Il San Sisto I del Cavalier d’Arpino rivive anche in un libro
Matematico, astronomo, cosmografo: studi e conoscenze che gli valsero il giusto appellativo di “vescovo scienziato”, Ignazio Danti, fu consacrato vescovo di Alatri nel 1583, e qui morì il 19 ottobre 1586, dopo essersi speso totalmente per la sua gente, con una particolare sollecitudine per i poveri ma senza dimenticare i suoi interessi culturali, compreso quello per la pittura, tanto che volle commissionare all’allora giovane Giuseppe Cesari, poi divenuto famoso in tutto il mondo con il nome di “Cavalier d’Arpino”, un ritratto di San Sisto I, conservato per l’appunto ad Alatri.Il dipinto è stato poi fatto restaurare dall’Associazione Gottifredo e restituito così in tutta la sua bellezza in una magnifica serata del luglio di 4 anni fa, all’Acropoli.Questa premessa è indispensabile per dire che ora, peraltro proprio nell’anniversario della morte di Danti, esce un volume dal titolo “Il San Sisto del Cavalier d’Arpino, l’affresco restaurato”, curatoda Mario Ritarossi, il docente del liceo artistico di Frosinone che tanta parte ha avuto in questa riscoperta. Il libro, prefato dal vescovo Ambrogio Spreafico e con una presentazione del presidente dell’associazione ed edizioni Gottifredo, Tarcisio Tarquini, si avvale di alcuni preziosi contributi critici dello stesso Ritarossi, di Maria Letizia Molinari e di Francesco Petrucci, ad introdurre gli appassionati – o anche i semplici curiosi che vogliano così avvicinarsi all’opera e a tutto il genio del Cavalier d’Arpino e di converso all’operato del vescovo Ignazio Danti – alle tecniche del restauro, alla precocità dell’arte di Giuseppe Cesari e alla sontuosità di un emblema encomiastico di antica e armoniosa bellezza.Scrive tra l’altro il vescovo Spreafico nella prefazione, riferendosi al dipinto: «Era un capolavoro che avevamo sotto gli occhi da secoli ma che non aveva mai ricevuto fino ai giorni nostri l’attenzione che meritava. Va reso merito a chi ha voluto richiamare questa attenzione con un’iniziativa che ha incontrato subito il favore del nostro predecessore, monsignor Lorenzo Loppa, e la collaborazione dell’Ufficio diocesano dei Beni culturali e l’Edilizia di culto e della sua responsabile Federica Romiti». Spreafico preannuncia inoltre questa importante novità: «Il San Sisto del Cavalier D’Arpino, sarà una delle bellezze che faranno parte del costituendo Museo diocesano di Alatri; in un certo senso, rappresenterà uno dei suoi beni più prestigiosi e ammirati».Igor Traboni
Il vescovo Ambrogio alle Confraternite: «Il servizio è amore»
L’intervento del vescovo Spreafico alla cerimonia per la memoria della deportazione degli Ebrei di Roma
La Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Ebraica di Roma hanno promosso anche quest’anno una memoria della deportazione degli ebrei di Roma, compiuta dai nazisti il 16 ottobre 1943. Furono in 1.024 ad essere strappati dalle loro case e deportati ad Auschwitz: ne tornarono solo 16. La ferita inferta al tessuto della città è stata profonda e ci richiama all’importanza di un impegno contro ogni forma di antisemitismo e di razzismo. La commemorazione pubblica si è tenuta alla vigilia dell’anniversario del tragico evento, il 15 ottobre alle ore 19.45, proprio nel luogo in cui avvenne, al Portico d’Ottavia, nel cuore del quartiere ebraico di Roma, che oggi ha preso il nome di Largo 16 ottobre 1943. (il link per rivedere il video completo)https://www.santegidio.org/pageID/30284/langID/it/itemID/58953/La-memoria-della-deportazione-degli-ebrei-romani.html Alla commemorazione sono intervenuti: il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, il Presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi e il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino mons. Ambrogio Spreafico. Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’intervento del vescovo Ambrogio:Clicca qui per scaricare il pdf Il recente incontro internazionale delle religioni per la pace che Sant’Egidio ha promosso a Parigi aveva come titolo, Immaginare la pace. E’ una speranza coltivata dai profeti pur in mezzo a ingiustizie e guerre e che ci conduce questa sera a continuare a crederlo con voi, sapendo che è un sogno che le Sacre Scritture ebraiche ci propongono tante volte.Qui ogni anno noi ricordiamo quanto l’odio per l’altro possa condurre a una violenza e a una crudeltà così cruda, che non riesce più a vedere nell’altro, e allora era l’ebreo, considerato dall’ideologia nazista e fascista indegno di essere parte della