anche fratelli e sorelle. I nomi, che leggeremo e a cui ciuniremo in preghiera, sono nomi di donne e uomini che a mani nude hanno confidato in Dio, che hapermesso loro di continuare a essere testimoni della forza mite e umile del Vangelo, unica forza chevince il male e persino la morte.Gesù per questo ben due volte ammonisce i discepoli: “”Badate che nessuno vi inganni…”; e piùavanti: “Badate a voi stessi”. Quel badate sarebbe da tradurre piuttosto con “Guardate!” Cari amici,“guardate”, ci dice il Signore. Apri gli occhi. Non far finta di niente quando vedi la violenza, ladistruzione, quando vedi il male avanzare e impossessarsi della vita, o quando ne vedi leconseguenze nelle ingiustizie e nella povertà di tanti esseri umani. Guarda! Non voltarti dall’altraparte davanti all’uomo ferito, come fecero il sacerdote e il levita della parabola del BuonSamaritano. Se non “guardi” con lo sguardo di Gesù, fai attenzione perché il male potrebbeimpossessarsi anche di te. Se tu invece saprai vedere la realtà e il mondo con lo sguardo illuminatodalla parola di Dio e dalla fede, non sarai irretito dal male e persevererai fino alla fine e così saraisalvo, come tutti coloro che hanno creduto nella forza dello Spirito di Dio, che li ha sostenuti esalvati. Siamo in un mondo distratto, che fa fatica ad assumere quello sguardo profondo che saandare alla radice della realtà, perché aiutato dalla Parola di Dio e dalla fraternità in cui vive, quelladelle nostre comunità, che ci aiutano e sostengono. Sì, la fretta e la distrazione fanno abbassare losguardo, fanno dimenticare, fanno ritenere il male come qualcosa solo di passeggero. Ma il malelascia tracce, lascia dolore, lascia morte. Siamo troppo distratti e il nostro sguardo spesso siannebbia, non va oltre noi stessi e il nostro quotidiano.Per questo siamo qui, per assumere lo sguardo di Dio. Vogliamo stare con te in questi giorni,Signore Gesù, poco prima che tu cominci il cammino verso la croce, rinunciando alla solita frettache ci fa stare lontani. Fa’ che ti accompagniamo come tuoi amici, come sorelle e fratelli consapevoli che solo andando dietro a te fin sotto la croce potranno partecipare alla gioia della resurrezione, alla vittoria della vita sulla morte. Siamo fragili, incerti, paurosi, dimentichi, distratti, ma i testimoni che ci hanno preceduto seguendo te, e non se stessi, oggi si uniscono a noi e con noi formeranno quel popolo che ti vuole accompagnare a Gerusalemme, dove dalla croce pregheremo con te il Padre assieme a tutti loro e a tutti coloro per cui tu ti sei addossato la croce del dolore: ipoveri, le donne e gli uomini che soffrono per la guerra, i piccoli, gli anziani, i profughi nei ghettidel mondo, i disprezzati, gli oppressi dalla solitudine, dallo smarrimento e dalla sfiducia. gliscartati. Sotto la tua croce, con Maria e Giovanni, invochiamo la fine di ogni volenza e guerra,soprattutto in quella terra che tu hai percorso nella tua vita terrena. Lo chiediamo a te: dona almondo la pace che gli uomini non sanno darsi e rendici tutti testimoni fedeli del tuo amore gratuito.

Il vescovo ai giovani: «Pensiamo alle croci del mondo»

