“Chiamati ad essere donne e uomini per gli altri”: le parole del vescovo alla Messa per il miracolo eucaristico di Alatri

Nel giorno in cui si rinnova la memoria del miracolo eucaristico dell’Ostia incarnata, mercoledì 13 marzo il vescovo Ambrogio Spreafico ha presieduto una solenne celebrazione della Concattedrale di Alatri, concelebrata con il vicario diocesano don Alberto Ponzi, il parroco don Walter Martiello, i parroci di Alatri e quattro sacerdoti della diocesi di Verona, nell’ambito di quel gemellaggio della fede su cui torneremo tra poco. Nell’omelia, dopo aver ricordato che l’Ostia incarnata «è un segno prodigioso e noi abbiamo bisogno anche di segni per ritrovare il senso della fede», il vescovo ha preso le mosse dal brano del Vangelo proclamato poco prima dal diacono Giovanni Straccamore (“In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita”) per rimarcare come «oggi è tanto difficile vivere, in un mondo dove ci sono quelli che uccidono gli altri, come è accaduto l’altro giorno a Frosinone o anche qui ad Alatri, e non una sola volta; in un mondo dove ci sono le guerre e tanta prepotenza, solo per affermare se stessi. Ma noi ascoltiamo Gesù che parla? Portiamo nel cuore quella Parola senza la quale non possiamo vivere? La Parola di Dio è presenza reale in mezzo a noi? Oggi invece diamo tutto per scontato, anche la violenza, e pensiamo sempre: ma cosa posso fare io?». Ma non è «continuando a vivere così così – ha aggiunto il vescovo – che le cose possono cambiare. Però siccome Dio è grande e noi siamo piccoli, anche se c’è tanta gente che si innalza e pensa di avere sempre ragione, Dio non ci condanna, ma continua a parlarci con grande amore e non si dimentica certo di noi», ha aggiunto Spreafico richiamando anche il testo di Isaia della prima lettura «Quanto è grande l’amore di Dio per noi – ha ripreso il vescovo – Ci conosce e sa che siamo un po’ così così: un giorno ascoltiamo e l’altro facciamo finta di niente. Ma Lui ritorna, ci riparla, rinnova il Suo amore. Il Signore ci ha formato e a noi cristiani, tramite il Battesimo, ci ha voluto profeti, donne e uomini portatori del Suo amore, della Sua presenza». Da qui, ha aggiunto monsignor Spreafico, discende che «abbiamo una missione: siamo chiamati ad essere donne e uomini per gli altri, ovunque ci troviamo, anche nel nostro piccolo mondo di questa terra. Il Signore conta su di noi: su ognuno, individualmente, e insieme, come popolo. Dobbiamo ritrovare questa capacità di essere profeti e portare agli altri luce e speranza, senza cedere alle armi di diversa natura, comprese le parole che spesso fanno male, e allora è meglio tacere che straparlare». Il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino ha quindi invitato i presenti anche ad abbandonare quel velo di pessimismo che spesso ci porta a dire «ma io cosa posso fare? Possiamo vivere la Parola che Dio ci ha donato, vincere la violenza con la mitezza, l’amore, la gentilezza, la tenerezza». A questo punto Spreafico si è rivolto ai sacerdoti e ai laici arrivati da Verona, dove nelle scorse settimane l’Ostia incarnata ha compiuto un pellegrinaggio di fede, ringraziando gli ospiti e salutando tramite loro il vescovo di Verona, Domenico Pompili, originario della diocesi di Anagni-Alatri e già parroco proprio della Concattedrale di Alatri. E a nome della diocesi veronese ha quindi preso la parola don Bruno Gonzaga, dopo aver donato alla Chiesa di Alatri una statua in terracotta di San Zeno, patrono di Verona, e aver ringraziato monsignor Spreafico e il sindaco Maurizio Cianfrocca, pure presente alla cerimonia accompagnato dal gonfalone ufficiale della Città di Alatri: «Il pellegrinaggio dell’Ostia incarnata a Verona è stato un segno straordinario di fede. Dovunque abbiamo avuto chiese piene, ad iniziare dalla Cattedrale, colma di fedeli fino all’inverosimile quando è arrivata la reliquia del miracolo di Alatri. Il pellegrinaggio ha avuto luogo in 15 chiese e in un monastero di clausura e dappertutto abbiamo avuto Messe molto partecipate, adorazioni notturne, file di fedeli ai confessionali. Davvero il Signore è passato in mezzo a noi perché è proprio vero che quando si muove Cristo, si muovono le folle», ha concluso don Gonzaga, anche lui, come tanti presenti, ancora visibilmente commosso. di Igor Traboni (nelle foto: un momento della Messa e il dono alla Chiesa di Alatri di una statua di San Zeno, patrono di Verona, da parte della diocesi veneta)

Mons. Spreafico: «Rispondiamo al male con il bene!»