cosiddetta umanità dei puri, una donna e un uomo, semplicemente un essere umano come te, uno creato a immagine e somiglianza di Dio, come recita così bene l’inizio di Bereshit. L’odio cresce e la barbarie della violenza lo fa crescere.Allora nessuno ebbe pietà, perché l’odio toglie ogni residuo di pietà e rende l’Altro solo un nemico da sconfiggere ed eliminare. Erano uomini, donne, bambini, vecchi, malati. Che importa. Nessuno di loro aveva diritto di continuare a vivere. La loro memoria oggi deve rimanere un monito in un mondo in cui rigurgiti di antisemitismo e di razzismo diventano sempre più frequenti e rendono a volte persino pericoloso mostrarsi con la propria identità religiosa o etnica che sia.È stato recentemente tradotto in italiano un documento dei vescovi francesi, “Decostruire l’antigiudaismo cristiano”. È un segno ulteriore che mostra come la Chiesa Cattolica, dal Concilio Vaticano II, si è impegnata perché l’antigiudaismo, che tanto ha segnato la cultura cristiana, sia eliminato. La “decostruzione”, che compie questo documento, evidenzia un passato con convincimenti non più condivisibili, ma anche un rinnovato impegno della Chiesa cattolica per riscoprire le radici ebraiche della sua fede e per stabilire un dialogo fraterno con il popolo ebraico.Esso dovrebbe preservarci dall’accondiscendere al clima di odio e di violenza che respiriamo, in cuil’antisemitismo e l’antigiudaismo sono così cresciuti soprattutto dopo la strage compiuta da Hamasnel sud di Israele e la conseguente risposta di Israele. Dovrebbe altresì aiutarci a rinnovare quell’alleanza di amore e di pace, che sola porta alla vita e che, nella nostra diversità, e insieme nella comune appartenenza alla famiglia umana, tutti siamo chiamati a custodire e a testimoniare “spalla a spalla”, come dice il profeta (Sofonia 3,9). Scrive un sapiente ebraico: “Per guarire dalla violenza potenziale verso l’Altro devo essere capace di immaginarmi come l’Altro”. Questo è anche immaginare la pace spalla a spalla.Cari amici della Comunità ebraica di Roma, a cui ci lega una salda e antica amicizia, sento l’urgenza di un impegno comune in questa direzione. Vorrei attingere alle vostre Scritture per dire che oggi abbiamo bisogno di condividere quel Tiqqun ‘olam, “quella riparazione del mondo”, così necessaria e urgente. Bisogna fare qualcosa al mondo che non solo ripari i suoi danni ma anche che lo migliori, preparando il suo accesso allo stato ultimo per il quale esso fu creato, quell’armonia delle differenze che solo può rendere possibile una convivenza pacifica e umana e un futuro all’umanità. C’è molto dolore e molta distruzione da riparare, molto odio da raddrizzare, un linguaggio parlato e scritto da eliminare, molta violenza da combattere con le armi insostituibili della mitezza e di un dialogo pacificatore. Di questo spirito ne ha bisogno questa città, ne ha bisogno il mondo, ne hanno bisogno le relazioni sociali, per riparare quei danni dell’io che con arroganza non sa ascoltare e dialogare.Sono stato nel mese di luglio a Betlemme, Gerusalemme e Tel Aviv con una delegazione europeadella Comunità di Sant’Egidio. Ho incontrato alcune famiglie dei rapiti del 7 ottobre. Abbiamocondiviso il dolore di tutte le parti. Il dolore ci accomuna e ci chiede un impegno perché si torni adialogare, perché Israele possa vivere in sicurezza e pace e ci sia pace per tutti. + Ambrogio Spreafico
Assemblea Ecclesiale 2024, l’omelia del Vescovo Ambrogio
Segue il testo dell’omelia del Vescovo Mons. Ambrosio Spreafico nella celebrazione di chiusura dell’Assemblea Ecclesiale 2024 Abbazia di Casamari – Veroli -Domenica 13 ottobre 2024 Clicca qui per scaricare il pdf Sorelle e fratelli, lo Spirito di Dio ci raduna come un popolo attorno al suo Maestro e Signore, quel Dio che in Gesù Cristo ci ha rivelato l’amore profondo per l’umanità intera, e che noi, come suoi discepoli, siamo chiamati a comunicare con gioia e passione. E’ quanto ci siamo detti in questi giorni nell’Assemblea delle nostre due diocesi, che stanno condividendo la gioia di lavorare insieme in questo tempo difficile, in cui tanti io, individuali o di gruppo, preferiscono l’isolamento nei loro confini, umani o geografici che siano, fino ad arrivare alla contrappostone e all’eliminazione dell’altro, come avviene nella violenza e nelle guerre.Noi siamo il popolo dei discepoli di Gesù, parte di un popolo universale, “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”, come dice il Concilio. Se non siamo questo, se non siamo seme di unità, di