Quaresima di carità: sabato 23 la raccolta alimentare Caritas e Pastorale giovanile
Nell’ambito della Quaresima di carità 2024, attraverso la quale la Caritas della diocesi di Anagni-Alatri intende dare un aiuto concreto a tante famiglie in difficoltà, sabato 23 marzo ci sarà una raccolta alimentare straordinaria in molti supermercati dei vari centri del territorio diocesano. I supermercati che aderiscono saranno facilmente riconoscibili dalla seconda locandina che qui pubblichiamo di seguito e dunque… occhio a trovarli, come ci invita a fare la prima locandina: basta davvero poco per aiutare chi è in difficoltà. Quest’anno, inoltre, insieme ai volontari della Caritas è prevista la mobilitazione anche di tanti ragazzi della nostra Pastorale giovanile diocesana, per cui davanti ai supermercati potete trovarli, intenti a raccogliere le donazioni di alimenti non deperibili. Laddove non saranno presenti i volontari Caritas o i giovani, ci saranno comunque degli appositi carrelli della spesa per lasciare le donazioni alimentari. Nei giorni successivi alla raccolta, i pacchi di alimenti verranno distribuiti alle singole Caritas parrocchiali per i bisogni delle famiglie che assistono.
Il Vescovo agli operatori pastorali: «Unità e comunione»
Ecco il testo completo dell’intervento di monsignor Ambrogio Spreafico per l’incontro interdiocesano degli operatori pastorali, tenutosi nella chiesa di Santa Maria del Carmine, a Tecchiena, domenica 25 febbraio 2024: ——————————————————————– La Chiesa come assemblea Cari amici e amiche, come ormai si usa dire oggi, siamo qui nel tempo di Quaresima per aiutarci a vivere la nostra vita cristiana in questo mondo complesso e difficile, dove sembrano vincere le guerre e la violenza, ma insieme l’assuefazione che ti fa pensare che tanto tu non puoi mai far niente. A parte il lamento e la recriminazione, dipende sempre tutto dagli altri. All’inizio della quaresima abbiamo ascoltato un invito di Dio attraverso il profeta Gioele, che non viveva certo in un tempo migliore del nostro. “Ritornate a me”, ripete il Signore. E per ritornare dice al profeta: “Convocate un’assemblea”, un popolo, una comunità. “Ritornare” è cambiare e convertirsi, come si dice di solito. Ma convertirsi è tornare a Dio anzitutto. Ma, sottolinea il profeta, tornare insieme, come popolo, come comunità. Ma noi ci crediamo che la Chiesa è comunità, popolo, e non un insieme di individui, in cui ognuno fa la sua strada, che si incrocia con quella degli altri perché almeno ogni tanto, forse la domenica si incontra con quella degli altri? Siamo in un mondo di io. Il Covid lo ha evidenziato, ci ha abituato a stare da soli, a connetterci on line, ma non nella vita. E così spesso si continua. Cari amici, per sua natura, per fondamento, ogni cristiano appartiene a un “noi”, non è mai solo un individuo che cammina da solo. Questo è già evidente nell’esperienza del popolo di Israele come è narrata dalla Bibbia, poi fatta sua da Gesù di Nazareth e dalla Chiesa nascente. Israele si concepisce come popolo, come assemblea, come insieme di individui che condividono una fede e di conseguenza un’etica del vivere, che diventa anche un costituirsi particolare all’interno del mondo. Per l’Israele della storia ciò non ha mai significato l’identificazione con un particolare modello giuridico e politico: si è passati da una unità di tribù senza un governo unico (i giudici) alla monarchia (Davide…), all’assenza di qualsiasi espressione politica unitaria e indipendente (la diaspora), per poi giungere ai giorni nostri a uno stato, ma anche a un popolo che si riconosce nella dispersione dei popoli come partecipe di un’unità legata all’origine, solo in parte alla fede e a un’etica comune. Era tanto forte il senso di appartenenza e di interdipendenza che un profeta del VI secolo a.C., Ezechiele (cap. 18), dovette intervenire per affermare la responsabilità individuale di fronte al male commesso, per evitare che la colpa di un delitto fosse attribuita non all’individuo ma a tutta la sua famiglia. E’ la stessa convinzione che Gesù combatte nel racconto giovanneo del cieco nato in Giovanni 9. Quest’idea fortemente assembleare del vivere insieme dei credenti nel Dio di Israele contiene una verità affermata dalla Bibbia fin dall’inizio: la necessità del genere umano di concepirsi, e conseguentemente di vivere, come individui interdipendenti l’uno dall’altro. Il racconto di Caino e Abele, collocato proprio nei primi capitoli del libro sacro, costituisce un paradigma di questa necessità assoluta, perché il venir meno ad essa conduce a una violenza omicida che mette in pericolo il progresso stesso dell’umanità. Per la Bibbia non esiste un soggetto del tutto indipendente e quindi staccato dalla collettività. Lo stesso avvenne fin dall’inizio dell’attività di Gesù, che costituì un gruppo di uomini che lo seguivano stabilmente formando una comunità. Questa dimensione viene descritta come fattore essenziale delle prime comunità cristiane soprattutto negli Atti degli Apostoli. Il termine koinonia, comunione, ne è l’espressione compiuta. La Chiesa si costituisce così come una koinonia di uomini e donne che fanno riferimento a un unico Maestro e Signore. Atti 2,42-47 descrive in maniera concreta il senso della “comunione” della prima comunità di Gerusalemme, modello di ogni Chiesa locale, ma anche dell’insieme della Chiesa universale. .…Joseph Ratzinger scriveva in un articolo “La Chiesa «Communio»”: “In quest’unico testo (At 2,42) si delineano così i numerosi livelli della communio cristiana, che ultimamente rimandano a un’unica e identica comunione: la comunione con la parola di Dio incarnata, la quale mediante la sua morte ci rende partecipi della sua vita e ci vuole così condurre anche al servizio reciproco, alla comunione visibile e concreta” (in: Fede, ragione, verità e amore. La teologia di Joseph Ratzinger, un’antologia a cura di Umberto Casale, p. 342). La comunione ha un fondamento teologico, che poi si esprime, proprio per questo fondamento, come comunione tra uomini e donne. La koinonia è chiamata a diventare comunione di beni. I sommari del libro degli Atti (2,42-47,4,32-35; 5,12-14) non puntano sul distacco dai beni materiali o su un ideale di povertà. Invece, puntano sulla condivisione: se si condivide quello che si ha non è per essere povero, ma perché non ci siano poveri nella comunità. La koinonia prende il volto concreto quando c’è una condivisione che assicura a ciascuno quello di cui ha bisogno. Non esiste una comunità degna di questo nome se gli uni vivono nell’abbondanza mentre che gli altri passano la fame. La comunione come solidarietà e condivisione Nella comunione cristiana si vive perciò la solidarietà, soprattutto a partire dai membri più bisognosi. L’apostolo Paolo descrive molto bene l’appartenenza a un solo corpo, affermando che proprio le parti “del corpo che sembrano più deboli, sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto” (1 Cor 12,22-23). Così nella comunione della Chiesa l’attenzione e la sollecitudine per i poveri ha un innegabile primato, che già troviamo nei Vangeli e che Giovanni XXIII esplicitava in quella frase famosa: “Chiesa di tutti, e particolarmente dei poveri”. La ben nota “opzione per i poveri”, nata in comunità cristiane che contestavano la ricchezza interna ed esterna e chiedevano giustizia, è in verità parte integrante e necessaria del modo di vivere del cristiano. Negli Atti degli Apostoli la “comunione” si esprime anche nel fatto che “tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni