Mediterraneo, mare di pace: ad Anagni un incontro ecumenico

Mediterraneo: un ‘mare nostrum’ su cui si affacciano popoli e culture diverse che potrebbero vivere nel rispetto reciproco e nella pace.  Le tre grandi Religioni monoteiste confuse spesso come responsabili di guerre e tragedie, causate invece da bassi interessi economici e politici. La speranza è messa a dura prova. La domanda urgente è: cosa possiamo fare noi cristiani?  Andare controcorrente in un cammino “alla rovescia” e costruire la pace ad ogni costo. Ma la pace è un’utopia se manca la fraternità vera. Questo sarebbe il compito principale dei cristiani. Fondare la pace  su una fraternità sentita e vissuta sinceramente, partendo dal piccolo, dalle situazioni concrete di ogni giorno, per arrivare al grande. Costruire spazi di fraternità in cui conoscerci, scoprire le bellezze delle altre Chiese e imparare gli uni dagli altri. Esperienza vissuta sabato 16 marzo, in un incontro ecumenico svoltosi nella chiesa parrocchiale di S. Andrea ad Anagni.  Non a caso una chiesa intitolata all’apostolo  fratello di  Simon Pietro: due apostoli che simboleggiano le Chiese sorelle di Oriente e di Occidente. Cattolici e una rappresentanza di altre Chiese, riuniti per un dialogo con Mirvet Kelli (nella foto), teologa della Chiesa siro-ortodossa, nel quale si è avvertito il calore e la bellezza di essere insieme come fratelli e sorelle. Un viaggio nel mondo di una Chiesa, una delle più antiche, fondata già nell’anno 36 d.C., in Siria, dove è nato il nome di ‘cristiani’, che mantiene in parte la stessa lingua di Gesù e che oggi è ancora molto viva anche in Kerala (India). E poi i motivi storici che l’hanno portata a rimanere isolata, ma custodendo intatta tutta la fede in Cristo Gesù. Dopo ben 15 secoli, la sorpresa di rincontrarsi con la Chiesa cattolica in un dialogo teologico aperto, e le dichiarazioni reciproche di riconoscimento di professare la stessa fede nella divinità e nell’umanità del Cristo, pur esprimendolo in un linguaggio diverso,  di tutti e sette i sacramenti, di cui tre – come l’Eucarestia, la confessione e l’Unzione degli infermi – possono essere ricevuto dai cattolici e dai siro-ortodossi, in caso di necessità, (vedi Dichiarazione comune del Papa Giovanni Paolo II e del Patriarca  siro d’Antiochia Moran Mar Ignatius Zakka Iwas, del 1984). È scaturita una serie di domande pratiche riguardanti l’oggi, da cui  è apparso chiaro che anche  i documenti ufficiali delle Chiese che dichiarano l’unità, rimangono sulla carta se non vengono conosciuti,  e se non c’è di base un “dialogo della vita” in cui i cristiani vivano l’amore reciproco. Dialogo della vita che porta ad aprirsi anche a quello interreligioso, come Mirvet Kelli ha mostrato attraverso la sua esperienza diretta con il mondo musulmano, col quale i cristiani siro-ortodossi convivono  ogni giorno. Dialogo che non consiste nel voler convertire l’altro, ma nello stabilire  contatti personali, dando testimonianza di amore a tutti i costi sull’esempio di Gesù. Solo così crollano i muri del rifiuto, ostilità, disprezzo. E infine la preghiera, quella ‘del cuore’, che dalla testa scende a tutta la persona – facendosi respiro dell’anima – in un rapporto di amore, confidenza, umiltà, abbandono. Cuore col quale avvicinare ogni altra persona. “Mi ha dato una bellissima testimonianza di fraternità nella diversità delle religioni” è stato uno dei tanti commenti dei presenti. Rivolgersi a ogni persona con occhi nuovi, senza pregiudizi, senza rancori – singolarmente e insieme – sapendo che in ogni essere umano c’è una presenza del Creatore di tutto, è un bel programma per la Chiesa che desidera essere ‘casa e scuola di comunione’ e ‘in uscita’.      di Grazia Passa      Membro della Commissione diocesana dell’Ufficio per l’Ecumenismo  e il Dialogo interreligioso