amicizia, di inclusione, di dialogo con tutti, semplicemente non siamo discepoli di Gesù di Nazareth, ma appartenenti a chiesuole, gruppi, associazioni, che si fanno le loro cose e rischiano di crescere senza portare frutto. La nostra assemblea esprime con semplicità e umiltà la ricchezza di questo popolo nella diversità di ognuno, ma anche nella sua forza di amore e di passione per il Vangelo, generatrice di sogni e di visioni per il mondo.Siamo guidati e nutriti da quella Parola di Dio, “viva ed efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio, … che discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”. Per questo siamo qui. Lasciamoci scrutare dalla Parola di Dio, perché produca in noi sapienza del vivere e umanità. Il mondo ha bisogno di umanità, saggezza, amicizia, gentilezza, amore. Ma, se ascoltiamo solo noi stessi, non andremo molto oltre. A volte siamo scontati, troppo sicuri; ripetiamo noi stessi, imponiamo i nostri schemi aprendoci con fatica al nuovo, o pensando di essere già noi il nuovo. Come ascolteremo gli altri, le loro domande, il bisogno dei poveri, la solitudine degli anziani e le incertezze dei piccoli e dei giovani, le attese e le speranze di pace del mondo?Il Vangelo ci ha parlato dell’incontro di Gesù con un “tale”. In quel tale ci potrebbe essere ciascuno di noi, ma anche ogni donna e ogni uomo. Ha una domanda dentro, una domanda di vita. Era ricco, ma non gli bastava per essere felice, realizzare se stesso. “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?” Gesù risponde in modo sorprendente: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”. Pensate quante volte ci sentiamo buoni, a posto con Dio e con gli altri. E che dovrei fare di meglio e di più? Ma Gesù sa che non basta sentirsi buoni e fare il proprio dovere, come quel tale. Così Gesù “fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” Sorelle e fratelli, Gesù ci ama, sa chi siamo meglio di noi, conosce il nostro desiderio di vita piena e di felicità. Per questo ci indica una risposta, una proposta di vita per tutti. Sì, ti manca qualcosa di essenziale. Va’, vendi quello che hai, lascia quello che credi il tuo tesoro, vivi la solidarietà con i poveri e avrai un tesoro nel cielo. “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”, aveva detto parlando alle folle (Mt 6,24). La parola di Gesù è un ammonimento e un invito prezioso per la vita di ognuno di noi, non solo dei consacrati e consacrate o dei sacerdoti. Gesù propone ad ogni discepolo un tesoro, che non è possibile comprare, come i beni che possediamo, né si ottiene con un benessere che lascia insoddisfatti. Questo tesoro è innanzitutto nel cielo. Ma il suo possesso comincia già fin da oggi. Infatti, Gesù aggiunse: “Poi vieni e seguimi”. Seguire Gesù è anche separarsi da qualcosa di nostro. Lo aveva chiesto già Dio ad Abramo, che si separò dalla sua terra e divenne benedizione per tutti. Noi a fatica sappiamo separarci da ciò che abbiamo, anzi molti vivono per possedere, spendono energie e sostanze solo per il loro interesse. Tanti arraffano beni a dispetto dei poveri. La vita dei poveri, la miseria di molti, non li tocca, non li muove a compassione. E noi? Come ci collochiamo? Quante volte abbiamo risposto all’invito spesso ripetuto di metterci al servizio dei poveri e dei deboli; non ho tempo, ho da fare, ho molti impegni… Ricordatevi che quel tale se ne andò triste, perché possedeva molti beni. I beni non sono garanzia di felicità, sebbene molti lo credano.Cari amici, lasciamoci guidare dalla Parola di Dio. Costruiamo insieme, con tutti, un mondo fraterno, includendo nel nostro amore i deboli, i soli, i poveri, gli insoddisfatti, gli abbandonati, e otterremo un “tesoro nel cielo”, ma “già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”. Gesù non nasconde le difficoltà, ma sa che vale la pena accogliere il tesoro di amore che ci viene proposto e affidato. Lo sapremo oggi fare nostro? Solo chi accoglie questo tesoro, potrà essere seminatore di fraternità, di pace, essere una donna e un uomo di dialogo, che sa ascoltare e parlare, prendendosi cura della vita degli altri. Il mondo soffre per la guerra e per la violenza, ma soffre anche per la mancanza di pensiero e di visioni. Il Signore cerca profeti che sappiano indicare vie di pace, immaginare la pace costruendola con la pazienza dell’amore ogni giorno. Dialogo e amore vanno insieme. Tu, ognuno di noi, può esserne responsabile. Alcuni
Il vescovo ai giovani: «Dialogo e amore, perché siamo una forza di amicizia e pace!»
