Mercoledì delle Ceneri: l’omelia del vescovo Ambrogio

Fratelli e sorelle, iniziamo il tempo di Quaresima con il rito antico delle Ceneri, che sanno imposte sul capo di ognuno di noi, mentre il sacerdote ripete in parte parole antiche della Bibbia quando il Signore si rivolse all’uomo ricordandogli di essere fatto di terra: “Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai” (Genesi 3,19). Queste parole non sono una minaccia, ma ricordano la nostra fragilità, la precarietà della vita. La pandemia, le difficoltà di questo tempo, la malattia, sono parte della condizione umana. Per questo abbiamo bisogno di essere rivestiti dalla forza che viene da Dio. Siamo qui per questo, cari fratelli. Il Signore sa che siamo polvere, fragili e incerti, ma non ci abbandona a noi stessi, bensì vorrebbe aiutarci a vivere felici anche nel momento della fatica e del dolore. Ci potremmo chiedere: come? Siamo sempre tentati di fare da soli. Magari nelle difficoltà stringiamo i denti piuttosto di chiedere aiuto e di lasciarci aiutare. Il Signore lo sa. Per questo ci raccoglie nella sua famiglia, nel suo popolo, ci rende fratelli e sorelle, Qui noi gustiamo la gioia della fraternità, la felicità di sostenerci e di prenderci cura gli uni degli altri. Il tempo di Quaresima è il tempo del popolo che cammina insieme, che cerca insieme, facendosi guidare dal suo Signore, bisognoso di camminare dietro a lui insieme agli altri. “Tornate a me con tutto il cuore, con digiuni pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”. E poi: “Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini e i lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo”. Ecco: usciamo tutti per essere popolo, per camminare insieme, per essere una risposta di amore e di pace in questo tempo difficile di violenza e di guerra. In questo popolo ci sono tutti: piccoli, giovani insieme agli anziani, italiani e stranieri, poveri e ricchi, colti e meno colti. Tutti insieme fratelli e sorelle. È la famiglia di Dio, quella che manca al mondo. Torniamo allora insieme verso di Lui, il Signore misericordioso e pietoso, lento all’ira e di grande amore. Lui ci aspetta, vuole incontrarci, desidera camminare con noi, farci strada, essere luce nel buio della paura, perché siamo felici con lui. Ma si deve uscire dalle abitudini, dall’idea che ci salviamo da soli, dalla frenesia della vita, che vorrebbe toglierci questi spazi di riflessione e di preghiera con gli altri. La fretta uccide lo spirito! Toglie l’anima. Il Vangelo ci indica la via, liberandoci dalla facile ricerca di apparire, dai facili protagonismi che non portano a nulla, se non alla divisione e alla prepotenza. Facciamo nostre le parole di Gesù nel cammino della Quaresima: elemosina, preghiera, digiuno. L’elemosina apre il cuore alla gratuità del dono e dell’amore in un mondo spesso calcolatore, in cui si da per ricevere, dimenticando che la gratuità del dono è l’unica vera libertà e felicità. Poi la preghiera, che si vive in molti modi, qui durante la Santa Messa, a casa, nei momenti comuni in cui ascoltare la Parola di Dio, meditando le Sacre Scritture, pregando con quelle semplici preghiere che conosciamo. La preghiera trasforma la nostra umanità, ci fa immaginare il futuro con lo sguardo largo di Dio, quindi ci dà speranza in un tempo in cui è facile rassegarsi a quello che accade, senza scegliere, decidere, costruire un’alternativa, lavorare per un mondo più umano e più giusto. Il digiuno. Quello dal cibo ci ricorda che ci sono tanti che non hanno il necessario e ci libera dall’avidità dell’avere, dell’accumulare, di un benessere che stordisce e illude che la felicità stia nel possesso, in ciò che abbiamo o vorremmo avere. Poi esiste anche un digiuno spirituale, che implica essere più distaccati da noi stessi, dalla prepotenza dei nostri pensieri e delle nostre convinzioni, riconoscendo che nessuno di noi ha tutta la verità e soprattutto che nessuno è del tutto buono o nel giusto. Così avremo la ricompensa, che consiste nella presenza amorevole di Dio che sostiene la nostra umanità e ci rende popolo di donne e uomini che diffondono amore e pace. Cari fratelli e sorelle, ringraziamo il Signore per questo tempo opportuno per condividere la nostra vita camminando insieme, ascoltando il Signore che ci parla, verso la Pasqua del Signore, passaggio dalla morte alla vita, cuore della nostra vita di fede.

L’omelia del vescovo Spreafico al funerale di Thomas Bricca

Romani 8,14-23; Giovanni 19,25-30 Cari fratelli e sorelle, cari Paolo e Federica, siamo qui insieme raccolti dalla mano del Signore per accompagnare con la preghiera Thomas, stroncato dalla violenza omicida. Siamo ancora smarriti e increduli, a cominciare dai suoi familiari e amici. Ho voluto essere qui con voi per condividere il vostro dolore unendoci nella preghiera. La morte è una ferita profonda, provocata dalla forza del male, ancor di più una morte violenta come quella che ha colpito Thomas a 19 anni. Così lo hanno descritto alcuni di voi: “un ragazzo con il sorriso”. Davanti al dolore e alla morte scopriamo la nostra fragilità, la nostra umanità ferita, e comprendiamo che anche Thomas aveva le sue fragilità. E a volte dietro il sorriso si nasconde una domanda di vicinanza, aiuto. Non dimentichiamo mai che dietro un volto, uno sguardo, c’è una donna, un uomo, un ragazzo, un giovane, che ha domande, ha bisogno di essere ascoltato, capito, aiutato.  Oggi forse ci mancano le parole, anche se ne abbiamo molte nel cuore e nei pensieri, forse vorremmo esprimere dispiacere, anche rabbia, ma, vi chiedo, mai di vendetta, come ci ha detto più volte il padre di Thomas di non dire. Per questo siamo qui. I nostri sentimenti e le nostre parole inespresse qui diventano preghiera, quella preghiera che spesso si ritiene inutile e che quindi non siamo più abituati a fare. Il Signore la ascolta, e vuole aiutarci. Il Signore non è mai distratto, sempre ascolta il dolore, la sofferenza, il lamento. A volte ci dimentichiamo di questa mano tesa di Gesù alla nostra vita, come dimentichiamo che siamo uomini e donne bisognosi di aiuto e di amicizia. Ma Gesù è venuto per questo. Ci parla per questo. Vorrebbe darci le parole e i sentimenti giusti che a volte ci mancano. Nella prima lettura l’apostolo Paolo ci ha parlato proprio della fragilità della vita, dell’intero creato, tanto che esso geme e soffre come una donna che deve partorire. A volte dimentichiamo questa fragilità e nella vita vince l’isolamento, l’egoismo, la prepotenza, quel protagonismo che esclude gli altri. Altre volte nella fragilità ci lasciamo ingannare da soluzioni illusorie o false promesse che sembrano dare certezze e felicità. Ma sono solo illusione. Si deve fare attenzione, perché se cedi al male una volta, pensando che tanto è una volta, poi il male si installa nella tua vita e diventa difficile liberarsene, guarire. Voi ragazzi amici di Thomas, eravate qui vicino, parlavate tra voi, come altre volte. Ma si deve parlare con sincerità, in modo pacifico, anzitutto ascoltandosi. Non è accettabile rendere la parola scontro, litigio, fino a venire alle mani, come avviene a volte nelle nostre città. Quando vi trovate per parlare, fatelo per aiutarvi, sostenervi. Mai nessuno contro un altro, altrimenti si rischia di diventare come delle tribù che finiscono per combattersi per difendere ciò che è loro. Purtroppo, il mondo in cui siamo è spesso un mondo tribale tribale. Si fatica a vivere insieme, perché ognuno, ogni gruppo, difende se stesso, il proprio modo di pensare, il proprio territorio. Da qui nasce la violenza, che diventa incontrollabile. La guerra non è che la conseguenza di questo modo di pensare, come vediamo in Ucraina. Eppure, vedete come ci aiuta essere insieme! Questa è l’unica possibilità che abbiamo per essere felici e costruire un mondo umano e fraterno. Un’ultima cosa vorrei dirvi. Davanti a noi, come in ogni chiesa, abbiamo il crocifisso. Ci ricorda la vicenda terrena di un uomo, figlio di Dio, che è venuto in mezzo a noi per condividere fino in fondo la nostra umanità, persino la morte. Era buono, faceva del bene a tutti, ascoltava, aiutava, guariva. Era felice di stare con gli altri. Eppure, il suo amore sembrava eccessivo, non piaceva. Per questo fu ucciso da mani violente, appeso alla croce. E da lì venne la vita, la resurrezione, perché Dio Padre non poteva permettere che la vita di Gesù finisse con la morte. Tra i dolori della croce Gesù ancora ci stupisce: vede sotto la croce Maria sua madre e il discepolo che amava, Giovanni, l’unico uomo rimasto.  In mezzo al dolore atroce si preoccupa di loro, li guarda e dice: “Donna, ecco tuo figlio, … Figlio, ecco tua madre”. E da quel momento il discepolo la prese con sé”. Quanta tenerezza in queste parole. Oggi credo che Gesù le dica a noi tutti, a cominciare dai familiari di Thomas, dai suoi amici. Ci affida l’uno all’altro, perché ci aiutiamo, ci abbracciamo, ci accogliamo con affetto, asciughiamo le lacrime gli uni degli altri. Thomas, mi hanno detto, era inclusivo, non escludeva nessuno. Questa è la vita, cari amici, Questa è la felicità vera anche nel dolore. Volersi bene, abbracciarci, sentirci parte di un popolo di fratelli e sorelle, che sanno che il segreto della vita sta nel non cedere al male, nell’amore vicendevole, che il Signore viene ad aiutarci a vivere. Non abbiamo bisogno tutti di questo? Chiediamocelo. Aiutiamoci. Consoliamoci. E poi il Signore da questo ci dona anche la vita senza fine, quella per cui noi preghiamo oggi per Thomas, perché sia accolto nella pace del Paradiso, lui che è stato strappato violentemente al vostro affetto e alla vita terrena. E noi lavoriamo per il bene, per condividere pacificamente la vita con gli altri, lasciando da parte ciò che divide, parole e gesti che siano. Il mondo e noi abbiamo bisogno di pace e fraternità, altrimenti prevarrà sempre la violenza. E la violenza prima o poi porta alla morte. Noi non lo vogliamo. Noi ci impegniamo perché non succeda più qui ad Alatri e in nessuna altra parte del mondo. Ci impegniamo per non essere mai indifferenti davanti al male e al dolore, mai! L’indifferenza, come l’omertà, sono complicità! Chiediamolo anche al Signore nella preghiera, perché la preghiera apre il cuore all’amore e rende più umani e fratelli. Affidiamoci alle mani di Gesù e lui ci condurrà insieme alla felicità e a una vita piena di bene e di amore. Includiamo gli altri nel nostro

“Perché non accada mai più”: il vescovo Spreafico al funerale di Thomas Bricca (Video)

Sono stati celebrati venerdì 10 febbraio, nella Concattedrale di Alatri, i funerali di Thomas Bricca, il giovane di 19 anni ucciso 10 giorni fa nel centro storico della cittadina. La cerimonia è stata officiata dal vescovo Ambrogio Spreafico. Giovedì prossimo si terrà invece una veglia di preghiera, sempre con il vescovo Spreafico, proprio nel luogo in cui è stato ucciso Thomas.

L’omelia del vescovo Spreafico per la Giornata della vita consacrata

Giornata della vita Consacrata – 2023 Malachia 3,1-4; Luca 2,22-40 Cari fratelli e sorelle, celebriamo questa festa sempre bella, che fa memorai della presentazione di Gesù al Tempio di Gerusalemme, perché ci introduce nella luce che per noi è il Signore, Parola di Dio fatta carne. Sì, luce. Abbiamo bisogno di luce in questo mondo dove si lasciano spesso gli uomini e le donne al buio, il buio della guerra, della solitudine, del carcere, dell’abbandono; il buio di chi è scartato, rifiutato, come i migranti, o tanti poveri che vivono il freddo di questo tempo o quegli anziani che non vedono più neppure la luce di un loro familiare. Gesù viene, parla e illumina la vita, il mondo. Sappiamo accogliere questa luce noi, che abbiamo risposto alla chiamata del Signore a seguirlo in modo particolare? “Chi sopporterà la sua venuta? Chi resisterà al suo apparire?”, dice il profeta Malachia. A volte noi ci abituiamo alla sua presenza. La sua luce, la sua venuta, ci sorprendono ancora o sono imprigionate dalle abitudini? Simeone e Anna furono persone dell’attesa. Venne Gesù e si rallegrarono e lodarono Dio per quella luce che dava compimento alla loro attesa e anche alla loro vita. Quanto è facile far rientrare tutto, anche la nostra consacrazione al Signore, in una quotidianità ripetitiva, che poco si interroga e quindi non cambia se stessa. Care sorelle e cari fratelli, ricordiamoci di quando il Signore ci ha chiamato a seguirlo, a stare dietro a lui, ad accogliere la sua Parola come luce per il nostro cammino. Ci ha posto nella Chiesa e nel mondo, non solo nelle nostre comunità. Noi siamo al servizio del mondo in cui siamo. L’alleanza con il Signore ci rende popolo, non realtà chiuse in se stesse, che faticano a interrogarsi sul senso del loro carisma in questo cambiamento d’epoca. Voi portate nelle vostre comunità, in maniera diversa, la ricchezza di una storia che ha segnato la vostra vita e la porzione di Chiesa in cui siamo. Ringraziamo il Signore per questo, lodiamolo con rinnovata fiducia. E io vi ringrazio per la vostra operosità generosa e il vostro impegno umano e spirituale, segno prezioso in questa terra. Proprio da questa storia di fede nasce la domanda di come continuare a comunicare il vostro carisma alle persone di questo tempo, come rispondere alla loro ricerca, alle loro domande, alla fatica della loro vita. La tragica morte di Thomas ad Alatri, già segnata nel 2017 dalla uccisione di un altro giovane, Emanuele Morganti, rivela la violenza del mondo in cui siamo, che coinvolge spesso i giovani. Dove siamo davanti a questi fatti, che dietro la violenza di parole e gesti rivelano disagio, smarrimento, domande di senso e di futuro? Dove sono le nostre comunità cristiane? Dove sono gli abitanti di questa terra? Non siamo chiamati a giudicare, tanto meno vorremmo tirarci fuori e lasciar prevalere l’abituale omertà e indifferenza, complici occulte della morte. Per questo non si può camminare da soli. Qui non si tratta tanto di preservare quello che si è, di difendere le proprie istituzioni, ma di aiutarsi in questo popolo delle nostre due diocesi a vivere nel tempo in cui siamo, camminando insieme, costruendo insieme il nostro futuro, evitando di fare scelte solitarie senza ascoltarsi e confrontarsi, imparando a dare risposte segnate dalla Parola di Dio alla violenza e allo smarrimento. Per questo deve crescer lo spirito di preghiera e l’amore per la parola di Dio, che fanno allargare il cuore perché sia pieno della tenerezza di Dio Cari fratelli e sorelle, vorrei assicurarvi che sono al vostro fianco, perché so che la vita religiosa attraverso momenti non facili. Vorrei camminare con voi, perché le vostre comunità sono un tesoro prezioso nella nostra terra, e per questo devono essere luce di speranza in questo tempo difficile, di sofferenza e solitudine. L’impegno educativo di alcune vostre comunità sappia vivere la solidarietà e la reciprocità di cui sento la necessità, per non perdere la ricchezza della vostra storia, e si interroghi su come parlare ai piccoli, ai giovani e alle loro famiglie della vita e della felicità che il Signore dona a chiunque lo ascolta e si pone al servizio dei poveri. Anche tra loro possono nascere vocazioni alla vita consacrata e al sacerdozio. Il rinnovo della vostra consacrazione, che farete insieme, sia l’impegno e rinnovare la vostra vita. Lodiamo allora il Signore e rendiamogli grazie per la ricchezza dei carismi con cui feconda la Chiesa e il mondo, mentre ci affidiamo a lui perché protegga e illumini l’impegno di ognuno di voi e delle vostre comunità nel campo del mondo. Il Signore ci doni luce, fiducia e speranza. Amen.  

Mons. Spreafico: di fronte alla morte di Thomas fermare la violenza, ascoltare le domande dei giovani e costruire insieme a loro un futuro di pace

Siamo rimasti attoniti davanti alla morte violenta di Thomas, giovane di Alatri, dopo quella di sei anni fa di Emanuele Morganti,  e di Willi Monteiro a Colleferro nel 2020. La morte di Thomas ucciso nel cuore di una città di questa terra, non è accettabile per nessuna ragione, così come non lo è in nessun’altra parte del mondo. Un giovane di 18 anni, eliminato da altri giovani, è una ferita profonda nel cuore della nostra vita e della nostra società e fa emergere disagi a cui ci siamo troppo facilmente abituati. Non si può rimanere indifferenti davanti al male, né valgono eventuali giustificazioni che si potrebbero avanzare. La violenza è violenza ! Non ha giustificazione. Purtroppo, quest’ultimo episodio si inserisce in un clima che sta avvelenando la nostra convivenza e l’umanità intera. Si tratta di un clima che percorre le vie e le piazze dove abitiamo e viviamo. Quando permetti a un sentimento o a un pensiero di inimicizia e di odio di entrare nel cuore, diventa facilmente violenza, fino al desiderio di eliminazione dell’altro, che appare come nemico. Ciò viene amplificato ogni giorno sui social ed entra nelle relazioni quotidiane. Così un amico, a volte per un nulla, diventa facilmente prima un rivale, poi uno da eliminare. Cosa possono fare le nostre comunità? Spesso si giudicano gli altri, soprattutto i giovani. Altre volte facciamo fatica a capire le domande della loro vita e anche il male che si affaccia in maniera subdola e ingannevole. Molti li incontriamo, li vediamo nelle vie della movida. Altri camminano con le nostre comunità, al catechismo o a scuola, soprattutto nell’ora di religione, di cui ancora molti si avvalgono. Ascoltiamo il loro disagio, le loro domande, il loro desiderio di protagonismo. Cerchiamo di cogliere nei giovani anche la voglia di aiutare, di costruire – spesso nascosta o inespressa – senza restare impauriti davanti alle loro domande. Proviamo a tracciare con loro il futuro, a costruirlo insieme con la fantasia e l’amicizia che viene dal Vangelo. Sono domande a cui non possiamo sottrarci, soprattutto davanti alla morte violenta di un giovane. Infine, uniamoci nella preghiera, anzitutto per i familiari di Thomas, per i suoi amici, e poi perché la sua morte faccia riflettere tutti e ci faccia decidere di lavorare per un mondo pacifico, capace di voler bene e di prendersi cura degli altri. Ricordiamoci sempre che l’indifferenza, come l’omertà, è complicità, toglie speranza e alla fine uccide.  Affidiamo Thomas alla braccia misericordiose del Signore, perché lo accolga con sé. Ambrogio Spreafico Vescovo

L’omelia del vescovo Ambrogio per l’inizio del ministero episcopale in Anagni-Alatri