«Cari giovani, vi chiedo di pensare alle croci del mondo. Noi che spesso siamo abituati a guardare solo a noi stessi, e poi succede come a Frosinone o come ad Anagni… Per noi l’importante è solo condannare e invece bisogna capire che il male è forte e che, se non stai attento, prima o poi il male lo prendi. Seguendo questa Croce, seguiamo un Uomo figlio di Dio, uomo fino in fondo, che non ha risposto alla violenza con la violenza. Noi siamo qui perché crediamo che la vera risposta al male è l’amore, la benevolenza, la mitezza, il perdono. Quando pensiamo ai nostri malanni, pensiamo invece alle tante croci che ci sono nel mondo: ai 60 migranti morti di fame e di sete su un barcone fatto solo di assi di legno e un po’ di gomma; alla guerra in Ucraina, ai morti di Gaza e a quelli attaccati da Hamas, ai 600mila profughi in un campo del Kenya. Ma pensiamo anche agli anziani soli nelle Rsa, ai poveracci per le strade, all’amico di scuola bullizzato. Basta con i lamenti e pensiamo invece a queste croci». Così il vescovo Ambrogio Spreafico ha introdotto, nella serata di venerdì 15 marzo, la Via Crucis dei giovani e giovanissimi, tenutasi ad Anagni e organizzata dalla Pastorale giovanile e vocazionale della diocesi. Sotto Porta Cerere si sono così ritrovati un centinaio di giovani e giovanissimi provenienti da diverse realtà della diocesi con i loro parroci, assieme ai seminaristi del vicino Leoniano, accompagnati da alcuni formatori, a un nutrito gruppo di suore, ma anche a diversi adulti che poi si sono uniti. Ogni “stazione” è stata “interpretata” proprio dai giovani dei diversi gruppi, con riflessioni e meditazioni mai banali, mai scontate, così da lasciare il segno in chi le ascoltava. Ed ecco allora, tanto per fare qualche esempio e proponendole volutamente in ordine sparso perché poi ognuno possa farne una sorta di collage, quanto meditato alla 5^ stazione, quando Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la Croce, con le parole di un giovane che si fa Cireneo per il suo papà, in maniera davvero toccante: “Mio padre è stato un ragazzo come me, che forse vuole il mio ASCOLTO, soprattutto in questo tempo di assenza relazionale, in cui la comunicazione virtuale ha preso il posto del DIALOGO. Voglio pregare per lui, per le croci che porta, per i suoi atti d’amore, non pronunciati e manifestati, perché io un giorno possa essere un padre capace di mettermi a servizio della fragilità degli ultimi”. E altre parole, sempre così cariche di amore da parte dei figli, sono state poi dedicate anche alle madri. Oppure all’11^ – Gesù inchiodato alla Croce – laddove “per mezzo di un dono totale di amore, vengono inchiodati su quella croce, insieme a Cristo, tutti nostri peccati. Nel cammino fino al Calvario, nel peso della croce, nei segni della sofferenza, nei chiodi che trafiggono mani e piedi, è scritto l’amore misericordioso del Padre per noi.”. O alla 10^ stazione – Gesù spogliato delle vesti – a riflettere sul fatto che “la cattiveria degli uomini oggi ha spogliato Gesù delle vesti, come ogni giorno ci spoglia della pace dei cuori, quando veniamo presi in giro, traditi nelle confidenze che facciamo agli amici, giudicati e non capiti”. Alla 13^ stazione, quando Gesù è trafitto da una lancia, vederlo “ancora lì, sulla croce. Un uomo in carne ed ossa, con le sue fragilità, con le sue paure. Ti vedo Gesù in quella umanità che spesso dimentichiamo di riconoscere in te e di ricercare in noi stessi e negli altri, troppo presi da una vita che spinge sull’acceleratore, ciechi e sordi di fronte alle difficoltà e al dolore altrui”. O ancora, alla 12^ e a Gesù che muore in Croce, con altri ragazzi che così hanno invitato a meditare: “Tutto è compiuto, tutto sembra essere finito. La terra trema, intorno è buio. Quando Gesù manca nelle nostre vite, quando pensiamo di poter fare a meno di Lui, quando viviamo senza Dio, la terra trema, intorno è buio. Quando usiamo violenza contro gli altri, quando discriminiamo, quando escludiamo, la terra trema, intorno è buio. Quando facciamo guerra, uccidiamo, calpestiamo, la terra trema, intorno è buio. Ma Gesù ci ha amati tanto da donare a noi il suo ultimo alito di vita, affinché noi potessimo vivere del suo stesso respiro. Quel respiro è vita, è pace, è accoglienza, è dono, è consolazione, è amore”. Fino alla quattordicesima stazione, a Gesù posto nel sepolcro: “Nell’oscurità del sepolcro tutto sembra essere finito e davanti al Tuo corpo noi siamo impauriti, smarriti…accasciati al suolo senza un’umana speranza nel futuro…ma proprio in questa paura e incertezza si rivela il più grande atto d’amore della storia…l’amore di Chi, senza limite, si dona…Dio fa generosamente offerta di se stesso. Il Tuo amore ci illumina, la Tua croce ci ha insegnato che la salvezza passa attraverso la sofferenza e la sconfitta…le Tue parole di vita ci hanno fatto comprendere che più forte della morte è questo Tuo amore…ecco l’alba della Resurrezione! Il buio che avvolge i nostri affanni, le nostre speranze, i nostri dubbi non sarà più buio se abbiamo il coraggio di aprire il nostro cuore alla luce sfolgorante della Tua Resurrezione!”. E così, in maniera semplice e composta, i giovani – illuminati non solo dalle fiaccole posate a terra ma soprattutto dai loro cuori –  hanno percorso il centro storico di Anagni, passando tra coetanei come loro seduti ai tavolini dei locali all’aperto, incuriositi ma rispettosi; tra chi rincasava o accompagnava il cane fuori, fermandosi anche loro, forse colti un po’ di sorpresa, per una Padre nostro e un’Ave Maria; con le imposte degli antichi palazzo aperte di scatto sulla notte anagnina e su quel brusio di altre preghiere proveniente da uno “strano” corteo di ragazzi, alternato a grandi silenzi da toccare con mano. Fino a piazza Innocenzo III e al saluto finale di don Luca Fanfarillo, responsabile della Pastorale giovanile diocesana, a ricordare che quell’andare appresso ad una Croce può

