Il vescovo ruandese Mwumvaneza in Ciociaria. Domenica 14 aprile Messa ad Anagni

Sabato 13 e domenica 14 aprile sarà ospite a Veroli, Ferentino e Anagni il Vescovo di Nyundo (Rwanda) Mons. Anaclet Mwumvaneza. Verrà a visitare il nostro Vescovo Ambrogio Spreafico, i sacerdoti rwandesi ospiti a Veroli e ad Anagni per motivi di studio, le suore Abizeramariya che hanno costituito da alcuni mesi una loro comunità a Veroli. Domenica 14 aprile, alle ore 11.30, Mons. Anaclet celebrerà la Messa nella Cattedrale di Anagni. Anaclet Mwumvaneza, 68 anni, è vescovo di Nyundo da 8 e dal  2000 al 2004 ha studiato in Italia, alla Gregoriana di Roma, conseguendo un Dottorato in Diritto Canonico.

Nominato il nuovo Economo diocesano

Il vescovo Ambrogio Spreafico ha nominato, a far data dal 1° aprile e “ad quinquennium”, il nuovo Economo diocesano nella persona del dottor Stefano Ambrosi. Succede al ragioniere Giorgio Iafrate, al quale vanno i più cordiali ringraziamenti per l’attento lavoro svolto in questi anni. Nel Consiglio diocesano per gli Affari Economici al posto di Stefano Ambrosi entra il signor Roberto Boccitto.

Il vescovo: «San Sisto ci aiuti ad essere donne e uomini che profumano di pace e amore per tutti!»