Cari fratelli e sorelle, il Signore ci raduna come un popolo di sorelle e fratelli in questa cattedrale, che rappresenta la storia millenaria di donne e uomini che hanno lasciato tracce straordinarie di una fede diventata cultura, irradiazione della presenza di Dio in questa terra. Il suo appellativo di Città dei papi è segno di unità e comunione con la Chiesa di Roma e con il suo vescovo papa Francesco, che mi ha nominato come vostro Vescovo e a cui mandiamo il nostro abbraccio e il nostro affetto. La cattedrale è il segno fisico dell’unità di una porzione di Chiesa, che ha le sue radici nella Parola di Dio che diventa vita e storia, come ben rappresentano anche i suoi stupendi dipinti, che le attribuiscono l’appellativo di “Cappella Sistina del medioevo”. Assieme alla Concattedrale di San Paolo in Alatri e ai patroni San Magno e San Sisto ci inseriamo in una storia millenaria, che oggi continua a manifestarsi nella sua ricchezza e bellezza. Non è superfluo sottolineare questa dimensione di unità in un mondo dove sembrano prevalere divisioni e inimicizie, dove gli “io”, individuali e collettivi che siano, prendono il sopravvento ogni giorno abituandoci alla prepotenza e alla prevaricazione sugli altri. La guerra in Ucraina e molti altri conflitti nel mondo non sono che l’apice di come la violenza segni sempre di più il mondo e, a volte, anche la nostra quotidianità. Le letture che abbiamo ascoltato rappresentano l’inizio di una parte di quella storia che da Israele giunge fino a noi, ben espressa dalla predicazione di Giovanni Battista, che ci indica Gesù come l’inizio di un tempo nuovo, che non rinnega il passato, ma lo ripropone in modo nuovo. Il Vangelo di Gesù inizia con il Natale, che abbiamo da poco celebrato, ed è una Parola nuova che leggiamo come una novità, così come le generazioni che ci hanno preceduto. Da ogni Natale c’è un nuovo inizio, in cui siamo chiamati a chiederci che cosa significa seguire il Signore e non se stessi, ascoltare e vivere la sua Parola e non le nostre, uscire dall’abitudine a ripetere se stessi e le proprie consuetudini, immettendosi nella storia di questo tempo complesso e violento come portatori di pace e di speranza, di un cristianesimo nella storia, che incontra e ascolta le donne e gli uomini, si prende cura dei poveri e degli scartati, non lascia soli gli anziani e i malati, accompagna i piccoli e i giovani nella loro crescita culturale e spirituale. So quanto la preoccupazione per la domanda educativa sia stata a cuore al vescovo Lorenzo, che ringrazio per l’eredità che ci lascia. La Chiesa vive nel mondo non per se stessa. Siamo in una terra bella, con tante ricchezze, a partire dalle donne e dagli uomini che la abitano. Ma è anche una terra che soffre, e non solo per le conseguenze della pandemia e della guerra. Penso al problema ambientale, a questo fiume che la attraversa, il Sacco, che era un bacino di biodiversità, e a come l’affarismo e il disinteresse abbiano compromesso la sua ricchezza. Ma penso anche alla solitudine degli anziani, a volte soli a casa o soli negli istituti, o allo spaesamento dei giovani, alle difficoltà delle famiglie, e alle tante sofferenze di questo tempo. “Ecco l’agnello di Dio”, indica a noi Giovanni Battista. Quell’agnello è un umile e un mite, e per questo si è fatto servo, per portarci sulle spalle, per pendersi cura di ciascuno, soprattutto delle pecore ferite, malate, smarrite, disperse. Lo aveva detto già a Israele quel profeta che parlava durante la dispersione del suo popolo nell’esilio a Babilonia: “Mio servo sei tu, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria”. Badate bene: il servo è Israele, un popolo, che ritrova unità nella dispersione perché il Signore gli parla, e lo rende luce delle nazioni per portare la salvezza fino alle stremità della terra. Quanto è facile smarrirsi e disperdersi. La dispersione è diventata quasi un fatto normale, un’eredità della pandemia che ci ha resi più soli e anche più individualisti. Papa Francesco ci ha ammonito quel 27 marzo del 2020: “Siamo sulla stessa barca… nessuno si salva da solo”. Ma ci sono tanti che ancora credono di potersi salvare da soli e cercano di mettere al sicuro se stessi. Caro fratello, cara sorella, non ti salverai da solo! Noi siamo connessi, e non solo sui social, ma nella vita; siamo in vita per un dono di amore, non per nostra scelta, e continuiamo a vivere e a crescere per l’amore che sappiamo donarci. Lo vediamo in questo tempo di sofferenza quanto abbiamo bisogno gli uni degli altri. Le nostre comunità, pur con i loro limiti, hanno mostrato che la solidarietà e la cura degli altri fanno vivere e rendono felici. So dell’impegno di voi sacerdoti, dei religiosi e religiose, che ringrazio per essere qui in tanti con il vescovo Lorenzo, a cui mi lega una bella amicizia, e della generosità dei tanti laici che insieme costituiscono questo popolo di sorelle e fratelli. Pian piano ci conosceremo e sono certo che continueremo a lavorare insieme nella vigna del Signore. Io vorrei vivere con voi questa semplice felicità, innanzitutto comunicando il Vangelo che è buona notizia e prendendoci cura gli uni degli altri. Sono qui per essere al servizio dell’unità e dell’amore reciproco, per vivere insieme la gioia di essere popolo, sorelle e fratelli tra noi e sempre con i poveri e gli ultimi. Solo insieme sapremo comunicare al mondo la bellezza e la gioia di essere discepoli dell’unico Maestro e Signore, colui che è venuto tra noi per servirci e prendersi cura di noi. Grazie Signore, perché nella fragilità e nella pochezza della nostra vita ci rendi grandi e primi solo nel servizio. Ci affidiamo alla protezione della Vergine Santissima, Madre di Dio e Madre nostra, che questa Cattedrale ricorda come Assunta in Cielo, perché sollevi il nostro sguardo verso di Te, Signore Gesù, affinché nella preghiera e nella Santa Liturgia possiamo ritrovare sempre quell’unità e quella comunione di amore