“Chiamati ad essere donne e uomini per gli altri”: le parole del vescovo alla Messa per il miracolo eucaristico di Alatri

Nel giorno in cui si rinnova la memoria del miracolo eucaristico dell’Ostia incarnata, mercoledì 13 marzo il vescovo Ambrogio Spreafico ha presieduto una solenne celebrazione della Concattedrale di Alatri, concelebrata con il vicario diocesano don Alberto Ponzi, il parroco don Walter Martiello, i parroci di Alatri e quattro sacerdoti della diocesi di Verona, nell’ambito di quel gemellaggio della fede su cui torneremo tra poco. Nell’omelia, dopo aver ricordato che l’Ostia incarnata «è un segno prodigioso e noi abbiamo bisogno anche di segni per ritrovare il senso della fede», il vescovo ha preso le mosse dal brano del Vangelo proclamato poco prima dal diacono Giovanni Straccamore (“In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”) per rimarcare come «oggi è tanto difficile vivere, in un mondo dove ci sono quelli che uccidono gli altri, come è accaduto l’altro giorno a Frosinone o anche qui ad Alatri, e non una sola volta; in un mondo dove ci sono le guerre e tanta prepotenza, solo per affermare se stessi. Ma noi ascoltiamo Gesù che parla? Portiamo nel cuore quella Parola senza la quale non possiamo vivere? La Parola di Dio è presenza reale in mezzo a noi? Oggi invece diamo tutto per scontato, anche la violenza, e pensiamo sempre: ma cosa posso fare io?». Ma non è «continuando a vivere così così – ha aggiunto il vescovo – che le cose possono cambiare. Però siccome Dio è grande e noi siamo piccoli, anche se c’è tanta gente che si innalza e pensa di avere sempre ragione, Dio non ci condanna, ma continua a parlarci con grande amore e non si dimentica certo di noi», ha aggiunto Spreafico richiamando anche il testo di Isaia della prima lettura «Quanto è grande l’amore di Dio per noi – ha ripreso il vescovo – Ci conosce e sa che siamo un po’ così così: un giorno ascoltiamo e l’altro facciamo finta di niente. Ma Lui ritorna, ci riparla, rinnova il Suo amore. Il Signore ci ha formato e a noi cristiani, tramite il Battesimo, ci ha voluto profeti, donne e uomini portatori del Suo amore, della Sua presenza». Da qui, ha aggiunto monsignor Spreafico, discende che «abbiamo una missione: siamo chiamati ad essere donne e uomini per gli altri, ovunque ci troviamo, anche nel nostro piccolo mondo di questa terra. Il Signore conta su di noi: su ognuno, individualmente, e insieme, come popolo. Dobbiamo ritrovare questa capacità di essere profeti e portare agli altri luce e speranza, senza cedere alle armi di diversa natura, comprese le parole che spesso fanno male, e allora è meglio tacere che straparlare». Il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino ha quindi invitato i presenti anche ad abbandonare quel velo di pessimismo che spesso ci porta a dire «ma io cosa posso fare? Possiamo vivere la Parola che Dio ci ha donato, vincere la violenza con la mitezza, l’amore, la gentilezza, la tenerezza». A questo punto Spreafico si è rivolto ai sacerdoti e ai laici arrivati da Verona, dove nelle scorse settimane l’Ostia incarnata ha compiuto un pellegrinaggio di fede, ringraziando gli ospiti e salutando tramite loro il vescovo di Verona, Domenico Pompili, originario della diocesi di Anagni-Alatri e già parroco proprio della Concattedrale di Alatri. E a nome della diocesi veronese ha quindi preso la parola don Bruno Gonzaga, dopo aver donato alla Chiesa di Alatri una statua in terracotta di San Zeno, patrono di Verona, e aver ringraziato monsignor Spreafico e il sindaco Maurizio Cianfrocca, pure presente alla cerimonia accompagnato dal gonfalone ufficiale della Città di Alatri: «Il pellegrinaggio dell’Ostia incarnata a Verona è stato un segno straordinario di fede. Dovunque abbiamo avuto chiese piene, ad iniziare dalla Cattedrale, colma di fedeli fino all’inverosimile quando è arrivata la reliquia del miracolo di Alatri. Il pellegrinaggio ha avuto luogo in 15 chiese e in un monastero di clausura e dappertutto abbiamo avuto Messe molto partecipate, adorazioni notturne, file di fedeli ai confessionali. Davvero il Signore è passato in mezzo a noi perché è proprio vero che quando si muove Cristo, si muovono le folle», ha concluso don Gonzaga, anche lui, come tanti presenti, ancora visibilmente commosso. di Igor Traboni (nelle foto: un momento della Messa e il dono alla Chiesa di Alatri di una statua di San Zeno, patrono di Verona, da parte della diocesi veneta)

Mons. Spreafico: «Rispondiamo al male con il bene!»