Questo il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Ambrogio Spreafico nella Messa solenne in onore del patrono San Sisto, in Alatri, mercoledì 3 aprile 2024 ——————————————————————- Sorelle e fratelli, fare memoria di un santo non può essere la semplice ripetizione di un rito con lesue caratteristiche e reminiscenze (sarebbe troppo poco!), ma è poter rivivere la storia di qualcunoche ha accolto l’annuncio della Pasqua come una possibilità di vita e di futuro, non solo dopo lamorte, ma già nella vita terrena. Oggi siamo un po’ tutti facilmente chiusi in noi stessi, occupatinell’esecuzione dei nostri giusti doveri e impegni, a volte stanchi e pieni di paure e delusioni per unmondo dove si fatica a vivere insieme. Così cresce la tristezza, la rinuncia alla solidarietà, lo scontroinvece del dialogo. La rabbia e l’odio diventano un modo di vivere, diventano violenza. La guerraci sembra normale, anche se la detestiamo, ma forse solo per le sue nefaste conseguenze. Il facilegiudizio, in genere malevolo, ci tiene distanti degli altri invece di avvicinarci, ascoltarci e aiutarci.Che fare, ci chiediamo? O forse meglio: che posso fare io con tutto quello che ho già di mio? Cosìsi abbassa lo sguardo e si finisce per vedere solo se stessi e poco oltre. La Pasqua, fratelli e sorelle,anzitutto ci fa alzare gli occhi, come fece alzare gli occhi a Pietro e Giovanni. “Fissando lo sguardosu di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Era un poveretto, storpio fin dallanascita, che ogni giorno portavano alla porta del tempio, il luogo della preghiera, a chiederel’elemosina. Che fare? Quanti, come quell’uomo chiedono l’elemosina, chiedono cioè di esseraiutati, per le strade delle nostre città o davanti alle nostre chiese. Nella preghiera di quell’uomo sinasconde quella di un numeroso popolo di poveri, di anziani, di gente che non ha nulla, di famigliebisognose di tutto, di profughi da guerre e miseria, e molti altri. Chi li guarderà? Chi si fermerà adascoltare la loro supplica? La risposta di Pietro potrebbe sembrare non adeguata al bisogno diquell’uomo, eppure fu la risposta, perché i bisognosi e i poveri non si aiutano solo dando quantoessi chiedono. “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo,il Nazareno, alzati e cammina! Lo prese per la mano destra e lo sollevò”. Il Vangelo della Pasqua èuna forza di amore, è una parola che risponde al bisogno di vita, di guarigione dei tanti parte di quelpopolo, aiutandoci a prenderci cura di loro. Sì, possiamo superare la distanza dagli altri, da chi habisogno, guardando, avvicinandoci, dando la mano e sollevandoli dal loro dolore, dal male che liaffligge, con gesti e parole di speranza. Non sarebbe bello e umano un mondo così? I cristiani cicredono. Noi vogliamo crederci e per questo scegliamo di non scappare più davanti al bisogno e alladomanda di aiuto di un altro, come fecero il levita e il sacerdote della parabola del Buonsamaritano. Chi di noi non conosce qualcuno che avrebbe bisogno del nostro sguardo, di essereascoltato, delle nostre parole, della nostra cura? Non continuare a far finta di niente, maledicendo il tempo e il mondo, dando la colpa agli altri delle cose che non vanno, e rimanendo così triste e rancoroso, senza risolvere niente, come se il bene dipendesse solo dagli altri.Ma Gesù sa che facciamo fatica a fare questa scelta. Ci conosce. Sa che spesso camminiamodelusi e tristi, incapaci di alzare lo sguardo, di guardare oltre, oppressi dai nostri problemi e fatiche.Così si avvicina, come fece con i due discepoli che scendevano da Gerusalemme a Gerico. Oggi misembra di vedere il nostro santo patrono che cambia strada proprio per avvicinarsi a questa città e aognuno di noi, per aiutarci a credere in quell’amore in cui egli ha creduto, nel Vangelo della Pasqua,la buona notizia della Pasqua. Con Gesù si avvicina, ci parla, dialoga, ci chiede di spiegare la nostradelusione e la tristezza del cuore, e poi ci aiuta con le Sante Scritture, la Bibbia, quella parola di Dioantica con cui Dio Padre aveva parlato al suo popolo Israele e oggi in Gesù parla ancora a noi. Cosìci spiega con pazienza, e anche a noi comincia ad ardere il cuore, perché percepiamo il grandeamore che il Signore ha per noi e che vorrebbe noi vivessimo per essere un popolo fraterno, di genteche sa vivere insieme in modo rispettoso e pacifico, in cui tutti possano avere un posto e unadignità, quella che tutti trovano nella famiglia di Gesù, senza escludere nessuno.San Sisto, papa e martire, ci indica proprio questo. Papa, cioè segno di unità dei discepoli di Gesù– allora la Chiesa era unita – nella frammentazione di un mondo sempre più in guerra. Martire, unuomo che non ha rinunciato a credere che la fede nel Signore morto e risorto lo avrebbe salvatodalla morte eterna. Oggi si avvicina a noi, a questa città, a questa bella terra, per dirci: non averepaura, affidati al Signore, ascoltalo, e lui ti aiuterà, ti salverà e ti renderà forza di amore e di pace inun mondo che ama più la guerra della pace, ti darà lo sguardo per accogliere tutti come parte dellagrande famiglia umana, unita dall’amore di Dio e dalla tua responsabilità di renderla tale ognigiorno! Ricordati che troverai la felicità solo nel bene che saprai fare, nella scelta di prenderti curadegli altri, a cominciare da chi ha bisogno del tuo aiuto, del tuo ascolto, della tua parola, della tuatenerezza, della tua presenza amorevole. Signore Gesù, che ci hai dato San Sisto come amico epatrono, aiutaci con lui ad essere donne e uomini che profumano di pace e di amore per tutti! Amen

Il vescovo Ambrogio in Cattedrale: «La Pasqua un nuovo inizio per noi e le nostre comunità»