Solo… posti in piedi per chi è arrivato un po’ più tardi, con la graziosa chiesa di Tecchiena Castello fin troppo piccola per accogliere i quasi 300 giovani arrivati da ogni parte delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino per l’incontro con il vescovo Ambrogio Spreafico nella serata di venerdì 11 ottobre: un appuntamento fortemente voluto proprio da monsignor Spreafico a mo’ di ideale cerniera tra i due incontri dell’assemblea interdiocesana, quello di sabato 5 ottobre tenutosi a Fiuggi e quello di domenica 13 previsto a Casamari. Un incontro, questo dei giovani, vissuto in un clima di amicizia (probabilmente una delle note più belle, perché abbiamo visto nascere nuovi legami con lo scambio di numeri di cellulare e mail, ma anche ragazzi tornare ad abbracciarsi dopo chissà quanto tempo, magari per aver fatto le medie insieme e poi essersi persi un po’ di vista), di gioia e allegria, ma anche e soprattutto di tanta partecipazione nei successivi gruppi di “approfondimento”, e di attenzione alle parole del vescovo. Monsignor Spreafico, dopo la lettura del brano evangelico dell’Annunciazione e la proiezione di un video realizzato dalla pastorale giovanile di Anagni-Alatri, ha parlato, come suo solito, a cuore aperto ai ragazzi presenti, invitandoli subito all’ascolto, proprio come ha saputo fare Maria, umile ragazza di un piccolo villaggio: «Anche voi giovani avete saputo ascoltare e stasera siete qui, in tanti. E invece, nei nostri mondi, quante volte uno parla e l’altro non ascolta. Succede in famiglia, tra gli amici; magari a scuola no, perché lì… dovete ascoltare per forza! – ha un po’ scherzato il vescovo, strappando un bel sorriso ai giovani, prima di tornare a parlare della serietà dell’argomento – Ma se non lo ascolto, come faccio a capire l’altro? Come faccio a capire se dietro quella faccia scura c’è un problema? No, cari ragazzi, non basta una chat, tutti quei puntini, abbreviazioni ecc che poi non si capisce niente. Se tu invece ascolti l’altro, allora lo capisci. Ma quante volte, mentre vi ritrovate a casa per il pranzo o la cena, e parlate tra di voi, invece di chattare? Guardate che i social sono utili, io non li condanno mica e con moderazione li uso anche io, perché è bello mettersi in contatto con chi magari sta dall’altra parte del mondo. Ma non si può sempre star lì a chattare. Se un tuo amico festeggia il compleanno, non mandargli un messaggio di fretta, ma chiamalo! Fai sentire che ci sei, che sei vivo! Quando ascolti, allora dialoghi. E la vita è dialogo! Pensateci un po’: perfino le guerre non finiscono senza un dialogo, senza che ci si metta attorno ad un tavolo per dialogare. Il dialogo fa la vita! E dialogo e amore vanno insieme. Se vuoi bene ad una persona, ma non la ascolti, come fai a capirla? Ed è proprio la prima cosa che fa Maria: ascolta». Il dialogo, ha aggiunto il vescovo, permette anche di liberarsi di una certa vergogna nel dire cose personali e quindi di farsi aiutare. Ed è il vero antidoto contro le guerre, anche le piccole guerre attorno a noi: «Quando covi qualcosa contro un altro, da amico diventa nemico. Succede anche con i followers. Ma le guerre nascono proprio perché tu cominci a guardare l’altro prima come un estraneo e poi diventa un nemico. Ecco perché nel mondo ci sono 100 conflitti e ben 187 se contiamo pure le guerriglie». Ma noi, è stato l’ulteriore invito rivolto da Spreafico ai giovani, «possiamo fare tanto, se ci prendiamo la responsabilità di costruire qualcosa, perché la pace dipende da tutti; noi dobbiamo essere uomini e donne di pace. Gesù ci affida un tesoro e noi dobbiamo custodirlo, essere protagonisti del cambiamento delle nostre belle città. Invece oggi c’è troppo individualismo, Ma se tu in classe vedi un compagno che si isola, che magari ha un problema, tu te ne devi occupare, diventare un vero amico. Diciamo “no” all’egoismo, perché gli egoisti sono loro le prime vittime, sono dei “poracci”: pensi solo a te stesso e così ti rovini. Noi, cari ragazzi, siamo chiamati ad aprire gli occhi, a guardare lontano, a coltivare cuore e pensieri, perché si vive di ascolto. Voi siete una forza di amicizia e pace e Gesù conta su voi, su ognuno di voi!», ha concluso il vescovo Ambrogio, salutato da un fragoroso applauso dei giovani presenti. Poi, come detto, i partecipanti si sono divisi in gruppi secondo fasce di età, stimolati dai sacerdoti e dai vari educatori presenti a riflettere sulle parole del vescovo e su altri stimoli offerti. E anche qui, facendo capolino tra un gruppo e l’altro, abbiamo notato dei giovani estremamente attenti e preparati, capaci di offrire ai coetanei spunti di riflessione mai banali. Insomma, davvero una gran bella serata, preparata al meglio dalle pastorali giovanili e vocazionali delle due diocesi, coordinate da don Luca Fanfarillo, don Pierluigi Nardi, don Tonino Antonetti, don Francesco Paglia, Andrea Crescenzi e con un “grazie” per l’accoglienza a Giorgia e Ilenia, educatrici di Tecchiena Castello. Tra i tanti giovani presenti, anche quelli di vari movimenti, gruppi e associazioni, dagli Scout ad Azione Cattolica e Nuovi Orizzonti, dai giessini di Comunione e Liberazione ai volontari delle Olimpiadi Victoria di Madonna della Neve e del Sicomoro di Fiuggi, ma di certo ne dimentichiamo qualcuno e ce ne scusiamo. Bella e significativa anche la presenza dei seminaristi delle due diocesi, accompagnati dall’assistente spirituale don Angelo Conti. A concludere il tutto, la benedizione finale, saluti e abbracci. Anzi, no: per molti anche un dopo-incontro con cornetti alla crema o panini con la porchetta, nella serata un po’ fresca ma con il cuore “scaldato” dalla gioia di un incontro. Igor Traboni
Alatri: studenti alla scoperta di San Francesco e del suo anelito di pace
Martedì 8 ottobre le classi 2A e 2D dell’Istituto comprensivo Alatri 1 hanno approfondito la figura di San Francesco all’interno della omonima chiesa del centro storico di Alatri. L’iniziativa, nata nell’ora di religione con i docenti Gabriele Ritarossi e Paola Santoni, ha visto i ragazzi, accompagnati anche dai docenti Aurora Santachiara, Lavinia Cella e Paola Barone, confrontarsi con i testi scritti da Francesco, a cominciare dal Cantico delle creature e dalla preghiera di San Damiano come modelli letterari capaci di trasmettere ai ragazzi degli stili educativi a favore della pace e della cura del creato. Dopo un primo intervento sulla figura di Francesco tenuto dal docente di religione Gabriele Ritarossi, suggestivo è stato l’approfondimento sulla più antica e preziosa reliquia francescana presente ad Alatri, ovvero il mantello di Francesco donato dallo stesso santo nel 1222. I ragazzi hanno potuto avvicinarsi alla teca e osservare da vicino la pergamena sui cenni storici della preziosa reliquia. La giornata è stata arricchita anche dagli interventi di Giancarlo Rossi sulla storia della chiesa di San Francesco in Alatri, e Anna Mazzocchia dell’Ordine francescano secolare. A fine giornata i ragazzi hanno quindi dato vita ad un breve dibattito attorno alla pace da costruire nella vita di tutti i giorni, nei luoghi che quotidianamente si frequentano, provando a superare ciò che ostacola la pace interiore e con gli altri come l’invidia, l’orgoglio, la superbia, la rivalità, l’offesa. (nella foto, un momento della visita dei ragazzi nella chiesa di San Francesco)
I Caracciolini da 300 anni ad Anagni: una serie di eventi per l’anno Giubilare
I padri Caracciolini si preparano ad aprire l’anno Giubilare per festeggiare la loro presenza continua da 300 anni ad Anagni. Sono infatti presenti con il loro servizio in città dal 1725, nella centralissima parrocchia di San Giovanni de Duce. Il loro servizio si integra con i sacerdoti diocesani, visto che gli stessi Caracciolini prestano servizio pastorale anche nella chiesa di Santa Chiara e dalle suore Cistercensi della Carità.Il loro servizio è ispirato al santo Francesco Caracciolo, al tempo Ascanio Caracciolo, nato nel 1563 a Villa Santa Maria in Abruzzo e morto nel 1608 ad Agnone, in Molise.I Caracciolini, come detto, sono arrivati nella Città dei Papi nel 1725 e da allora sono impegnati nella pastorale parrocchiale cercando di trasmettere lo spirito dell’Ordine: servendo i poveri, gli anziani e gli ammalati. Oltre alle attività parrocchiali, i padri Caracciolini hanno sempre insegnato in istituti scolastici il credo della Chiesa cattolica, e inoltre si occupano della formazione dei nuovi giovani seminaristi. Non meno importanti sono le missioni che svolgono anche all’estero, impegnandosi a costruire scuole e seminari.Per questo importante evento giubilare, la parrocchia di San Giovanni ha organizzato una serie di appuntamenti.Si parte venerdì 11 ottobre, con l’incontro dei bambini del catechismo con un discendente della famiglia del Santo, Nicola Caracciolo, che coinvolgerà i gruppi raccontando la vita del Santo.Sempre lo stesso giorno, in piazza Dante, dalle 19, tre ristoranti di Anagni condivideranno un momento conviviale. In particolare, verranno coinvolti Malacucina, Trattoria del Grappolo d’oro e Tratto-Pesce. La serata sarà allietata dalla musica dal vivo a cura di Alessandro Viti e Max Stefano.Sabato 12 ottobre, alle 16 presso la Sala della Ragione del Comune di Anagni si svolgerà un convegno sulla storia della parrocchia di San Giovanni de Duce e la pastorale dei Caracciolini nel mondo. L’incontro, moderato dal sottoscritto, vedrà gli interventi di P. Pierpaolo Ottone, P. Floribert, il prof. Tommaso Cecilia, i gruppi catechistici e infine il parroco Padre Florent Kasai.Domenica 13 ottobre, alle 10.30, la Messa nella parrocchia di San Giovanni de Duce, celebrata da Mons. Ambrogio Spreafico, Vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino.Durante tutto l’anno giubilare si continuerà con tantissimi eventi in programma. Per maggiori informazioni è possibile visitare la pagina Facebook della parrocchia o contattare il sacerdote. Carlo Cerasaro