Più unità, per la pace: la preghiera ecumenica interdiocesana

Tanti i fedeli che l’altro ieri sera, venerdì 19 gennaio, si sono ritrovati nella chiesa parrocchiale di Tecchiena per partecipare alla preghiera ecumenica interdiocesana, in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, Ambrogio Spreafico, il pastore Massimo Aquilante, della Chiesa Valdese, e l’evangelista Stefano Cacciatore, della Chiesa neo-apostolica, hanno offerto le loro riflessioni sistemandosi sotto una caratteristica tenda, a simboleggiare l’accoglienza, e non prima di aver bevuto un bicchiere d’acqua, offerto loro dal parroco di Tecchiena don Antonello Pacella, a significare invece l’ospitalità e la comunione, secondo una tradizione del Burkina Faso nei confronti di chi arriva stanco dopo un viaggio. Dopo l’introduzione di suor Gabriella Grossi, direttrice dell’Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso di Anagni-Alatri, e alcuni momenti di preghiera alternati a canti, il vescovo Spreafico ha invitato i presenti a meditare su alcuni punti, a partire dall’importanza del fare delle domande a Gesù, che vuole dialogare con noi, e poi rifacendosi alla parabola del buon samaritano, declamata poco prima: «Chi fu il prossimo di quell’uomo mezzo morto lasciato sul bordo della strada? Tutti e tre videro quell’uomo, ma uno solo si fermò. Eppure erano uomini religiosi, un sacerdote e un addetto al tempio.  Non basta essere frequentatori della casa di Dio per vivere secondo la sua parola e non secondo noi stessi. Noi vediamo tante immagini di donne e uomini mezzi morti o eliminati dall’odio, dalla violenza, dalla guerra, dall’abbandono della nostra società a volte crudele e disumana. Ma poi le immagini passano e si dileguano. Anche noi spesso passiamo oltre, dall’altra parte, scansiamo il dolore di quelle immagini. Chi si ricorda Cutro? Chi si ferma davanti alle immagini di morte, di guerra, di distruzione? E quante volte passiamo oltre il dolore e la solitudine di un’anziana sola o malata, che avrebbe bisogno di qualcuno che si accorga di lei, prima che muoia e venga trovata a casa magari dopo mesi?». Monsignor Spreafico ha quindi fatto un esplicito richiamo alla compassione «un sentimento attribuito solo a Gesù nel Vangelo, ma che cambia la scelta di quell’uomo che passava di là per caso e non aveva nulla a che fare con quel poveretto. La “compassione”, la scelta di immedesimarsi nella condizione dell’altro, chiunque sia, ma soprattutto in chi è nel dolore, chi è ferito dalla vita, rende la vita possibile, perché fa avvicinare, si fa cura, medicina. Ma non può fare tutto il samaritano. Tuttavia lo porta in un luogo dove qualcun altro possa continuare a prendersi cura di lui. Queste locande sono le nostre comunità. Nessuno riesce a far tutto da solo per gli altri, né per i poveri. Abbiamo bisogno di essere nel “noi” delle nostre comunità, che, come ha detto papa Francesco, dovrebbero essere come “ospedali da campo”». di Igor Traboni

Il vescovo alla veglia ecumenica: «La “compassione” rende la vita possibile»