Questo il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio nella Messa del giorno di Pasqua, celebrata nella Cattedrale di Anagni domenica 31 marzo 2024 —————————————————————- Sorelle e fratelli, l’annuncio della Pasqua giunse inaspettato, tanto che Maria di Magdala, e diseguito Pietro e l’altro discepolo, videro solo la pietra rotolata via dall’ingresso del sepolcro con iteli e il sudario, che avvolgevano il corpo di Gesù, posti nel sepolcro. Non sembra che avesserocapito, ma il Vangelo dice che l’altro discepolo “vide e credette”. Come e perché credette? Perchéaveva visto in quei teli stesi nel sepolcro che era avvenuto qualcosa di inaspettato, dei segni: ilSignore aveva vinto la morte. Sorelle e fratelli, a volte il nostro sguardo si ferma alla superficiedelle cose che vediamo, facciamo fatica ad andare nel profondo. Per questo spesso non si capisce lavita, il mondo, neppure noi stessi. Tutto è emozione, sentimento, superficie, sensazione, immaginiche passano veloci nel tempo di un WhatsApp. Davanti a quel sepolcro si deve entrare, vedere, conattenzione, e poi capire, anche se non c’è tutto già spiegato dall’inizio.È il discepolo più giovane, probabilmente Giovanni, che crede anche se non ha ancora incontratoil risorto. Ancora una volta un giovane, come nel racconto evangelico di Marco, letto nella Vegliapasquale. Lì è un giovane che annuncia alle donne impaurite che “Gesù non è lì, è risorto”.Generalmente siamo piuttosto come Pietro, un po’ increduli, e soprattutto non so se crederemmo aun giovane che ci parla di qualcosa di inaspettato e sconvolgente, quando fatichiamo persino adascoltare i giovani nelle cose normali.Abbiamo bisogno anche noi della Bibbia, la Parola di Dio, che ci aiuti ad entrare nella realtà diquanto è avvenuto, quelle Scritture di Israele che avevano parlato di un Dio che non avrebbepermesso che tutto finisse con la morte e che in Gesù di Nazareth realizzò quella parola. Sorelle efratelli, le Sacre Scritture, quelle che leggiamo nella Santa Celebrazione, e forse poco le meditiamopersonalmente e nelle nostre comunità, sono la via per entrare nelle profondità della storia e deglieventi, anche nella comprensione dell’azione di un Dio che aveva già parlato al suo popolo Israele eche oggi per mezzo del Figlio, parola di Dio fatta carne, continua a parlare anche a noi. Avevamoposto la Bibbia come guida per l’anno pastorale della nostra Diocesi. L’abbiamo presa sul serio?Essa è luce nella vita. È speranza nel buio del pessimismo e della delusione, come fu per i duediscepoli di Emmaus. È balsamo di guarigione per i poveri, gli anziani, i malati e i sofferenti. Èaccoglienza per chi è solo, escluso, straniero. È futuro per chi non lo vede e cammina comesonnambulo senza meta, accettando le cose come vengono, senza lottare e senza passione. È paceper i popoli in guerra – pensiamo soprattutto alla Terra Santa e all’Ucraina- ma anche per noi,perché impariamo a vivere come fratelli e sorelle invece di ostacolarci e contrastare gli altri comefossero sempre rivali. C’è bisogno di un lievito nuovo, che viene con la Pasqua. Il lievito era eliminato durante laPasqua ebraica, e il pane doveva essere azzimo, senza lievito, per ricordare quella Pasqua in Egittoprima della liberazione dalla schiavitù. Il lievito nuovo, sorelle e fratelli, ci è offerto dalla Pasqua dimorte e resurrezione del Signore, quel cibo che dà inizio a qualcosa di totalmente nuovo einaspettato. Sì, cari amici, con la Pasqua inizia un tempo nuovo per noi personalmente, per le nostrecomunità e per il mondo. Inizia il tempo della liberazione, della salvezza, quella che poi celebriamoogni volta con le nostre comunità, ascoltando la Parola di Dio e prendendo parte alla mensa delcorpo e del sangue di Cristo, l’Eucaristia. In essa scopriamo il segreto del nostro vivere insiemecome sorelle e fratelli, perché questa tavola ci libera dal nostro io e ci fa popolo, comunità, donne euomini che vivono in una fraternità universale, che nessuno esclude. Talvolta non crediamo chequesto sia possibile. Partecipiamo alla Santa Messa, ascoltiamo la Parola di Dio, prendiamo partealla mensa del suo corpo offerto per noi; ma che cosa cambia nella vita? La Pasqua è davvero unnuovo inizio. Lasciamoci ardere il cuore, come i due discepoli di Emmaus, da una Parola di vitaeterna che può cambiare noi stessi e il mondo, se la ascoltiamo, che può dare senso e speranza allanostra vita. Fidati! Puoi essere una donna e un uomo felice se accogli questo annuncio. Non ti tirareindietro! Non dire: sono quel che sono; oppure: ho già i miei problemi, non ho tempo per altro e peraltri. Nella Pasqua tutto si rinnova. Ma devi continuare a camminare insieme, con gli altri, acondividere la tua vita con i poveri e i bisognosi, ad essere parte di un popolo di donne e uomini chesiano segno di fraternità e di pace in questo mondo di guerre e di tanto odio e rabbia. Sii allora lucedi amore e di pace, di fraternità e di speranza per tutti, dai piccoli ai vecchi, dai poveri ai ricchi, dachi ti è amico a chi non ti vuole bene. Ecco la Pasqua, vero inizio di un tempo nuovo per te e per ilmondo intero. Grazie, Signore! Tu che hai vinto la morte, vinci le tenebre della guerra e dell’odio edona al mondo quella pace che non sa darsi da solo! Libera i cuori dalle incrostazioni di odio edall’inimicizia. Fa che tutti vedano nell’altro la tua immagine, quell’umanità che rende tutti fratellie sorelle! Padre Onnipotente, forza di vita, rendici discepoli del tuo Figlio, morto e risorto per noi,principio di vita nuova! Spirito Santo Amore, entra nei nostri cuori e trasformali con la potenza deltuo alito di vita! Amen! Alleluia!