Convegno Fragilità Evolutive
Nell’ambito delle iniziative volte a favorire l’alleanza educativa tra comunità ecclesiale e scuola e a valorizzare le risorse che costituiscono il patrimonio dell’offerta formativa degli Istituti scolastici nel nostro territorio, gli Uffici Scuola delle diocesi di Anagni – Alatri e Frosinone -Veroli – Ferentino hanno organizzato, in collaborazione con l’Associazione Italiana Genitori (A. Ge), un Convegno sul tema “Fragilità evolutive in un’epoca di radicali cambiamenti”. Il Convegno si svolgerà venerdì 25 ottobre 2024, dalle ore 15.30 alle ore 19.30, presso il Centro Pastorale Diocesano in via dei Villini n. 82 a Fiuggi (Fr).Il programma del Convegno è stato ideato in sinergia con la Dott.ssa Serena Zurma, Psicologa e Psicoterapeuta ASL Frosinone, Presidente A.Ge. Colleferro, Consigliere A.Ge. Nazionale e Consigliere IRSEF, al fine di promuovere uno spazio di confronto e condivisione, in cui interverranno diverse figure professionali impegnate nell’importante compito di accompagnare, sostenere e formare le nuove generazioni. Iscriviti ora
Assemblea Ecclesiale 2024, la relazione di don Pasquale Bua: La Chiesa in un mondo che brucia
Segue il testo completo del prof. Pasquale Bua dal titolo “La Chiesa in un mondo che brucia – Segni dei tempi e rinnovamento pastorale“Clicca qui per scaricare il pdf 1. Il mondo “cristiano” sta finendo? Il titolo – volutamente provocatorio – di questo intervento riprende liberamente quello di una pubblicazione abbastanza recente di Andrea Riccardi, che ha fatto molto discutere negli ambienti ecclesiali e non solo, soprattutto nella stagione faticosa del Covid-19: La Chiesa brucia. L’immagine da cui il titolo trae ispirazione è quella del terribile rogo della cattedrale di Notre-Dame, al quale il mondo ha assistito attonito nell’aprile 2019. Per Riccardi, navigato storico del cristianesimo contemporaneo e soprattutto acuto interprete del nostro tempo, quel rogo assumerebbe un valore per così dire simbolico. A bruciare, oltre che un edificio altamente rappresentativo dell’architettura religiosa europea, sarebbe oggi la “Chiesa” con la “c” maiuscola: la Chiesa come comunità e istituzione, la Chiesacome mentalità e cultura, la Chiesa come eredità e tradizione. La Chiesa, cioè, nella quale siamo nati e cresciuti, che per l’autore andrebbe lentamente sbriciolandosi davanti ai nostri occhi.Gli studiosi, del resto, hanno lanciato da decenni il grido d’allarme, parlando di tramonto della cristianità o di fine dell’epoca costantiniana, ovvero di quella lunga stagione (iniziata addirittura nel IV secolo), in cui la Chiesa ha goduto in Occidente di riconoscimento civile e privilegi economici, diventando un fenomeno di massa. Invertendo i termini della celebre espressione di Tertulliano, per il quale «cristiani non si nasce, ma si diventa» (al termine di un cammino personale di conversione), qui da noi è stato vero fino a oggi il contrario, ovvero che cristiani non si diventa, si nasce. Nessuno di noi è “diventato” cristiano, ma tuttisiamo “nati” cristiani. I rudimenti della fede li abbiamo bevuti con il latte materno, cosicché essi hanno plasmato – non senza deformazioni e strumentalizzazioni anche gravi – il tessuto sociale del mondo occidentale, il mondo cosiddetto “cristiano”.Da un bel po’ questo non è più vero. È sotto gli occhi di tutti che la cristianità è stata aggredita da una tendenza opposta, che va sotto il nome di secolarizzazione oppure, con un termine più crudo, di scristianizzazione. Se questo fenomeno è iniziato da tempo, almeno dal XIX secolo – anche se i suoi presupposti remoti rimontano all’avvento dell’epoca moderna nel XVI secolo o forse anche più indietro –, è solo nell’ultimo secolo che, qui da noi, esso ha cominciato a dispiegare tutte le sue conseguenze. Solo adesso, quindi, stiamo cominciando ad aprire gli occhi sulla sua reale portata.Quello di Riccardi è un libro pieno di domande: domande dirette, difficili, per certi aspetti drammatiche. Da quella che si trova nelle primissime pagine e che dà il là all’intera riflessione: «Che cosa sarà il mondo senza la Chiesa?», a quella cruciale che funge da titolo all’ultimo capitolo: «C’è futuro [per il cristianesimo]»? Ognuno è interpellato da simili interrogativi, si professi o meno cristiano, perché la crisi del cristianesimo è la crisi di una storia da cui tutti proveniamo, di un mondo in cui tutti viviamo, di una cultura in cui tutti siamo stati educati, e come tale chiama in causa anche coloro che non si dichiaranocredenti, come lasciava intendere già il famoso articolo di Benedetto Croce pubblicato nel 1942: «Perché non possiamo non dirci cristiani». 