La domanda del maestro della Torà, la Legge, era molto importante, direi una domanda legittima che esprime un desiderio di bene, di eternità, cioè di qualcosa che non finisce, che va persino oltre la nostra esistenza terrena. Noi, il mondo, siamo pieni di domande di questo genere. Tuttavia molte volte preferiamo non porle, non farle, soprattutto a Gesù, perché preferiamo rimanere come siamo, non essere disturbati, non essere messi in discussione. Gesù accoglie quelle domande e non risponde come avrebbe potuto, ma vuole dialogare con quell’uomo saggio. Così fa anche con noi. La sua Parola non si impone, ma è frutto di un dialogo, di domande a cui rispondere.  Così avvenne per quel saggio, che rispose ripetendo il grande e unico comandamento, che racchiude in sé tutta la legge. Non si accontenta tuttavia dell’apprezzamento del Signore, e vuole continuare a capire: “Chi è il mio prossimo?”. Conosciamo bene la parabola del Buon Samaritano. Chi fu il prossimo di quell’uomo mezzo morto lasciato sul bordo della strada? Tutti e tre videro quell’uomo, ma uno solo si fermò. Eppure erano uomini religiosi, un sacerdote e un addetto al tempio. Cari amici, non basta essere frequentatori della casa di Dio per vivere secondo la sua parola e non secondo noi stessi. Noi vediamo tante immagini di donne e uomini mezzi morti o eliminati dall’odio, dalla violenza, dalla guerra, dall’abbandono della nostra società a volte crudele e disumana. Certo vediamo. Ma poi le immagini passano e si dileguano. Anche noi spesso passiamo oltre, dall’altra parte, scansiamo il dolore di quelle immagini. Chi si ricorda Cutro? Chi si ferma davanti alle immagini di morte, di guerra, di distruzione? E quante volte passiamo oltre il dolore e la solitudine di un’anziana sola o malata, che avrebbe bisogno di qualcuno che si accorga di lei, prima che muoia e venga trovata a casa magari dopo mesi? Che cosa cambia la sorte segnata di quell’uomo mezzo morto? Si legge: “Un samaritano, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide, e ne ebbe compassione. Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò”. La “compassione”, sentimento attribuito solo a Gesù nel Vangelo, cambia la scelta di quell’uomo che passava di là per caso e non aveva nulla a che fare con quel poveretto. Cari fratelli e sorelle, la “compassione”, la scelta di immedesimarsi nella condizione dell’altro, chiunque sia, ma soprattutto in chi è nel dolore, chi è ferito dalla vita, rende la vita possibile, perché fa avvicinare, si fa cura, medicina. Ma non può fare tutto il samaritano. Tuttavia lo porta in un luogo dove qualcun altro possa continuare a prendersi cura di lui. Queste locande sono le nostre comunità. Nessuno riesce a far tutto da solo per gli altri, né per i poveri. Abbiamo bisogno di essere nel “noi” delle nostre comunità, che, come ha detto papa Francesco, dovrebbero essere come “ospedali da campo”. Allora capiamo la domanda di Gesù, che rovescia quella di quel saggio. Chi è il mio prossimo? Per scoprirlo devi “farti prossimo” altrimenti non lo capirai mai! Nella prossimità verso il bisogno degli altri sono certo che affretteremo il tempo dell’unità piena tra i discepoli di  Gesù, di cui il mondo ha tanto bisogno. Allora quel saggio del Vangelo rispose molto bene al Signore: “Quello che ha avuto misericordia (e non “compassione”, come traduce la Bibbia) di lui”. La misericordia, infatti, è la compassione diventata il nostro modo di vivere con gli altri. Facciamo come quell’uomo, se vogliamo costruire un mondo fraterno, dove ci sia posto per tutti, a cominciare dagli ultimi e dai poveri. Questa scelta ci renderà più uniti, un “noi” nel rispetto delle nostre diversità e aiuterà la pace nel mondo. “Chiese sorelle, popoli fratelli”, diceva Atenagora, patriarca di Costantinopoli, lui che aveva incontrato papa Paolo VI a Gerusalemme dopo secoli di distanza.

Venerdì 19 gennaio, a Tecchiena, la Preghiera ecumenica interdiocesana

Sarà la chiesa parrocchiale di Santa Maria del Carmine a Tecchiena di Alatri (via Cavariccio) ad ospitare, venerdì 19 gennaio con inizio alle 20.30, la preghiera ecumenica nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, Ambrogio Spreafico, presiederà la celebrazione, alla quale parteciperanno anche i rappresentanti delle Chiese presenti nel territorio delle due diocesi.In tutto il mondo, come sempre, la Settimana è prevista dal 18 al 25 gennaio perché compresa tra la festa della Cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo. Quest’anno verterà sul tema “Amerai il Signore tuo Dio e il tuo prossimo come te stesso”.