Il messaggio del vescovo: «La Pasqua è pace. E si è felici se ci prendiamo cura gli uni degli altri»

Buona Pasqua a tutti. Abbiamo bisogno di buone notizie in questo tempo difficile, di grande sofferenza e violenza. E la buona notizia è il cuore del Vangelo: il Signore è risorto e ha vinto la morte. Questo Vangelo ci dà speranza, ci fa guardare al futuro, liberandoci dalla tristezza e dalla paura. Chi vive prigioniero della paura, finisce per credere che non si può vincere il male. Ma il male e persino la morte non sono la parola definitiva sull’esistenza umana. Gesù, dopo la resurrezione, appare ai suoi amici con le ferite della croce e chiede al discepolo Tommaso di toccare le sue piaghe; solo così l’apostolo avrebbe capito che queste piaghe sono segno di una ferita, di cui qualcuno si deve prendere cura. Anzi, proprio la fede nel risorto potrà essere l’inizio della cura: un invito incessante a non vivere per te stesso, per il tuo “io”, ma a considerarti parte di una relazione, di un “noi” di donne e uomini, a cominciare da coloro che incontri ogni giorno, e poi dai sofferenti e dai poveri. Il mondo è popolato di tanti “io” che, invece di lavorare insieme, si combattono. I discepoli e le donne, che, nonostante l’incertezza, la paura, i dubbi e l’incredulità, avevano seguito Gesù, dopo la Pasqua compresero, almeno, che si doveva stare insieme. Quelli che seguivano Gesù non erano pii israeliti, tutti perfetti e religiosi. C’erano donne peccatrici, c’era Levi il pubblicano, considerato peccatore perché riscuoteva le tasse per conto dei romani, c’era una folla di poveri e malati, c’erano fratelli focosi come Giacomo e Giovanni. Anche Pietro aveva sempre le sue ragioni. Persino Giuda, il traditore, non fu rifiutato da Gesù, che al momento dell’arresto continuò a chiamarlo amico: il Messia credeva all’amicizia. Nicodemo, che lo aveva incontrato di notte, perché si vergognava di farsi vedere dagli altri (come quando magari ci vergogniamo di dirci cristiani!), poi però lo difende e si presenta alla sua sepoltura insieme a un altro pauroso, Giuseppe d’Arimatea. Avevano capito che, in quell’uomo, c’era una risposta alla loro ricerca di saggezza. Gesù non ha bisogno di perfetti, tanto meno di maestri, ma di discepoli, gente comune, diversi tra loro, ma che accettano di essergli amici. Infine, la Pasqua è “pace”. Gesù lo dice più volte, dopo la resurrezione: “Pace a voi!”. È paradossale! Invece di prendersela coi discepoli, come faremmo noi, quando qualcuno ci offende o ci lascia soli nel bisogno, egli si presenta loro dicendo: “pace”. Sì, c’è bisogno di pace in un tempo che accetta la guerra come l’unica via alla pace, abbandonando la via del dialogo, e crescono le armi, il grande affare che va a gonfie vele sul mercato, mentre la distruzione, la morte, i poveri e le ingiustizie aumentano. Gesù ripete “pace” davanti alla normalità della rabbia e dell’odio. Che la sua pace vinca ogni freddezza, ogni indifferenza, ogni violenza e cambi il nostro povero mondo. Insegnandoci che si è felici se ci prendiamo cura gli uni degli altri. Senza escludere nessuno. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri Questo messaggio è stato pubblicato sul quotidiano Ciociaria Oggi nell’edizione di domenica 31 marzo 2024

Il vescovo alla Messa Crismale: “I cristiani segno di unità e umanità”