2. Crescita o declino della Chiesa? Restando idealmente a Parigi, potremmo riformulare la domanda posta da Riccardi facendoci aiutare da un personaggio celebre proprio per la sua capacità di leggere attentamente il presente e di prevedere lucidamente il futuro: il card. Emmanuel Suhard, arcivescovo della capitale francese negli anni Quaranta del secolo scorso, noto tra le altre cose per aver dato avvio all’esperienza dei preti-operai nel tentativo di recuperare alla Chiesa le masse proletarie. Mi riferisco alla domanda che dà il titolo alla sua letterapastorale del 1947: Essor ou déclin de l’Eglise? Crescita o declino della Chiesa? Se a quel tempo qualcuno si sarebbe ancora arrischiato a scegliere la prima opzione, almeno in Italia, dove il tessuto cristiano della società sembrava rimanere solido, oggi le statistiche –anche quelle che i parroci fanno “artigianalmente” nelle loro parrocchie – ci inducono a gridare “declino”. Ogni anno perdiamo “pezzi”, in termini di frequenza domenicale, richiesta dei sacramenti, adesione alle iniziative pastorali, e certo l’inverno demografico – pure innegabile – non basta a spiegare tutto. Anche la crescente penuria di vocazioni alministero ordinato e alla vita consacrata, che sta costringendo tutte le nostre diocesi a rivedere gli assetti pastorali tradizionali, facendo ad esempio saltare lo schema collaudato “un parroco per parrocchia”, è la spia del cambiamento in atto.Da noi, nell’Italia centro-meridionale, protetta dallo “zoccolo duro” di antiche e robuste tradizioni religiose, certi fenomeni prima impensabili sono arrivati in ritardo rispetto all’Europa centrale e alla stessa Italia settentrionale. Ma, volgendo lo sguardo verso Nord, non ci è difficile prevedere il nostro futuro con una certa approssimazione. Se abbiamo visto scendere vertiginosamente, negli ultimi decenni, il numero dei matrimoni religiosi, a vantaggio di quelli civili e soprattutto delle semplici convivenze, se abbiamo visto diminuire il numero delle cresime e in misura minore quello delle prime comunioni, qui da noitengono ancora – ad esempio – i battesimi dei bambini e i funerali religiosi. Prepariamoci, però: il “vento del Nord” non porta buone notizie neppure su questi due fronti, cosicché è prevedibile che scemerà gradualmente nei prossimi anni pure il numero dei pedobattesimi, mentre finirà per imporsi anche nei nostri territori una realtà ancora pressoché sconosciuta, quella delle cosiddette esequie “laiche”. 3. Non declino, ma crisiDeclino, dunque? In realtà, come spesso accade, tra le due alternative esiste una terza via, che di nuovo Riccardi propone nelle pagine conclusive del suo saggio: crisi. La crisi – scrive l’autore riecheggiando la lezione biblica – non è il declino, ma l’ora del giudizio. Se guardiamo alla storia della Chiesa, la crisi è una condizione normale del cristianesimo, non c’è stata epoca in cui il cristianesimo non sia stato in crisi, compresa la presunta “epoca d’oro” dei primi secoli. Se talvolta, un po’ ingenuamente, tendiamo a idealizzare il cristianesimo primitivo, è perché
Assemblea Ecclesiale 2024, intervento del vescovo Ambrogio: “Vivere da cristiani in un cambiamento d’epoca”
Segue il testo completo del Vescovo Mons. Ambrosio Spreafico dal titolo “Vivere da Cristiani in un cambiamento d’epoca“Clicca qui per scaricare il pdf Non vorrei aggiungere molte cose a quanto già ascoltato dal prof. Pasquale Bua. Vorrei solooffrivi alcuni spunti che arricchiscono quanto da lui detto. Il cambiamento d’epoca in cui siamoesige che anche noi cambiamo. Spesso viviamo come se fossimo in un antico palazzo che ha le suecrepe e rischia di crollare, senza che nessuno cerchi di pensare a metterci mano. Si continua facendole stesse cose, come se niente fosse. Così ripetiamo concetti, verità, schemi, devozioni, pratichereligiose, facendo fatica a capire che quello che abbiamo detto fino a ieri oggi forse solo pochi locapiscono, e soprattutto pochi lo credono utile per la loro vita; quindi, ciò che diciamo e facciamorischia di essere inefficace, di non