Il vescovo Ambrogio Spreafico ha guidato, nella serata di martedì 12 marzo nella chiesa di San Paolo Apostolo a Frosinone, un momento di preghiera fortemente voluto dopo quanto accaduto a Frosinone sabato scorso e ad Anagni, sempre nei giorni scorsi. In tanti si sono ritrovati nella chiesa di viale Madrid, nonostante il tutto fosse stato organizzato neppure 24 ore prima, grazie al passaparola e alla notizia diffusa sui social. “Sia pace nelle tue mura, sicurezza nei tuoi palazzi”: questa la frase, presa dal Salmo 122 che poi è stato recitato a cori alterni, scelta per dare un titolo alla preghiera corale, proseguita con la declamazione del Vangelo (il passo di Luca 13, 1-5, in cui Gesù risponde peraltro al destino dei diciotto sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise) e quindi la riflessione del vescovo Spreafico: «Il mondo è pieno di violenza – ha esordito il vescovo – e davanti alla violenza tante volte, oltre a condannarla come è giusto che sia e a a perseguire coloro che la compiono attraverso le persone preposte a farlo e che lo fanno bene, noi  non facciamo niente. Ma poi ci siamo proprio noi, uomini e donne che vivono in questo mondo e in questa terra amata. E allora: basta condannare e giudicare? E’ facile essere giudici, ma è un tipico modo per allontanare il male. Ma il male resta! Noi invece dimentichiamo che il male esiste. E allora non possiamo restare indifferenti come spesso accade. Chi si ricorda dell’Afghanistan o della Siria? A malapena lo facciamo con la guerra in Ucraina, quando papa Francesco invoca la pace e magari si riaccende il dibattito. Ecco, noi siamo così: basta che il male non ci tocca e sono a posto. Ma dimenticare e far finta di niente – ha rimarcato con tono ancora più deciso monsignor Spreafico – non è giusto! Bisogna fare il bene, perché altrimenti questo mondo diventa un inferno. Nelle nostre città, poi, la violenza non è solo quella dell’altra sera; in via Aldo Moro non è che non succedono mai risse o atti di bullismo. E lo dico non per parlar male, ma perché bisogna essere vigili. E riandare alle parole di Gesù che dice: convertitevi! Per questo siamo qui – ha aggiunto Spreafico rivolgendosi ai presenti – perché dobbiamo cambiare noi stessi, rispondere al male con il bene! Il male è furbo: se lo lasci entrare, poi ti prende e non ti molla più, come la droga che gira, l’alcool, il gioco d’azzardo…». Il vescovo ha quindi proseguito sottolineando l’importanza della preghiera «che ci libera dall’essere solo di noi stessi, ci fa guardare in alto: Dio è luce, speranza, tenerezza, gentilezza, comprensione. La preghiera ci rende diversi: ecco il cambiamento! Ci uniamo in preghiera e siamo forza di bene, siamo luce del mondo, sale della terra. Sì. Siamo così, e dobbiamo crederci! Chiediamo al Signore – si è avviato a concludere il vescovo Spreafico  – di renderci pacificatori, luce per gli altri. Chiediamo che ci renda uomini e donne, fratelli e sorelle pacificatori. Perché il Signore non ci abbandona mai, non abbandona la nostra città e questa terra amata». Il momento di preghiera, accompagnato da una serie di canti, è poi proseguito con la recita del Padre nostro e, prima della conclusione, della “preghiera semplice” attribuita a San Francesco, con queste e altre parole (“Dove è tristezza, che io porti la gioia; dove sono le tenebre, che io porti la luce”) a risuonare nel silenzio carico di raccoglimento, per invocare ancora una volta la richiesta di “pace nelle tue mura”. di Igor Traboni

Contro la violenza momento di preghiera con il vescovo Ambrogio

Dopo l’omicidio di Frosinone e quanto verificatosi ad Anagni, dove un ragazzo è stato picchiato da un coetaneo, questa sera – martedì 12 marzo, chiesa parrocchiale di San Paolo, viale Madrid (quartiere Cavoni), a Frosinone, alle 19 – ci sarà un momento di preghiera contro la violenza, presieduto dal vescovo Ambrogio Spreafico.

Il vescovo al funerale di don Mariano: «Sacerdote buono, colto ma umile»

«Un sacerdote buono, pieno di amore e vicinanza verso le persone che man mano gli sono state affidate nel suo ministero pastorale: i seminaristi, i malati, i giovani, gli adulti. Un uomo colto ma al tempo stesso umile». Così il vescovo Ambrogio Spreafico, nella Messa per il funerale celebrata martedì 27 febbraio nella Concattedrale di Alatri, ha ricordato alcuni tratti salienti di don Mariano Morini, morto nel primo pomeriggio di lunedì 26 febbraio, a 84 anni. Il vescovo ha voluto ricordare per l’appunto anche la grande cultura di don Mariano, sempre accompagnata da uno spirito umile, con la sua profonda conoscenza dell’ebraico, del greco, del latino (sono passate alla storia le sue immediate traduzioni già quando i professori dettavano la traccia di una versione in italiano), della matematica, delle scienze varie, ad iniziare dalla sua passione per l’astronomia. Insieme al vescovo hanno concelebrato una quindicina di sacerdoti, alla presenza di tanti fedeli, soprattutto di San Silvestro, dove era stato amato parroco, e della Maddalena, altra comunità che ha servito. E non a caso i cori di San Silvestro e della Maddalena hanno accompagnato il rito funebre. Per tanti anni don Mariano è stato anche cappellano dell’ospedale di Alatri, sempre stabilendo con tutti – medici, personale parasanitario e degenti – un rapporto di vicinanza e presenza costante. Don Mariano era il primo di sei fratelli: due sorelle, Giuseppina e Elena, e tre fratelli Luigi, Carlo e Paolino. Ordinato sacerdote il 3 luglio del 1965, ha svolto il suo primo incarico presbiterale come vicerettore del seminario minore di Alatri, fino al 1978. Dal 1965 è stato  anche canonico del Capitolo Cattedrale di Alatri. Lasciato il Seminario, era diventato, come detto, cappellano dell’ospedale civile di Alatri e della chiesa della Maddalena. Nel 1992 è stato nominato parroco di San Silvestro e vi è rimasto fino al 2016. Dal 2008 è stato amorevolmente accudito nel Seminario di Alatri e Giovanni Meta è stato il suo badante. Anche il sindaco di Alatri, Maurizio Cianfrocca, in un post sui social ha voluto ricordare don Mariano e la sua grande azione pastorale, culturale e sociale a servizio della città

Il Vescovo agli operatori pastorali: «Unità e comunione»

Ecco il testo completo dell’intervento di monsignor Ambrogio Spreafico per l’incontro interdiocesano degli operatori pastorali, tenutosi nella chiesa di Santa Maria del Carmine, a Tecchiena, domenica 25 febbraio 2024:  ——————————————————————– La Chiesa come assemblea Cari amici e amiche, come ormai si usa dire oggi, siamo qui nel tempo di Quaresima per aiutarci a vivere la nostra vita cristiana in questo mondo complesso e difficile, dove sembrano vincere le guerre e la violenza, ma insieme l’assuefazione che ti fa pensare che tanto tu non puoi mai far niente. A parte il lamento e la recriminazione, dipende sempre tutto dagli altri. All’inizio della quaresima abbiamo ascoltato un invito di Dio attraverso il profeta Gioele, che non viveva certo in un tempo migliore del nostro. “Ritornate a me”, ripete il Signore. E per ritornare dice al profeta: “Convocate un’assemblea”, un popolo, una comunità. “Ritornare” è cambiare e convertirsi, come si dice di solito. Ma convertirsi è tornare a Dio anzitutto. Ma, sottolinea il profeta, tornare insieme, come popolo, come comunità. Ma noi ci crediamo che la Chiesa è comunità, popolo, e non un insieme di individui, in cui ognuno fa la sua strada, che si incrocia con quella degli altri perché almeno ogni tanto, forse la domenica si incontra con quella degli altri? Siamo in un mondo di io. Il Covid lo ha evidenziato, ci ha abituato a stare da soli, a connetterci on line, ma non nella vita. E così spesso si continua. Cari amici, per sua natura, per fondamento, ogni cristiano appartiene a un “noi”, non è mai solo un individuo che cammina da solo. Questo è già evidente nell’esperienza del popolo di Israele come è narrata dalla Bibbia, poi fatta sua da Gesù di Nazareth e dalla Chiesa nascente. Israele si concepisce come popolo, come assemblea, come insieme di individui che condividono una fede e di conseguenza un’etica del vivere, che diventa anche un costituirsi particolare all’interno del mondo. Per l’Israele della storia ciò non ha mai significato l’identificazione con un particolare modello giuridico e politico: si è passati da una unità di tribù senza un governo unico (i giudici) alla monarchia (Davide…), all’assenza di qualsiasi espressione politica unitaria e indipendente (la diaspora), per poi giungere ai giorni nostri a uno stato, ma anche a un popolo che si riconosce nella dispersione dei popoli come partecipe di un’unità legata all’origine, solo in parte alla fede e a un’etica comune. Era tanto forte il senso di appartenenza e di interdipendenza che un profeta del VI secolo a.C., Ezechiele (cap. 18), dovette intervenire per affermare la responsabilità individuale di fronte al male commesso, per evitare che la colpa di un delitto fosse attribuita non all’individuo ma a tutta la sua famiglia. E’ la stessa convinzione che Gesù combatte nel racconto giovanneo del cieco nato in Giovanni 9. Quest’idea fortemente assembleare del vivere insieme dei credenti nel Dio di Israele contiene una verità affermata dalla Bibbia fin dall’inizio: la necessità del genere umano di concepirsi, e conseguentemente di vivere, come individui interdipendenti l’uno dall’altro. Il racconto di Caino e Abele, collocato proprio nei primi capitoli del libro sacro, costituisce un paradigma di questa necessità assoluta, perché il venir meno ad essa conduce a una violenza omicida che mette in pericolo il progresso stesso dell’umanità. Per la Bibbia non esiste un soggetto del tutto indipendente e quindi staccato dalla collettività. Lo stesso avvenne fin dall’inizio dell’attività di Gesù, che costituì un gruppo di uomini che lo seguivano stabilmente formando una comunità. Questa dimensione viene descritta come fattore essenziale delle prime comunità cristiane soprattutto negli Atti degli Apostoli. Il termine koinonia, comunione, ne è l’espressione compiuta. La Chiesa si costituisce così come una koinonia di uomini e donne che fanno riferimento a un unico Maestro e Signore. Atti 2,42-47 descrive in maniera concreta il senso della “comunione” della prima comunità di Gerusalemme, modello di ogni Chiesa locale, ma anche dell’insieme della Chiesa universale. .…Joseph Ratzinger scriveva in un articolo “La Chiesa «Communio»”: “In quest’unico testo (At 2,42) si delineano così i numerosi livelli della communio cristiana, che ultimamente rimandano a un’unica e identica comunione: la comunione con la parola di Dio incarnata, la quale mediante la sua morte ci rende partecipi della sua vita e ci vuole così condurre anche al servizio reciproco, alla comunione visibile e concreta” (in: Fede, ragione, verità e amore. La teologia di Joseph Ratzinger, un’antologia a cura di Umberto Casale, p. 342). La comunione ha un fondamento teologico, che poi si esprime, proprio per questo fondamento, come comunione tra uomini e donne. La koinonia è chiamata a diventare comunione di beni. I sommari del libro degli Atti (2,42-47,4,32-35; 5,12-14) non puntano sul distacco dai beni materiali o su un ideale di povertà. Invece, puntano sulla condivisione: se si condivide quello che si ha non è per essere povero, ma perché non ci siano poveri nella comunità. La koinonia prende il volto concreto quando c’è una condivisione che assicura a ciascuno quello di cui ha bisogno. Non esiste una comunità degna di questo nome se gli uni vivono nell’abbondanza mentre che gli altri passano la fame.  La comunione come solidarietà e condivisione Nella comunione cristiana si vive perciò la solidarietà, soprattutto a partire dai membri più bisognosi. L’apostolo Paolo descrive molto bene l’appartenenza a un solo corpo, affermando che proprio le parti “del corpo che sembrano più deboli, sono le più necessarie; e le parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggiore rispetto” (1 Cor 12,22-23). Così nella comunione della Chiesa l’attenzione e la sollecitudine per i poveri ha un innegabile primato, che già troviamo nei Vangeli e che Giovanni XXIII esplicitava in quella frase famosa: “Chiesa di tutti, e particolarmente dei poveri”. La ben nota “opzione per i poveri”, nata in comunità cristiane che contestavano la ricchezza interna ed esterna e chiedevano giustizia, è in verità parte integrante e necessaria del modo di vivere del cristiano. Negli Atti degli Apostoli la “comunione” si esprime anche nel fatto che “tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni

Il vescovo incontra gli operatori pastorali

Il vescovo Ambrogio Spreafico incontrerà nel pomeriggio di domenica 25 febbraio gli operatori pastorali delle due diocesi unite in persona episcopi, ovvero Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino. L’appuntamento è per le 16 presso la chiesa parrocchiale di Santa Maria del Carmine, a Tecchiena (c’è anche la disponibilità di due ampi parcheggi per le auto dietro la chiesa). L’incontro, come di consueto, cade nel periodo di Quaresima e sarà dunque anche l’occasione propizia per prepararsi alla Pasqua, seguendo per l’appunto le indicazioni del vescovo. E sarà anche un modo per continuare a vivere la interdiocesanità tra le due Chiese vicine. A tal proposito, c’è da aggiungere che il prossimo appuntamento sarà per il 22 marzo, al Sacro Cuore di Frosinone, con la veglia di preghiera nella Giornata dei missionari martiri.

Azione Cattolica: assemblea diocesana e presto le nuove cariche

Atmosfera gioiosa e di trepidante attesa in casa dell’Azione Cattolica di Anagni-Alatri per la XVIII assemblea diocesana elettiva, tenutasi il 17 e 18 febbraio scorsi presso il Centro pastorale di Fiuggi, intitolata “Testimoni di tutte le cose da Lui compiute. Profezia di una presenza” e chiamata a rinnovare il consiglio di Ac diocesana per il prossimo triennio associativo 2024-2027. L’assemblea ha avuto inizio nel pomeriggio del sabato alla presenza del vescovo Ambrogio Spreafico, che ha guidato una lectio divina (nella foto il suo intervento) ispirandosi al capitolo sesto del Vangelo di Matteo, sottolineando la necessità di lasciarsi coinvolgere dallo stupore di ciò che accade intorno a noi, per contrastare la realtà dell’abitudine dalla quale sempre ci facciamo catturare; l’importanza di  ripensare l’autorevolezza di Cristo e non la sua autorità perché lui solo conosce cosa è bene per ciascuno di noi; l’importanza altresì di abbandonare l’idea di un Dio che si impone rispetto a Dio che vuole essere ascoltato perché parla solo per il nostro bene. In questo tempo di Quaresima, monsignor Spreafico ha inoltre voluto mettere l’accento su come l’elemosina ci apre alla gratuità, come la preghiera ci insegna a fare spazio al dialogo con Dio e come il digiuno sia separazione da tutto ciò che non è essenziale. E non ha mancato di rivolgersi direttamente all’Azione Cattolica diocesana, dicendo che essa ha un grande dono: quello di essere sempre capace di costruire qualcosa insieme, con gli altri e per gli altri, e che guidata dallo Spirito Santo è capace di condividere l’amore per Dio e per i fratelli. Concetti riascoltati in parte durante la Messa di domenica 18 febbraio, celebrata dal Vicario generale della diocesi, monsignor Alberto Ponzi, che nella sua omelia, oltre a parole di gratitudine nei confronti dell’AC diocesana, ha espresso il desiderio che l’associazione  possa essere presente in ogni parrocchia, per la sua capacità di testimonianza nel formarsi e operare insieme per il bene della Chiesa. Guidati da queste parole, l’assemblea ha quindi iniziato i lavori di lettura e approvazione del documento programmatico per il prossimo triennio associativo; un documento che, alla luce del lavoro svolto nell’ultimo quadriennio, vuole lasciare delle indicazioni su come camminare nel futuro più prossimo, tenendo sempre gli occhi fissi su Colui che veramente indica la via giusta, Cristo Gesù. La lettura del documento è avvenuta alla presenza di alcuni rappresentanti nazionali dell’associazione che hanno espresso il loro plauso nei confronti dell’Ac di Anagni-Alatri, per la grande capacità dimostrata nel ripartire dopo un periodo difficile dovuto alla pandemia, e riuscendo a portare e a realizzare proposte e obiettivi di grande significato. Nel pomeriggio, alla presenza anche dell’assistente diocesano don Rosario Vitagliano, che non manca mai di accompagnare l’associazione tutta anche attraverso la preghiera, è stato approvato dall’assemblea il documento. A seguire, si sono svolte le votazioni per eleggere i membri del nuovo consiglio diocesano di Ac che dovrà riunirsi in prima convocazione mercoledì 18 febbraio per eleggere i responsabili del settore adulti e giovani e dell’articolazione dell’Acr e che avrà il delicato compito di presentare al Vescovo una terna di nomi dalla quale monsignor Ambrogio Spreafico trarrà il nome del presidente diocesano. Buon lavoro al nuovo consiglio e buon cammino a tutta l’AC. A cura della presidenza diocesana uscente