«Il mondo ha bisogno dei cristiani: di donne e uomini che sappiano essere segno di unità e umanità». Così il vescovo Ambrogio Spreafico nell’omelia della Messa Crismale, celebrata nel pomeriggio di mercoledì 27 marzo nella Basilica Abbazia di Casamari, alla presenza del clero della nostra diocesi e di Frosinone-Veroli-Ferentino, le due Chiese unite in persona episcopi. QUESTO IL TESTO COMPLETO DELL’OMELIA: Sorelle e fratelli, cari don Alberto e don Nino, e caro padre Abate Loreto, cari sacerdoti, diaconi, donne e uomini che con noi formate questo popolo santo, radunato dalla misericordia di Dio, che soprattutto in questa settimana riscopre la grazia di esserne parte, celebrando con tutta la Chiesa il cuore della sua vita di fede. Non sempre ne siamo consapevoli. Il mondo ci abitua all’io, ci induce a cavarcela da soli, finché ce la facciamo, a cercare ogni giorno affannosamente la via della felicità. Eppure, il Signore non smette di parlarci, di radunarci, di farci sentire la tenerezza della sua presenza, la forza del suo amore. Cari sacerdoti, il Signore ci ha chiamati e consacrati nonostante la nostra indegnità. Il suo Spirito è sceso su di noi perché fossimo profeti nel mondo e in ogni tempo, mandati come quel profeta che viveva in un tempo difficile del suo popolo, ad essere ministri della grazia di Dio, del suo amore per i poveri e i miseri, nei quali egli stesso si è identificato e sul cui amore saremo giudicati. È una grande missione anche oggi. È la nostra missione, anzitutto dei sacerdoti, ma anche di tutti noi, popolo di Dio e segno di unità della famiglia umana. Dovremmo riscoprirla ogni giorno come un grande dono di cui lo Spirito di Dio ci ha rivestito. Questa consapevolezza ci aiuterebbe ad essere “uno” in lui, e non individui che fanno tanta fatica a vivere gli uni con gli altri e per gli altri, a volte chiedendo attenzione e riconoscimenti, invece di essere strumento di unità. Le guerre, la corsa alle armi, la violenza del terrorismo, la violenza della vita di ogni giorno anche nei luoghi che abitiamo, l’incapacità delle nazioni a dialogare e a cercare vie di pace, l’esclusione dei poveri, l’indifferenza e l’abitudine ad accettare come normale l’odio, il litigio, il giudizio, la rabbia, non dovrebbero indurci a una ribellione interiore e a una rinnovata presa di coscienza della missione che ci è affidata? Invece, a volte perdiamo tempo in quisquiglie, in inutili quanto sciocche discussioni e prepotenze, cercando il proprio ruolo, talora insoddisfatti di ciò che uno vive oggi e alla ricerca di chissà quale spazio di felicità. Desideriamo che gli altri cambino, ma troppo poco ci poniamo la domanda del cambiamento di ciascuno di noi. Oggi il Signore ci rinnova il suo dono con generosità e fiducia. Il mondo ha bisogno dei cristiani, di donne e uomini che siano strumento di fraternità e unità, di benevolenza e speranza, luce di pace e di amore. Ha bisogno di noi suoi ministri. La Memoria della Cena del Signore, che celebreremo domani in tutte le nostre comunità, sia quella tavola della fraternità che veda noi sacerdoti pronti a distribuire quel cibo santo che sazia la fame di amore e di fraternità di ogni uomo e ogni donna. E gli oli santi, che consacreremo e benediremo, possano accompagnare la vita di tanti esseri umani dalla nascita alla morte, segnando la luce della presenza di Dio nella loro vita. Siamo come l’olio versato da quella donna durante l’ultima cena, olio di tenerezza, di amore, con cui lenire il dolore di un uomo che stava per essere messo a morte. Quanto ha bisogno il mondo di questo olio, che unito al balsamo che profuma, lenisce e guarisce le ferite del dolore e dell’abbandono! Non lasciamoci perciò prendere dal solito pessimismo delle statistiche, che vorrebbero indurci a celebrare il declino della Chiesa: pochi battesimi, pochi matrimoni, poche vocazioni; e così via. La tentazione è di ritirarsi in buon ordine o di gestire ciò che è rimasto, magari pensando che bisogna cambiare le strutture senza cambiare lo spirito o cercando uno spazio tranquillo a propria misura senza troppo affannarsi. Quanto è triste vivere così, soprattutto per chi come noi ha ricevuto una missione per il mondo! Oggi, cari amici, è tempo di svegliarci dal sonno, è tempo di farci toccare dalla Parola di Dio, da quel Vangelo del Signore crocifisso e risorto, che ci manda come pecore in mezzo ai lupi, alla violenza e all’odio. Rileggiamo con Gesù quel rotolo del libro di Isaia, che contiene le parole della nostra missione e la grazia per poterla realizzare. E la missione è sguardo verso il futuro, mai schiacciati dal presente. La missione cristiana è visione! Siamo insieme le due diocesi di Anagni-Alatri e di Frosinone-Veroli-Ferentino con i nostri sacerdoti, i diaconi, le consacrate e i consacrati, i nostri seminaristi. Sono certo che sono unite a noi le nostre claustrali, parte così preziosa del nostro popolo. Non è la prima volta. Diversi momenti di riflessione e di preghiera ci hanno visto insieme in questi mesi. Ringrazio tutti voi che avete lavorato fraternamente con generosità. Siamo un popolo multiforme, ma vorremmo essere davvero il popolo unito dall’alleanza che il Dio d’Israele ha suggellato con noi per mezzo della morte e resurrezione di Cristo. Le promesse che voi sacerdoti rinnoverete davanti al vescovo sono un impegno a vivere con passione, entusiasmo e generosità la missione che questa alleanza nel sangue di Cristo ci affida. Ci accompagni sempre la preghiera e la meditazione delle Sante Scritture, scrigno prezioso della saggezza che viene da Dio. E il nostro operare sia segnato dall’amicizia, dal rispetto, dalla condivisione con i tanti uomini e donne che con generosità e fedeltà formano con noi questo popolo santo. Tutti servi umili e pazienti, nessuno padrone! Uno solo è il Signore e il Maestro, noi tutti fratelli e sorelle. Il Cammino sinodale, che le nostre due diocesi stanno continuando con impegno, ci aiuti a crescere nella condivisione e nella testimonianza di unità. Sorelle e fratelli, viviamo con gioia