provocare la necessaria crescita umana e spirituale, di non dareinizio a un cambiamento, perché di questo ha bisogno il mondo. Mi chiedo ad esempio:nell’itinerario di iniziazione cristiana quanto entri nell’umanità di coloro che noi incontriamo ognisettimana per quattro anni tanto da incidere sulle loro parole, pensieri, abitudini, scelte? O cilimitiamo a credere che basta insegnare la dottrina per preparare una persona a incontrarsi con ilSignore Gesù ed essere rivestito della sua umanità? Certo, abbiamo bisogno di formazione, dipreparazione. Questo è indubbio. Ma poi bisogna essere capaci di far diventare la nostrapreparazione capace di suscitare negli altri, pensieri, sentimenti, parole, atteggiamenti, che sianoinformati dall’incontro con il Signore Gesù attraverso di noi. Questa è la domanda: quanto la Paroladi Dio è diventata l’alfabeto della nostra umanità che parla attraverso di noi?La Parola di Dio, che leggiamo e ascoltiamo, dovrebbe infatti diventare parte della nostraumanità, aiutarci a rileggere la storia, gli avvenimenti, a immaginare il futuro per generare speranza,visioni, sogni, capaci di guidare le donne e gli uomini verso un futuro dove si possa vivere insiemein modo fraterno e pacifico. Non possiamo accettare il dominio della violenza né l’assuefazione allaguerra considerata ormai un fatto normale. Siamo chiamati a costruire con pazienza e saggezza unmondo fraterno, di cui le nostre comunità dovrebbero essere un modello, da condividere senzaescludere nessuno, senza giudicare, senza sentirci migliori, difendendo noi stessi con paura. Ilmondo non è pieno di nemici, ma semplicemente abitato da donne e uomini bisognosi di ascolto edi amore. Il Giubileo della speranza, che condivideremo con tutta la Chiesa a partire dal Natale diquesto anno, dovrebbe essere la porta di speranza che ci fa sussultare, che ci risveglia a un di più divita, di gioia, di amore, da diffondere attorno a noi per la crescita di un’umanità ferita dalla violenzae dalla guerra, ma anche da tanto bisogno di pace e di salvezza. Il Signore Gesù, Parola eterna delPadre, ce ne renda testimoni. Ascoltare, vedere, ripetere, imitare, servire, comunicare Vorrei suggerire alcuni atteggiamenti che ci possono aiutare nel nostro essere discepoli di Gesùnella realtà in cui siamo, comunicando la gioia e la speranza della vita cristiana. Li riassumo inalcuni verbi: dovremmo riscoprire l’immediatezza e l’entusiasmo di quei primi testimoni della fede? C’èanche un altro momento della vita cristiana in cui la ripetizione è essenziale. “Fate questo inmemoria di me”; nella Santa Messa noi ripetiamo le parole ed i gesti dell’ultima cena, maanche, nell’arco del calendario liturgico, sentiamo il bisogno di proclamare e di ascoltare lestesse pagine della Bibbia. Certo, la liturgia non è una ripetizione stanca e scontata diformule, da subire distratti o frettolosi. Essa esprime il cuore stesso della nostra fede: “Ognivolta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte oSignore, proclamiamo la tua Resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Ripetere, in questocaso, non è solo celebrare un evento lontano nella storia, ma rendere attuale e viva lapresenza di Dio, che cammina con noi. Per questo occorre celebrarla con cura e con gioia,trovare bravi lettori, ministranti, scegliere canti a cui l’assemblea possa unirsi. La vita cristiana è vita che deve essere portatrice di umanità compassionevole, gentile, capace diascoltare, di accogliere, di prendersi cura di tutti senza escludere nessuno. Dialogo e amore vanno dipari passo. Solo così si potrà costruire un mondo fraterno a pacifico. Benevolenza non significatuttavia restare in silenzio davanti al male, anzi significa vivere l’autorevolezza di Gesù che seppediscutere e contrastare il male facendo il bene e indicandone la via. In una società di tante solitudinie inimicizie, la Chiesa e le nostre comunità sono custodi, pur con i nostri limiti e il nostro peccato,di un tesoro di comunione e di unità di cui dobbiamo essere consapevoli. L’unità e la comunione delnostro popolo, che si manifesta in modo visibile attorno alla mensa della Parola e del pane di vitaeterna nella celebrazione della Liturgia Eucaristica della domenica, sia il segno di ciò che siamo edobbiamo essere nella vita di ogni giorno. Da lì traiamo forza e speranza, vigore e amore. Da lìpossiamo mostrare al mondo, con umiltà e spirito di servizio, che si può vivere da sorelle e fratellinella diversità di ognuno. Iddio onnipotente e misericordioso ci renda sempre tali e ci mantenganell’unità di amore attorno al suo Figlio unigenito, nostro Signore e Maestro. Fiuggi 5 ottobre 2024Ambrogio Spreafico