Il vescovo Ambrogio Spreafico ha guidato, nella serata di martedì 12 marzo nella chiesa di San Paolo Apostolo a Frosinone, un momento di preghiera fortemente voluto dopo quanto accaduto a Frosinone sabato scorso e ad Anagni, sempre nei giorni scorsi. In tanti si sono ritrovati nella chiesa di viale Madrid, nonostante il tutto fosse stato organizzato neppure 24 ore prima, grazie al passaparola e alla notizia diffusa sui social. “Sia pace nelle tue mura, sicurezza nei tuoi palazzi”: questa la frase, presa dal Salmo 122 che poi è stato recitato a cori alterni, scelta per dare un titolo alla preghiera corale, proseguita con la declamazione del Vangelo (il passo di Luca 13, 1-5, in cui Gesù risponde peraltro al destino dei diciotto sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise) e quindi la riflessione del vescovo Spreafico: «Il mondo è pieno di violenza – ha esordito il vescovo – e davanti alla violenza tante volte, oltre a condannarla come è giusto che sia e a a perseguire coloro che la compiono attraverso le persone preposte a farlo e che lo fanno bene, noi  non facciamo niente. Ma poi ci siamo proprio noi, uomini e donne che vivono in questo mondo e in questa terra amata. E allora: basta condannare e giudicare? E’ facile essere giudici, ma è un tipico modo per allontanare il male. Ma il male resta! Noi invece dimentichiamo che il male esiste. E allora non possiamo restare indifferenti come spesso accade. Chi si ricorda dell’Afghanistan o della Siria? A malapena lo facciamo con la guerra in Ucraina, quando papa Francesco invoca la pace e magari si riaccende il dibattito. Ecco, noi siamo così: basta che il male non ci tocca e sono a posto. Ma dimenticare e far finta di niente – ha rimarcato con tono ancora più deciso monsignor Spreafico – non è giusto! Bisogna fare il bene, perché altrimenti questo mondo diventa un inferno. Nelle nostre città, poi, la violenza non è solo quella dell’altra sera; in via Aldo Moro non è che non succedono mai risse o atti di bullismo. E lo dico non per parlar male, ma perché bisogna essere vigili. E riandare alle parole di Gesù che dice: convertitevi! Per questo siamo qui – ha aggiunto Spreafico rivolgendosi ai presenti – perché dobbiamo cambiare noi stessi, rispondere al male con il bene! Il male è furbo: se lo lasci entrare, poi ti prende e non ti molla più, come la droga che gira, l’alcool, il gioco d’azzardo…». Il vescovo ha quindi proseguito sottolineando l’importanza della preghiera «che ci libera dall’essere solo di noi stessi, ci fa guardare in alto: Dio è luce, speranza, tenerezza, gentilezza, comprensione. La preghiera ci rende diversi: ecco il cambiamento! Ci uniamo in preghiera e siamo forza di bene, siamo luce del mondo, sale della terra. Sì. Siamo così, e dobbiamo crederci! Chiediamo al Signore – si è avviato a concludere il vescovo Spreafico  – di renderci pacificatori, luce per gli altri. Chiediamo che ci renda uomini e donne, fratelli e sorelle pacificatori. Perché il Signore non ci abbandona mai, non abbandona la nostra città e questa terra amata». Il momento di preghiera, accompagnato da una serie di canti, è poi proseguito con la recita del Padre nostro e, prima della conclusione, della “preghiera semplice” attribuita a San Francesco, con queste e altre parole (“Dove è tristezza, che io porti la gioia; dove sono le tenebre, che io porti la luce”) a risuonare nel silenzio carico di raccoglimento, per invocare ancora una volta la richiesta di “pace nelle tue mura”. di Igor Traboni