I riti della Pasqua con il vescovo Ambrogio

Il vescovo Ambrogio Spreafico celebrerà la Messa della Pasqua in Cattedrale, ad Anagni, domenica 31 marzo alle 11.30. Sarà invece interdiocesano il rito della Messa crismale del Mercoledì Santo, il 27 marzo: il vescovo Spreafico presiederà la celebrazione nell’Abbazia di Casamari, alle 17, con i presbiteri della diocesi di Anagni – Alatri insieme al presbiterio della diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino.Per quanto concerne ancora la Cattedrale di Anagni la veglia pasquale del 30 marzo avrà inizio alle 23; la Messa del Giovedì Santo alle 21 e la celebrazione della Passione, nel Venerdì Santo, alle 20.30.

«Sotto la croce invochiamo la fine di ogni violenza e guerra». Il vescovo alla veglia per i missionari martiri

Questo il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio Spreafico nel corso della veglia interdiocesana per i missionari martiri – Chiesa Sacratissimo Cuore di Gesù, Frosinone, venerdì 22 marzo 2024 ——————————————— I discepoli di Gesù erano appena usciti dal tempio di Gerusalemme, di cui avevano ammirato lamaestosità. Gesù parlò invece della sua distruzione. Ciò suscitò in Pietro, Giacomo e Giovanni ladomanda su quando ciò sarebbe avvenuto. Fratelli e sorelle, a volte noi ammiriamo giustamente lagrandiosità delle cose, siamo attratti dalla loro bellezza, e ancor più altrettanto giustamente cistupiamo quando questa bellezza viene intaccata o distrutta. Pensiamo alla distruzione provocatadalla guerra o dai cambiamenti climatici. La fine di qualcosa che avevamo ammirato giustamente cirattrista. Dimentichiamo tuttavia di essere fragili e di vivere in un mondo fragile. Ciò impaurisce erattrista, spesso fa chiudere in se stessi, fa isolare dagli altri, dalla consapevolezza di essere parte diun mondo di cui siamo tutti responsabili e anche fratelli e sorelle. I nomi, che leggeremo e a cui ciuniremo in preghiera, sono nomi di donne e uomini che a mani nude hanno confidato in Dio, che hapermesso loro di continuare a essere testimoni della forza mite e umile del Vangelo, unica forza chevince il male e persino la morte.Gesù per questo ben due volte ammonisce i discepoli: “”Badate che nessuno vi inganni…”; e piùavanti: “Badate a voi stessi”. Quel badate sarebbe da tradurre piuttosto con “Guardate!” Cari amici,“guardate”, ci dice il Signore. Apri gli occhi. Non far finta di niente quando vedi la violenza, ladistruzione, quando vedi il male avanzare e impossessarsi della vita, o quando ne vedi leconseguenze nelle ingiustizie e nella povertà di tanti esseri umani. Guarda! Non voltarti dall’altraparte davanti all’uomo ferito, come fecero il sacerdote e il levita della parabola del BuonSamaritano. Se non “guardi” con lo sguardo di Gesù, fai attenzione perché il male potrebbeimpossessarsi anche di te. Se tu invece saprai vedere la realtà e il mondo con lo sguardo illuminatodalla parola di Dio e dalla fede, non sarai irretito dal male e persevererai fino alla fine e così saraisalvo, come tutti coloro che hanno creduto nella forza dello Spirito di Dio, che li ha sostenuti esalvati. Siamo in un mondo distratto, che fa fatica ad assumere quello sguardo profondo che saandare alla radice della realtà, perché aiutato dalla Parola di Dio e dalla fraternità in cui vive, quelladelle nostre comunità, che ci aiutano e sostengono. Sì, la fretta e la distrazione fanno abbassare losguardo, fanno dimenticare, fanno ritenere il male come qualcosa solo di passeggero. Ma il malelascia tracce, lascia dolore, lascia morte. Siamo troppo distratti e il nostro sguardo spesso siannebbia, non va oltre noi stessi e il nostro quotidiano.Per questo siamo qui, per assumere lo sguardo di Dio. Vogliamo stare con te in questi giorni,Signore Gesù, poco prima che tu cominci il cammino verso la croce, rinunciando alla solita frettache ci fa stare lontani. Fa’ che ti accompagniamo come tuoi amici, come sorelle e fratelli consapevoli che solo andando dietro a te fin sotto la croce potranno partecipare alla gioia della resurrezione, alla vittoria della vita sulla morte. Siamo fragili, incerti, paurosi, dimentichi, distratti, ma i testimoni che ci hanno preceduto seguendo te, e non se stessi, oggi si uniscono a noi e con noi formeranno quel popolo che ti vuole accompagnare a Gerusalemme, dove dalla croce pregheremo con te il Padre assieme a tutti loro e a tutti coloro per cui tu ti sei addossato la croce del dolore: ipoveri, le donne e gli uomini che soffrono per la guerra, i piccoli, gli anziani, i profughi nei ghettidel mondo, i disprezzati, gli oppressi dalla solitudine, dallo smarrimento e dalla sfiducia. gliscartati. Sotto la tua croce, con Maria e Giovanni, invochiamo la fine di ogni volenza e guerra,soprattutto in quella terra che tu hai percorso nella tua vita terrena. Lo chiediamo a te: dona almondo la pace che gli uomini non sanno darsi e rendici tutti testimoni fedeli del tuo amore gratuito.

Il vescovo ai giovani: «Pensiamo alle croci del mondo»