Alatri: il vescovo in visita in ospedale e alla parrocchia della Fiura

Sabato 10 e domenica 18 febbraio il vescovo Ambrogio Spreafico ha fatto visita ad Alatri a due importanti realtà: una, l’ospedale San Benedetto, importante per l’intero territorio diocesano ma anche per quello provinciale, e l’altra – la parrocchia della Fiura – tra le più grandi presenze pastorali della città, con i suoi circa 4.500 abitanti e un territorio che arriva fino ai confini con Veroli e Collepardo. All’ospedale di Alatri il vescovo è stato accolto dal cappellano, don Alessandro Tannous, e con questi ha celebrato Messa al cambio turno delle 14, così da dare la possibilità a più personale possibile, sia medico che paramedico, di partecipare al rito, insieme ai malati che hanno potuto deambulare fino alla cappella ospedaliera. Spreafico, che ha così voluto suggellare le celebrazioni per la Giornata del malato insieme a quella interdiocesana di Fiuggi di domenica 11 febbraio, nel corso dell’omelia ha ricordato l’importanza di farsi prossimi con i malati e i sofferenti. La solitudine per queste persone è ancora più brutta, ha argomentato il vescovo, e tutti noi siamo chiamati a dare del tempo alle persone, a comunicare con gli altri, a non vivere isolati, in tanti “io” che non producono niente e che, anzi, fanno solo intristire le persone, giovani compresi, tutti intenti solo a pigiare sul telefonino, a chattare, senza curarsi del vicino di casa solo, dell’anziano che non ha nessuno che lo vada a visitare. Nella mattinata di domenica 18 febbraio, poi, il vescovo è tornato ad Alatri, nella contrada della Fiura e nella sua parrocchia, dedicata a Santa Maria della Mercede. Anche qui, insieme al sindaco Maurizio Cianfrocca,  è stato accolto da don Alessandro Tannous, il sacerdote che, insieme all’ospedale, porta avanti quest0altro compito pastorale. Originario del Libano, 47 anni, don Alessandro ora è anche cittadino italiano ed è parroco a La Fiura dal 2020, dopo aver servito in precedenza la parrocchia di Collepardo. Il vescovo Spreafico ha celebrato la Messa delle 11 e nel corso dell’omelia ha invitato a rapporti sempre più umani, nel segno della fratellanza e non di quelle critiche che servono solo a distruggere l’altro. «C’è bisogno di recuperare una dimensione sempre più umana e di costruire rapporti di armonia, di simpatia, senza star sempre lì a correre da una parte all’altra». Il vescovo ha benedetto anche gli anelli di una coppia di sposi della contrada, Giselda e Loreto, nel 50° di matrimonio e, al termine della Messa, si è intrattenuto a lungo con i fedeli per scambiare due chiacchiere.

Il vescovo pellegrino a piedi alla Santissima: «Camminiamo insieme»