Contro la violenza momento di preghiera con il vescovo Ambrogio

Dopo l’omicidio di Frosinone e quanto verificatosi ad Anagni, dove un ragazzo è stato picchiato da un coetaneo, questa sera – martedì 12 marzo, chiesa parrocchiale di San Paolo, viale Madrid (quartiere Cavoni), a Frosinone, alle 19 – ci sarà un momento di preghiera contro la violenza, presieduto dal vescovo Ambrogio Spreafico.

Il vescovo al funerale di don Mariano: «Sacerdote buono, colto ma umile»

«Un sacerdote buono, pieno di amore e vicinanza verso le persone che man mano gli sono state affidate nel suo ministero pastorale: i seminaristi, i malati, i giovani, gli adulti. Un uomo colto ma al tempo stesso umile». Così il vescovo Ambrogio Spreafico, nella Messa per il funerale celebrata martedì 27 febbraio nella Concattedrale di Alatri, ha ricordato alcuni tratti salienti di don Mariano Morini, morto nel primo pomeriggio di lunedì 26 febbraio, a 84 anni. Il vescovo ha voluto ricordare per l’appunto anche la grande cultura di don Mariano, sempre accompagnata da uno spirito umile, con la sua profonda conoscenza dell’ebraico, del greco, del latino (sono passate alla storia le sue immediate traduzioni già quando i professori dettavano la traccia di una versione in italiano), della matematica, delle scienze varie, ad iniziare dalla sua passione per l’astronomia. Insieme al vescovo hanno concelebrato una quindicina di sacerdoti, alla presenza di tanti fedeli, soprattutto di San Silvestro, dove era stato amato parroco, e della Maddalena, altra comunità che ha servito. E non a caso i cori di San Silvestro e della Maddalena hanno accompagnato il rito funebre. Per tanti anni don Mariano è stato anche cappellano dell’ospedale di Alatri, sempre stabilendo con tutti – medici, personale parasanitario e degenti – un rapporto di vicinanza e presenza costante. Don Mariano era il primo di sei fratelli: due sorelle, Giuseppina e Elena, e tre fratelli Luigi, Carlo e Paolino. Ordinato sacerdote il 3 luglio del 1965, ha svolto il suo primo incarico presbiterale come vicerettore del seminario minore di Alatri, fino al 1978. Dal 1965 è stato  anche canonico del Capitolo Cattedrale di Alatri. Lasciato il Seminario, era diventato, come detto, cappellano dell’ospedale civile di Alatri e della chiesa della Maddalena. Nel 1992 è stato nominato parroco di San Silvestro e vi è rimasto fino al 2016. Dal 2008 è stato amorevolmente accudito nel Seminario di Alatri e Giovanni Meta è stato il suo badante. Anche il sindaco di Alatri, Maurizio Cianfrocca, in un post sui social ha voluto ricordare don Mariano e la sua grande azione pastorale, culturale e sociale a servizio della città

