Alatri (ri)scopre i dipinti della Cappella di San Sisto

Domenica 21 aprile si è tenuto ad Alatri, nella Concattedrale di San Paolo, un evento di grande spessore culturale sulla biografia artistica della pittrice Maria Letizia Giuliani, autrice delle due opere che si trovano all’interno della Cappella di San Sisto e da pochi finora conosciuti. L’evento, voluto fortemente dal coro “In Laetitia Cantus“ in collaborazione con l’Associazione Gottifredo e il patrocinio della diocesi di Anagni-Alatri e del Comune di Alatri,  ha riscosso molto successo nonostante il pomeriggio piovoso. Tutto si è illuminato grazie agli interventi musicali del coro “In Laetitia Cantus” diretto dal Maestro Elisabetta Scerrato e con la bellissima spiegazione del professor Mario Ritarossi. È stato Carlo Fantini a moderare l’evento, introducendo i brani musicali e i tre interventi di Ritarossi, il quale è partito dalla biografia della pittrice fino ad arrivare alla spiegazione dei due dipinti. Maria Letizia Giuliani proveniva da una famiglia borghese romana numerosa, aveva studiato all’Istituto Magistrale e l’amore e la passione per l’arte le è stata trasmessa dal nonno materno, Eugenio Cisterna, artista, pittore e decoratore di chiese. La Giuliani si è poi formata nella Scuola Libera del Nudo dell’Accademia di Belle Arti di Roma, sviluppando una particolare attitudine nell’ideazione di cartoni per le vetrate d’arte e nella realizzazione di pitture murali. La famiglia Giuliani, infatti, avviò un’attività di artigianato artistico, la “Studio Vetrate d’Arte Giuliani”, destinata a diventare negli anni una delle più importanti della capitale. I due grandi dipinti, eseguiti nel 1932 per la Cappella di San Sisto ad Alatri, sono molto importanti e inediti perché il nonno Eugenio, a cui furono originariamente commissionate le opere, le affidò per intero alla nipote poco prima di morire. L’opera a sinistra raffigura l’ingresso nel 1132 delle reliquie del Santo all’interno della città di Alatri, accolte dal vescovo e da molti fedeli. Quella di destra racconta l’intervento miracoloso del Santo Patrono in occasione dell’assedio alla città di Alatri, compiuto da Federico II di Svevia nel 1243. Tra i presenti all’iniziativa anche il sindaco, Maurizio Cianfrocca, il quale ha sottolineato come nella città di Alatri ci sono ancora tanti tesori che devono essere portati alla luce, ma  che soltanto con la collaborazione di tutti questo potrà realizzarsi. di Emanuela Sabellico

Il vescovo: «San Sisto ci aiuti ad essere donne e uomini che profumano di pace e amore per tutti!»