Il saluto di benvenuto di Loppa a Spreafico

Il saluto di benvenuto di Loppa a Spreafico Ingresso di S. E. Mons. Ambrogio Spreafico 15 gennaio 2023 SALUTO DI BENVENUTO Cara Eccellenza, Caro Don Ambrogio, Sii benvenuto in questa Chiesa straordinaria per storia, tradizione di fede e pietà popolare, cultura, arte e ospitalità in cui avrai la gioia di poter toccare con mano la forza e l’efficacia dello Spirito in tanti tesori di bene che la Grazia di Dio suscita nel Suo popolo attraverso il lavoro di tanti presbiteri e diaconi, religiosi e laici. Troverai una Chiesa in cammino e molte e belle responsabilità al lavoro. Ti accolgono come pastore che li guiderà sui sentieri della giustizia nel nome del Signore. Ringraziamo Dio che continua a condurre la Sua Chiesa sulla strada del Regno attraverso pastori secondo il Suo cuore. Nel giorno in cui è stata resa pubblica la tua nomina hai chiesto giustamente “pazienza, lavoro, comprensione, amore”… Sono questi i “materiali” di prima scelta, essenziali per edificare il mondo come Dio lo sogna e che la Bibbia chiama “Regno di Dio”. Siamo in una stagione in cui molti nuvoloni neri si addensano sul nostro cielo. Ma siamo cristiani! La nostra speranza è affidabile, perché è ancorata alla roccia della promessa di Dio e del Suo amore. Abbiamo celebrato da pochi giorni il Natale, che è la prima tappa della Pasqua, e che è un colpo di maglio alla morte! La Parola che sentiamo proclamare oggi ci invita ad attraversare una “soglia”, non contenti del “troppo poco” che siamo, che abbiamo e che facciamo (I lettura): passare dal Cristo “conosciuto” delle devozioni, delle pratiche, delle consuetudini al Cristo che ancora non conosciamo, che è il Signore della vita e della storia, il tesoro irrinunciabile della nostra esistenza. Siamo chiamati a passare dal mondo del compromesso, dell’indifferenza che uccide, del ripiegamento su noi stessi e della paura del diverso al mondo sognato da Dio, costruito con una umanità più filiale e fraterna nella disponibilità mite e serena della nostra esistenza. “L’agnello” e “la colomba” che saranno evocati dal Battista nella lettura evangelica – così miti nel porsi e così generosi nel darsi – indicano l’abisso dell’amore trinitario in cui siamo immersi dal giorno del Battesimo e che ci chiama al dono di noi stessi per la vita e la felicità degli altri. Trasformo, allora, queste parole in un augurio caldo e affettuoso: che non manchi mai a te la docilità e la disponibilità responsabile del gregge; e che non manchi mai al gregge la tua cordiale sollecitudine di pastore. Questa splendida Cattedrale, “fiore vivo di pietra che sfida secoli e uragani” (A. Trisinni), da più di nove secoli ha sempre riverberato la luce della testimonianza di una comunità cristiana forte e credibile. Con la tua guida possa continuare a raccontare la storia di un popolo che “Dio ha chiamato dalle tenebre alla Sua ammirabile luce” (1Pt 2,9).