«Cari giovani, vi chiedo di pensare alle croci del mondo. Noi che spesso siamo abituati a guardare solo a noi stessi, e poi succede come a Frosinone o come ad Anagni… Per noi l’importante è solo condannare e invece bisogna capire che il male è forte e che, se non stai attento, prima o poi il male lo prendi. Seguendo questa Croce, seguiamo un Uomo figlio di Dio, uomo fino in fondo, che non ha risposto alla violenza con la violenza. Noi siamo qui perché crediamo che la vera risposta al male è l’amore, la benevolenza, la mitezza, il perdono. Quando pensiamo ai nostri malanni, pensiamo invece alle tante croci che ci sono nel mondo: ai 60 migranti morti di fame e di sete su un barcone fatto solo di assi di legno e un po’ di gomma; alla guerra in Ucraina, ai morti di Gaza e a quelli attaccati da Hamas, ai 600mila profughi in un campo del Kenya. Ma pensiamo anche agli anziani soli nelle Rsa, ai poveracci per le strade, all’amico di scuola bullizzato. Basta con i lamenti e pensiamo invece a queste croci». Così il vescovo Ambrogio Spreafico ha introdotto, nella serata di venerdì 15 marzo, la Via Crucis dei giovani e giovanissimi, tenutasi ad Anagni e organizzata dalla Pastorale giovanile e vocazionale della diocesi. Sotto Porta Cerere si sono così ritrovati un centinaio di giovani e giovanissimi provenienti da diverse realtà della diocesi con i loro parroci, assieme ai seminaristi del vicino Leoniano, accompagnati da alcuni formatori, a un nutrito gruppo di suore, ma anche a diversi adulti che poi si sono uniti. Ogni “stazione” è stata “interpretata” proprio dai giovani dei diversi gruppi, con riflessioni e meditazioni mai banali, mai scontate, così da lasciare il segno in chi le ascoltava. Ed ecco allora, tanto per fare qualche esempio e proponendole volutamente in ordine sparso perché poi ognuno possa farne una sorta di collage, quanto meditato alla 5^ stazione, quando Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la Croce, con le parole di un giovane che si fa Cireneo per il suo papà, in maniera davvero toccante: “Mio padre è stato un ragazzo come me, che forse vuole il mio ASCOLTO, soprattutto in questo tempo di assenza relazionale, in cui la comunicazione virtuale ha preso il posto del DIALOGO. Voglio pregare per lui, per le croci che porta, per i suoi atti d’amore, non pronunciati e manifestati, perché io un giorno possa essere un padre capace di mettermi a servizio della fragilità degli ultimi”. E altre parole, sempre così cariche di amore da parte dei figli, sono state poi dedicate anche alle madri. Oppure all’11^ – Gesù inchiodato alla Croce – laddove “per mezzo di un dono totale di amore, vengono inchiodati su quella croce, insieme a Cristo, tutti nostri peccati. Nel cammino fino al Calvario, nel peso della croce, nei segni della sofferenza, nei chiodi che trafiggono mani e piedi, è scritto l’amore misericordioso del Padre per noi.”. O alla 10^ stazione – Gesù spogliato delle vesti – a riflettere sul fatto che “la cattiveria degli uomini oggi ha spogliato Gesù delle vesti, come ogni giorno ci spoglia della pace dei cuori, quando veniamo presi in giro, traditi nelle confidenze che facciamo agli amici, giudicati e non capiti”. Alla 13^ stazione, quando Gesù è trafitto da una lancia, vederlo “ancora lì, sulla croce. Un uomo in carne ed ossa, con le sue fragilità, con le sue paure. Ti vedo Gesù in quella umanità che spesso dimentichiamo di riconoscere in te e di ricercare in noi stessi e negli altri, troppo presi da una vita che spinge sull’acceleratore, ciechi e sordi di fronte alle difficoltà e al dolore altrui”. O ancora, alla 12^ e a Gesù che muore in Croce, con altri ragazzi che così hanno invitato a meditare: “Tutto è compiuto, tutto sembra essere finito. La terra trema, intorno è buio. Quando Gesù manca nelle nostre vite, quando pensiamo di poter fare a meno di Lui, quando viviamo senza Dio, la terra trema, intorno è buio. Quando usiamo violenza contro gli altri, quando discriminiamo, quando escludiamo, la terra trema, intorno è buio. Quando facciamo guerra, uccidiamo, calpestiamo, la terra trema, intorno è buio. Ma Gesù ci ha amati tanto da donare a noi il suo ultimo alito di vita, affinché noi potessimo vivere del suo stesso respiro. Quel respiro è vita, è pace, è accoglienza, è dono, è consolazione, è amore”. Fino alla quattordicesima stazione, a Gesù posto nel sepolcro: “Nell’oscurità del sepolcro tutto sembra essere finito e davanti al Tuo corpo noi siamo impauriti, smarriti…accasciati al suolo senza un’umana speranza nel futuro…ma proprio in questa paura e incertezza si rivela il più grande atto d’amore della storia…l’amore di Chi, senza limite, si dona…Dio fa generosamente offerta di se stesso. Il Tuo amore ci illumina, la Tua croce ci ha insegnato che la salvezza passa attraverso la sofferenza e la sconfitta…le Tue parole di vita ci hanno fatto comprendere che più forte della morte è questo Tuo amore…ecco l’alba della Resurrezione! Il buio che avvolge i nostri affanni, le nostre speranze, i nostri dubbi non sarà più buio se abbiamo il coraggio di aprire il nostro cuore alla luce sfolgorante della Tua Resurrezione!”. E così, in maniera semplice e composta, i giovani – illuminati non solo dalle fiaccole posate a terra ma soprattutto dai loro cuori –  hanno percorso il centro storico di Anagni, passando tra coetanei come loro seduti ai tavolini dei locali all’aperto, incuriositi ma rispettosi; tra chi rincasava o accompagnava il cane fuori, fermandosi anche loro, forse colti un po’ di sorpresa, per una Padre nostro e un’Ave Maria; con le imposte degli antichi palazzo aperte di scatto sulla notte anagnina e su quel brusio di altre preghiere proveniente da uno “strano” corteo di ragazzi, alternato a grandi silenzi da toccare con mano. Fino a piazza Innocenzo III e al saluto finale di don Luca Fanfarillo, responsabile della Pastorale giovanile diocesana, a ricordare che quell’andare appresso ad una Croce può