Oltre duemila persone hanno partecipato, nella mattinata di venerdì 16 febbraio, al pellegrinaggio al santuario della Santissima Trinità, in occasione della festa dell’Apparizione, unico giorno in cui il sacro speco, chiuso da inizio novembre e maggio, riapre ai fedeli. In molti sono saliti a piedi da Vallepietra, guidati dal vescovo Ambrogio Spreafico, per un pellegrinaggio che è iniziato per l’appunto nella chiesa del piccolo borgo, dove il vescovo è stato accolto alle 7 del rettore del santuario e parroco di Vallepietra, monsignor Alberto Ponzi, e dal sindaco Flavio De Santis. «Ci tenevo tanto ad essere qui con voi, a farmi pellegrino con voi – ha detto il vescovo in un breve saluto prima della benedizione ai fedeli già radunati in chiesa – ed essere pellegrini vuol dire proprio questo: imparare a camminare con gli altri nella vita; durante un pellegrinaggio ci aiutiamo, ci sosteniamo; certo, ognuno ha il suo passo, ma nel cammino siamo sempre pronti ad aiutare gli altri. E non si va dove ognuno vuole, ma in questo caso insieme verso la Triniità». E così è stato: un fiume di gente ha quindi preso le mosse dalla bella piazzetta del paese, per inoltrarsi nei vicoli del borgo, quindi sfiorare le ultime case del paese, i campi coltivati, qualche cavallo e un asinello, il piccolo cimitero, un antico molino, zigzagando tra il Simbrivio che qui scorre, prima di gettarsi più a valle nell’Aniene. Così camminando, è stato anche recitato il Rosario, prima dell’ascesa vera e propria al santuario, dove alle 10.30 è stata celebrata la Messa, presieduta da Spreafico e con una decina di sacerdoti provenienti anche da diocesi limitrofe e pure dall’Abruzzo, alla testa di altrettante “compagnie” di fedeli. «E’ bello fare il pellegrinaggio in questo luogo dove veramente c’è il Dio unico in tre persone», ha detto all’inizio il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino. Ringraziamo il Signore che ci aiuta a stringerci attorno all’altare, ad essere una comunità di fratelli e sorelle, anche con la grazia di Dio del silenzio, in un mondo dove le chiacchiere si sprecano». Nel corso dell’omelia, e prendendo spunto dalla lettura di Isaia appena declamata, Spreafico ha fatto riferimento al tempo difficile in cui viviamo, dove anche oggi «ci sono pochi ricchi e tanti poveri, in un mondo profondamente ingiusto. Quanta gente porta dei pesi e noi non ce ne accorgiamo? Gli anziani delle Rsa, i malati, quelli che vivono da soli. Ma abbiamo mai bussato alla porta del vicino che non vediamo da giorni, invece di giudicarlo?». Spreafico ha quindi invitato i presenti a vivere la Trinità «in un mondo che dovrebbe essere di fratelli. E allora, ognuno di noi può costruire un mondo migliore, però finiamola di lamentarci, di svegliarci la mattina e ce l’abbiamo sempre con tutti. No, la mattina diciamo una preghiera, fermiamoci almeno un minuto con il Signore e poi quando usciamo facciamo un sorriso al vicino che magari ci sta poco simpatico. Questi si meraviglierà, ma l’avremo “convertito” ad una nuova umanità». Sul senso del pellegrinaggio , il vescovo è tornato quindi ad esaltarne la bellezza «perché i pellegrini si fermano se c’è uno in difficoltà, si salutano, fanno amicizia. E noi nella fatica non dobbiamo mai dimenticare gli altri. Abbiamo bisogno di quella gentilezza che rende la vita più bella. In questo tempo di guerre, di tante violenze, anche nelle nostre città, noi però non dobbiamo cedere alla paura: affidiamoci a Dio, tenendoci per mano, abbracciandoci. Perché l’amore fa vivere, mentre la solitudine abbrevia la vita. Ognuno di noi deve star bene dove sta, deve essere felice dove si trova, perché non è il posto, ma quello che hai dentro che ti cambia la vita». Spreafico si è avviato a concludere l’omelia, volgendo ancora una volta lo sguardo alla montagna che sovrasta il santuario, rivolgendo un augurio ai presenti, ma anche alle comunità di appartenenza e a quanti saliranno da maggio prossimo al santuario: «La Trinità vorrebbe che fossimo felici così: amandoci l’un l’altro. Chiediamo alla Trinità che ci faccia vivere proprio così». di Igor Traboni

Il vescovo Ambrogio: «La Quaresima un tempo in cui tornare al Signore»