Questo il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Ambrogio Spreafico nella Messa solenne in onore del patrono San Sisto, in Alatri, mercoledì 3 aprile 2024 ——————————————————————- Sorelle e fratelli, fare memoria di un santo non può essere la semplice ripetizione di un rito con lesue caratteristiche e reminiscenze (sarebbe troppo poco!), ma è poter rivivere la storia di qualcunoche ha accolto l’annuncio della Pasqua come una possibilità di vita e di futuro, non solo dopo lamorte, ma già nella vita terrena. Oggi siamo un po’ tutti facilmente chiusi in noi stessi, occupatinell’esecuzione dei nostri giusti doveri e impegni, a volte stanchi e pieni di paure e delusioni per unmondo dove si fatica a vivere insieme. Così cresce la tristezza, la rinuncia alla solidarietà, lo scontroinvece del dialogo. La rabbia e l’odio diventano un modo di vivere, diventano violenza. La guerraci sembra normale, anche se la detestiamo, ma forse solo per le sue nefaste conseguenze. Il facilegiudizio, in genere malevolo, ci tiene distanti degli altri invece di avvicinarci, ascoltarci e aiutarci.Che fare, ci chiediamo? O forse meglio: che posso fare io con tutto quello che ho già di mio? Cosìsi abbassa lo sguardo e si finisce per vedere solo se stessi e poco oltre. La Pasqua, fratelli e sorelle,anzitutto ci fa alzare gli occhi, come fece alzare gli occhi a Pietro e Giovanni. “Fissando lo sguardosu di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Era un poveretto, storpio fin dallanascita, che ogni giorno portavano alla porta del tempio, il luogo della preghiera, a chiederel’elemosina. Che fare? Quanti, come quell’uomo chiedono l’elemosina, chiedono cioè di esseraiutati, per le strade delle nostre città o davanti alle nostre chiese. Nella preghiera di quell’uomo sinasconde quella di un numeroso popolo di poveri, di anziani, di gente che non ha nulla, di famigliebisognose di tutto, di profughi da guerre e miseria, e molti altri. Chi li guarderà? Chi si fermerà adascoltare la loro supplica? La risposta di Pietro potrebbe sembrare non adeguata al bisogno diquell’uomo, eppure fu la risposta, perché i bisognosi e i poveri non si aiutano solo dando quantoessi chiedono. “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo,il Nazareno, alzati e cammina! Lo prese per la mano destra e lo sollevò”. Il Vangelo della Pasqua èuna forza di amore, è una parola che risponde al bisogno di vita, di guarigione dei tanti parte di quelpopolo, aiutandoci a prenderci cura di loro. Sì, possiamo superare la distanza dagli altri, da chi habisogno, guardando, avvicinandoci, dando la mano e sollevandoli dal loro dolore, dal male che liaffligge, con gesti e parole di speranza. Non sarebbe bello e umano un mondo così? I cristiani cicredono. Noi vogliamo crederci e per questo scegliamo di non scappare più davanti al bisogno e alladomanda di aiuto di un altro, come fecero il levita e il sacerdote della parabola del Buonsamaritano. Chi di noi non conosce qualcuno che avrebbe bisogno del nostro sguardo, di essereascoltato, delle nostre parole, della nostra cura? Non continuare a far finta di niente, maledicendo il tempo e il mondo, dando la colpa agli altri delle cose che non vanno, e rimanendo così triste e rancoroso, senza risolvere niente, come se il bene dipendesse solo dagli altri.Ma Gesù sa che facciamo fatica a fare questa scelta. Ci conosce. Sa che spesso camminiamodelusi e tristi, incapaci di alzare lo sguardo, di guardare oltre, oppressi dai nostri problemi e fatiche.Così si avvicina, come fece con i due discepoli che scendevano da Gerusalemme a Gerico. Oggi misembra di vedere il nostro santo patrono che cambia strada proprio per avvicinarsi a questa città e aognuno di noi, per aiutarci a credere in quell’amore in cui egli ha creduto, nel Vangelo della Pasqua,la buona notizia della Pasqua. Con Gesù si avvicina, ci parla, dialoga, ci chiede di spiegare la nostradelusione e la tristezza del cuore, e poi ci aiuta con le Sante Scritture, la Bibbia, quella parola di Dioantica con cui Dio Padre aveva parlato al suo popolo Israele e oggi in Gesù parla ancora a noi. Cosìci spiega con pazienza, e anche a noi comincia ad ardere il cuore, perché percepiamo il grandeamore che il Signore ha per noi e che vorrebbe noi vivessimo per essere un popolo fraterno, di genteche sa vivere insieme in modo rispettoso e pacifico, in cui tutti possano avere un posto e unadignità, quella che tutti trovano nella famiglia di Gesù, senza escludere nessuno.San Sisto, papa e martire, ci indica proprio questo. Papa, cioè segno di unità dei discepoli di Gesù– allora la Chiesa era unita – nella frammentazione di un mondo sempre più in guerra. Martire, unuomo che non ha rinunciato a credere che la fede nel Signore morto e risorto lo avrebbe salvatodalla morte eterna. Oggi si avvicina a noi, a questa città, a questa bella terra, per dirci: non averepaura, affidati al Signore, ascoltalo, e lui ti aiuterà, ti salverà e ti renderà forza di amore e di pace inun mondo che ama più la guerra della pace, ti darà lo sguardo per accogliere tutti come parte dellagrande famiglia umana, unita dall’amore di Dio e dalla tua responsabilità di renderla tale ognigiorno! Ricordati che troverai la felicità solo nel bene che saprai fare, nella scelta di prenderti curadegli altri, a cominciare da chi ha bisogno del tuo aiuto, del tuo ascolto, della tua parola, della tuatenerezza, della tua presenza amorevole. Signore Gesù, che ci hai dato San Sisto come amico epatrono, aiutaci con lui ad essere donne e uomini che profumano di pace e di amore per tutti! Amen