Il Vescovo agli operatori pastorali: «Unità e comunione»

Ecco il testo completo dell’intervento di monsignor Ambrogio Spreafico per l’incontro interdiocesano degli operatori pastorali, tenutosi nella chiesa di Santa Maria del Carmine, a Tecchiena, domenica 25 febbraio 2024:  ——————————————————————– La Chiesa come assemblea Cari amici e amiche, come ormai si usa dire oggi, siamo qui nel tempo di Quaresima per aiutarci a vivere la nostra vita cristiana in questo mondo complesso e difficile, dove sembrano vincere le guerre e la violenza, ma insieme l’assuefazione che ti fa pensare che tanto tu non puoi mai far niente. A parte il lamento e la recriminazione, dipende sempre tutto dagli altri. All’inizio della quaresima abbiamo ascoltato un invito di Dio attraverso il profeta Gioele, che non viveva certo in un tempo migliore del nostro. “Ritornate a me”, ripete il Signore. E per ritornare dice al profeta: “Convocate un’assemblea”, un popolo, una comunità. “Ritornare” è cambiare e convertirsi, come si dice di solito. Ma convertirsi è tornare a Dio anzitutto. Ma, sottolinea il profeta, tornare insieme, come popolo, come comunità. Ma noi ci crediamo che la Chiesa è comunità, popolo, e non un insieme di individui, in cui ognuno fa la sua strada, che si incrocia con quella degli altri perché almeno ogni tanto, forse la domenica si incontra con quella degli altri? Siamo in un mondo di io. Il Covid lo ha evidenziato, ci ha abituato a stare da soli, a connetterci on line, ma non nella vita. E così spesso si continua. Cari amici, per sua natura, per fondamento, ogni cristiano appartiene a un “noi”, non è mai solo un individuo che cammina da solo. Questo è già evidente nell’esperienza del popolo di Israele come è narrata dalla Bibbia, poi fatta sua da Gesù di Nazareth e dalla Chiesa nascente. Israele si concepisce come popolo, come assemblea, come insieme di individui che condividono una fede e di conseguenza un’etica del vivere, che diventa anche un costituirsi particolare all’interno del mondo. Per l’Israele della storia ciò non ha mai significato l’identificazione con un particolare modello giuridico e politico: si è passati da una unità di tribù senza un governo unico (i giudici) alla monarchia (Davide…), all’assenza di qualsiasi espressione politica unitaria e indipendente (la diaspora), per poi giungere ai giorni nostri a uno stato, ma anche a un popolo che si riconosce nella dispersione dei popoli come partecipe di un’unità legata all’origine, solo in parte alla fede e a un’etica comune. Era tanto forte il senso di appartenenza e di interdipendenza che un profeta del VI secolo a.C., Ezechiele (cap. 18), dovette intervenire per affermare la responsabilità individuale di fronte al male commesso, per evitare che la colpa di un delitto fosse attribuita non all’individuo ma a tutta la sua famiglia. E’ la stessa convinzione che Gesù combatte nel racconto giovanneo del cieco nato in Giovanni 9. Quest’idea fortemente assembleare del vivere insieme dei credenti nel Dio di Israele contiene una verità affermata dalla Bibbia fin dall’inizio: la necessità del genere umano di concepirsi, e conseguentemente di vivere, come individui interdipendenti l’uno dall’altro. Il racconto di Caino e Abele, collocato proprio nei primi capitoli del libro sacro, costituisce un paradigma di questa necessità assoluta, perché il venir meno ad essa conduce a una violenza omicida che mette in pericolo il progresso stesso dell’umanità. Per la Bibbia non esiste un soggetto del tutto indipendente e quindi staccato dalla collettività. Lo stesso avvenne fin dall’inizio dell’attività di Gesù, che costituì