Mercoledì delle Ceneri, quest è il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio Spreafico nella Messa nella Cattedrale di Anagni, 14 febbraio 2024 Sorelle e fratelli,oggi un invito pieno di amore raggiunge anche noi, come coloro che ascoltavano il profetaGioele in un tempo difficile, di guerra, carestie, sofferenza: “Ritornate a me con tutto ilcuore…ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira e digrande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”. Davanti al male si pensa di solito chenon si possa far niente o, per lo meno, che non dipende certo da noi se le cose non vanno beneo come noi vorremmo. Così cresce il pessimismo e l’indifferenza, mentre si aspetta che arrivifinalmente qualcuno che aggiusti le cose.Oggi, all’inizio della Quaresima, la parola profetica, una parola che ci aiuta a vedere le coseda un altro punto di vista, ci dice con chiarezza: “tornate” al Signore, perché ci aspetta nellasua misericordia, tenerezza, amore appassionato. Tocca a te, non ad altri. Anzi, tocca a noiinsieme, come assemblea, come comunità. Nella Bibbia questo invito è simile alle prime paroledi Gesù secondo il Vangelo di Marco, che il sacerdote ripeterà mettendo le ceneri sul capo diciascuno: “Convertitevi e credete nel Vangelo”, cioè cambiate voi stessi ascoltando il Signoreche vi parla. E si cambia tornando davanti a Dio, ascoltando la sua Parola. Capite allora il sensoprofondo dell’invito del profeta: tornare al Signore con tutto il cuore, perché così potremocambiare noi stessi, ma insieme, come comunità, come popolo di Dio. Ecco il segreto delcambiamento, che parte da noi stessi per rendere possibile il cambiamento del mondo. Nonriuscirai da solo. Hai bisogno di essere con gli altri, di andare insieme davanti al Signore, comefacciamo oggi.L’ invito è a radunare il popolo, a rendere possibile riunire tutti, dai vecchi ai fanciulli, dailattanti alla famiglia, dai sacerdoti a tutte le genti. L’inizio della Quaresima è una convocazionedella comunità perché, riconoscendo la nostra fragilità e il nostro peccato, possiamo rimettereil Signore al centro della nostra vita personale e comune e ricevere il suo perdono e la suacompassione. Le ceneri, che verranno poste sul nostro capo, ci ricordano proprio la fragilitàdella nostra condizione umana, quella polvere che noi siamo e a cui torneremo. Tuttavia, essaè animata dallo spirito di Dio, che le dà forma, animo, forza. Comprendiamo allora il bisognodel tempo che iniziamo, non un tempo triste, ma un tempo in cui tornare al Signore perricevere quella forza spirituale che potrà sostenere la nostra umanità e renderci sorelle efratelli, comunità in un mondo si cammina da soli, dediti a sé stessi, alla ricerca ansiosa delproprio benessere, prigionieri del nostro io. Il Vangelo ci indica, come ogni anno, i passi da compiere ogni giorno perché in questo tempopossiamo camminare insieme verso la Pasqua di morte e resurrezione del Signore Gesù:elemosina, preghiera, digiuno. Sono passi semplici quanto necessari. Comincia conl’elemosina, non con la preghiera, perché l’attenzione al bisogno dell’altro ti apre a Dio.L’elemosina ti libera dall’ossessione del possesso insegnandoti la gratuità del dono. Essa tirende felice, dà sollievo all’animo perché ti fa incontrare nel povero la presenza di Gesù. Ècome un atto di culto a Dio e ti fa incontrare con lui. La preghiera ci aiuta a vivere incomunione con il Signore. Nella preghiera la meditazione della Parola di Dio ci insegnal’alfabeto di Dio, ci dà parole, pensieri, sentimenti, con cui arricchire la nostra umanità. Ildigiuno è un gesto materiale di un digiuno spirituale, in cui prendiamo un po’ la distanza danoi stessi, da quel modo istintivo di mettere sé stessi al primo posto, che rende prepotenti,irritabili, rancorosi, protagonisti tristi, desiderosi di approvazioni e consensi. Insomma,l’elemosina ci fa generosi e gratuiti, liberandoci dal peso del possesso, la preghiera ci avvicinaal cuore di Dio, il digiuno fa esistere l’altro come parte del nostro essere donne e uomini di unpopolo che cammina insieme.Infine, Gesù invita a non esibirsi, a noi cercare approvazioni e consensi. Siamo assuefatti a unmondo in cui per esistere ci si deve esibire, mostrare se stessi, contare il numero deifollowers, degli amici che la pensano come te e ti scrivono “mi piace”, anche se basta a volte unclic per passare da amico a nemico. Non è nel consenso la felicità, ma piuttosto nel dare, nellagratuità dell’amore, nella comunione con Gesù, nella fraternità e nell’amicizia con i poveri enella tua comunità. Signore, aiutaci a vivere come tuo popolo, come comunità radunata dal tuoSpirito, per essere segno di amore e di pace in questo tempo di violenza e di guerra. Donaci digustare con te la gioia della fraternità e dell’amicizia con tutti, perché tu sei grande nell’amoree nel perdono. Amen!