Omelia di San Sisto 2020

15 aprile 2020 – Alatri, Concattedrale Festa di San Sisto I, Papa e Martire Letture : At 3,1-10 Eb 13,7-20 Lc 24,13-35 “Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra” (Sal 120,1-2) E’ uno dei Salmi che accompagnavano i pellegrini che salivano verso il tempio di Gerusalemme. Sono parole di fiducia nei riguardi di Dio che è “nascosto” e spesso sembra dormire nell’ora della prova. Colui che ha risuscitato Gesù Cristo dalla morte è il nostro custode e non ci tradirà lasciandoci soli. In questo momento in cui tutta l’umanità è squassata dalla tempesta del Coronavirus e mille dubbi, ansie, preoccupazioni e paure sembrano travolgerci, da chi ci dobbiamo aspettare un aiuto? Da Dio, attraverso la scienza medica e la ricerca, dalla solidarietà e da una responsabilità assunta in pieno e decisamene condivisa. L’Amore non sopporta che i suoi figli siano inghiottiti per sempre dalla morte e che, soprattutto, siano travolti dalla disperazione. Dio continua a compiere i miracoli mediante l’opera dell’uomo per l’intercessione dei Santi. Oggi è il quarto giorno dell’Ottava di Pasqua: Cristo è risorto ed è vivo; è a fianco a noi e ci vuole vivi. Celebriamo la festa di San Sisto I, Papa e Martire nella luce pasquale e nella gioia di avere un futuro di vita. Dall’11 gennaio 1132, cioè dal giorno in cui le spoglie di San Sisto sono arrivate ad Alatri, è iniziata la storia di una bella amicizia tra gli abitanti di questa Città e il Patrono. Le vicende civili e religiose di Alatri hanno sempre trovato un contrappunto nella devozione profonda dei suoi abitanti verso il sesto successore di San Pietro da cui, soprattutto nei momenti di difficoltà, hanno ottenuto custodia e protezione. E’ così anche oggi. “Il nostro aiuto viene dal Signore” che ci custodisce attraverso i suoi Santi. Le pagine bibliche di oggi ci parlano della vittoria di Dio nella risurrezione del Crocifisso. Cristo, morto per amore, non poteva essere trattenuto più di tanto dalla morte. La Pasqua è la vittoria decisiva, anche se non definitiva di Dio sul male e sulla morte: “Morte e vita si sono scontrate in uno spaventoso duello. Il Signore della vita era morto. Ma, ora, vivo, trionfa”. Il Vangelo ci parla del Vivente che accompagna la speranza morta dei due viandanti di Emmaus in un cammino di risurrezione. La prima lettura ci presenta la forza della risurrezione all’opera nella storia. Dopo aver conquistato a fatica la fede, gli amici di Gesù continuano la sua opera di liberazione guarendo uno storpio alla Porta Bella del Tempio. La seconda lettura aggiunge che, nella ricerca della città futura, la carità e la comunione sono degli elementi irrinunciabili. Il vero culto è quello che parte dai “sacrifici” rituali ma sfocia nella vita e si celebra sulle strade e negli ambienti che frequentiamo. Da queste tre pagine bibliche raccolgo alcune indicazioni di non poco conto per la nostra fede. San Sisto ci è andato avanti nel viverle. Il testo degli Atti degli Apostoli ci racconta un miracolo e ci fa persuasi di come la missione liberatrice di Gesù continui in quella dei Suoi amici. Il Tempio era ancora una grandezza presente nella vita dei discepoli. Pietro e Giovanni vi si dirigono per la preghiera e incontrano uno storpio che chiede l’elemosina alla Porta Bella. Con uno sguardo, una parola e un gesto lo guariscono nel nome e con la forza di Cristo risorto. Pietro e Giovanni possono dare una mano al Signore per compiere il miracolo perché realizzano le condizioni chieste da Gesù per la missione. Il prodigio avviene perché, prima di tutto, sono in due, come indicato da Gesù che inviava i discepoli due a due (cfr Lc 10,1). Due testimoni dello stesso fatto erano più credibili. Inoltre, la prima testimonianza da dare era quella dell’amore reciproco. Inoltre, senza comunione non si annuncia il Vangelo. Essere in comunione è l’“arma” segreta dell’evangelizzazione, l’asso nella manica della Chiesa, l’esorcismo più potente contro il male. Gesù chiedeva ai missionari di avere un bagaglio leggero. D’altronde, nella vita, se abbiamo accanto qualcuno che ci vuole bene, di cos’altro possiamo aver bisogno? Inoltre Pietro e Giovanni non hanno “né argento né oro”. Il gesto di guarigione passa attraverso il discepolo spoglio di ogni potenza umana per riporre la sua fiducia esclusivamente nel Nome del Signore. Il vuoto di sé e di ogni sicurezza può, allora, essere riempito dal Nome che solo compie prodigi. Un Nome che è al di sopra di ogni altro nome e che non solo raddrizza lo storpio ma, permettendogli di camminare ed entrare nel Tempio, lo reintegra pienamente nel suo popolo restituendogli una dignità piena. Altri suggerimenti per la nostra fede li colgo nell’episodio dei due discepoli di Emmaus e nella compagnia di Gesù che li aiuta a passare dalla cecità alla luce, dal disconoscimento al riconoscimento, dalle dimissioni alla missione, dalla fuga al ritorno all’interno della comunità. Dopo la liturgia della strada, nella quale Gesù si fa raccontare la Sua morte e in cui i due discepoli prendono atto del naufragio del loro sogno e del fallimento della loro speranza, con la liturgia della Parola Gesù spiega loro le Scritture e come tutto il piano di Dio abbia potuto trovare il compimento nella Pasqua, in cui la Croce non era un incidente, ma la pienezza dell’amore. Con la Parola Gesù scalda il loro cuore: “Non ci bruciava, forse, il cuore mentre per via ci spiegava le Scritture?” (Lc 13,32). Infine la liturgia del Pane apre ai due amici gli occhi: “Lo riconobbero nello spezzare il pane” (Lc 13,31). La Parola accende il cuore, il Pane apre gli occhi. Parola e Pane cambiano il cammino, la direzione: “Partirono sen’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme” (Lc 24,33), nella comunità alla quale annunciano il Risorto. Quante suggestioni e quante luci di indicazione per la nostra fede! La fede, prima di tutto, non è “la religione delle bucce”. Non è un’avventura di