un gruppo di uomini che lo seguivano stabilmente formando una comunità. Questa dimensione viene descritta come fattore essenziale delle prime comunità cristiane soprattutto negli Atti degli Apostoli. Il termine koinonia, comunione, ne è l’espressione compiuta. La Chiesa si costituisce così come una koinonia di uomini e donne che fanno riferimento a un unico Maestro e Signore. Atti 2,42-47 descrive in maniera concreta il senso della “comunione” della prima comunità di Gerusalemme, modello di ogni Chiesa locale, ma anche dell’insieme della Chiesa universale. .…Joseph Ratzinger scriveva in un articolo “La Chiesa «Communio»”: “In quest’unico testo (At 2,42) si delineano così i numerosi livelli della communio cristiana, che ultimamente rimandano a un’unica e identica comunione: la comunione con la parola di Dio incarnata, la quale mediante la sua morte ci rende partecipi della sua vita e ci vuole così condurre anche al servizio reciproco, alla comunione visibile e concreta” (in: Fede, ragione, verità e amore. La teologia di Joseph Ratzinger, un’antologia a cura di Umberto Casale, p. 342). La comunione ha un fondamento teologico, che poi si esprime, proprio per questo fondamento, come comunione tra uomini e donne. La koinonia è chiamata a diventare comunione di beni. I sommari del libro degli Atti (2,42-47,4,32-35; 5,12-14) non puntano sul distacco dai beni materiali o su un ideale di povertà. Invece, puntano sulla condivisione: se si condivide quello che si ha non è per essere povero, ma perché non ci siano poveri nella comunità. La koinonia prende il volto concreto quando c’è una condivisione che assicura a ciascuno quello di cui ha bisogno. Non esiste una comunità degna di questo nome se gli uni vivono nell’abbondanza mentre che gli altri passano la fame.  La comunione come solidarietà e condivisione Nella comunione cristiana si vive perciò la solidarietà, soprattutto a partire dai membri più bisognosi. L’apostolo Paolo descrive molto bene l’appartenenza a un solo corpo, affermando che proprio le parti “del corpo che sembrano più deboli, sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto” (1 Cor 12,22-23). Così nella comunione della Chiesa l’attenzione e la sollecitudine per i poveri ha un innegabile primato, che già troviamo nei Vangeli e che Giovanni XXIII esplicitava in quella frase famosa: “Chiesa di tutti, e particolarmente dei poveri”. La ben nota “opzione per i poveri”, nata in comunità cristiane che contestavano la ricchezza interna ed esterna e chiedevano giustizia, è in verità parte integrante e necessaria del modo di vivere del cristiano. Negli Atti degli Apostoli la “comunione” si esprime anche nel fatto che “tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni

Il vescovo incontra gli operatori pastorali

Il vescovo Ambrogio Spreafico incontrerà nel pomeriggio di domenica 25 febbraio gli operatori pastorali delle due diocesi unite in persona episcopi, ovvero Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino. L’appuntamento è per le 16 presso la chiesa parrocchiale di Santa Maria del Carmine, a Tecchiena (c’è anche la disponibilità di due ampi parcheggi per le auto dietro la chiesa). L’incontro, come di consueto, cade nel periodo di Quaresima e sarà dunque anche l’occasione propizia per prepararsi alla Pasqua, seguendo per l’appunto le indicazioni del vescovo. E sarà anche un modo per continuare a vivere la interdiocesanità tra le due Chiese vicine. A tal proposito, c’è da aggiungere che il prossimo appuntamento sarà per il 22 marzo, al Sacro Cuore di Frosinone, con la veglia di preghiera nella Giornata dei missionari martiri.

Azione Cattolica: assemblea diocesana e presto le nuove cariche

Atmosfera gioiosa e di trepidante attesa in casa dell’Azione Cattolica di Anagni-Alatri per la XVIII assemblea diocesana elettiva, tenutasi il 17 e 18 febbraio scorsi presso il Centro pastorale di Fiuggi, intitolata “Testimoni di tutte le cose da Lui compiute. Profezia di una presenza” e chiamata a rinnovare il consiglio di Ac diocesana per il prossimo triennio associativo 2024-2027. L’assemblea ha avuto inizio nel pomeriggio del sabato alla presenza del vescovo Ambrogio Spreafico, che ha guidato una lectio divina (nella foto il suo intervento) ispirandosi al capitolo sesto del Vangelo di Matteo, sottolineando la necessità di lasciarsi coinvolgere dallo stupore di ciò che accade intorno a noi, per contrastare la realtà dell’abitudine dalla quale sempre ci facciamo catturare; l’importanza di  ripensare l’autorevolezza di Cristo e non la sua autorità perché lui solo conosce cosa è bene per ciascuno di noi; l’importanza altresì di abbandonare l’idea di un Dio che si impone rispetto a Dio che vuole essere ascoltato perché parla solo per il nostro bene. In questo tempo di Quaresima, monsignor Spreafico ha inoltre voluto mettere l’accento su come l’elemosina ci apre alla gratuità, come la preghiera ci insegna a fare spazio al dialogo con Dio e come il digiuno sia separazione da tutto ciò che non è essenziale. E non ha mancato di rivolgersi direttamente all’Azione Cattolica diocesana, dicendo che essa ha un grande dono: quello di essere sempre capace di costruire qualcosa insieme, con gli altri e per gli altri, e che guidata dallo Spirito Santo è capace di condividere l’amore per Dio e per i fratelli. Concetti riascoltati in parte durante la Messa di domenica 18 febbraio, celebrata dal Vicario generale della diocesi, monsignor Alberto Ponzi, che nella sua omelia, oltre a parole di gratitudine nei confronti dell’AC diocesana, ha espresso il desiderio che l’associazione  possa essere presente in ogni parrocchia, per la sua capacità di testimonianza nel formarsi e operare insieme per il bene della Chiesa. Guidati da queste parole, l’assemblea ha quindi iniziato i lavori di lettura e approvazione del documento programmatico per il prossimo triennio associativo; un documento che, alla luce del lavoro svolto nell’ultimo quadriennio, vuole lasciare delle indicazioni su come camminare nel futuro più prossimo, tenendo sempre gli occhi fissi su Colui che veramente indica la via giusta, Cristo Gesù. La lettura del documento è avvenuta alla presenza di alcuni rappresentanti nazionali dell’associazione che hanno espresso il loro plauso nei confronti dell’Ac di Anagni-Alatri, per la grande capacità dimostrata nel ripartire dopo un periodo difficile dovuto alla pandemia, e riuscendo a portare e a realizzare proposte e obiettivi di grande significato. Nel pomeriggio, alla presenza anche dell’assistente diocesano don Rosario Vitagliano, che non manca mai di accompagnare l’associazione tutta anche attraverso la preghiera, è stato approvato dall’assemblea il documento. A seguire, si sono svolte le votazioni per eleggere i membri del nuovo consiglio diocesano di Ac che dovrà riunirsi in prima convocazione mercoledì 18 febbraio per eleggere i responsabili del settore adulti e giovani e dell’articolazione dell’Acr e che avrà il delicato compito di presentare al Vescovo una terna di nomi dalla quale monsignor Ambrogio Spreafico trarrà il nome del presidente diocesano. Buon lavoro al nuovo consiglio e buon cammino a tutta l’AC. A cura della presidenza diocesana uscente