Le indicazioni del Vescovo per la Settimana Santa

Oggi, nella solennità dell’Annunciazione del Signore, il vescovo Lorenzo Loppa ha scritto una lettera al presbiterio. Ecco il testo:   Carissimi, al centro dell’Anno liturgico c’è la Settimana Santa, consacrata alla celebrazione annuale della Pasqua. Al culmine della Settimana Santa si colloca il Triduo della morte, sepoltura e risurrezione del Signore Gesù Cristo. Il vertice del Triduo, a cui tende tutta la nostra Quaresima di conversione, è costituito dalla Veglia pasquale in cui rinnoveremo gli impegni del nostro Battesimo. Stiamo vivendo ancora giorni difficili per la pandemia da Covid-19, anche se la speranza – che continua ad affiancare ancora una situazione di smarrimento e ansia – ha dei motivi in più per respirare, come, ad esempio, la possibilità del vaccino e una messa a punto più efficace degli antidoti di contrasto al Coronavirus. Sarà, allora, possibile la partecipazione dei fedeli in presenza alle celebrazioni liturgiche della grande Settimana, nel rispetto dei decreti governativi riguardanti gli spostamenti sul territorio e il protocollo da osservare all’interno delle chiese. A differenza dell’anno passato, potremo celebrare la Messa crismale nel giorno e nell’ora ormai consacrati dalla tradizione. L’appuntamento è per                          mercoledì 31 marzo, alle ore 18, in Cattedrale. Aggiungo solo una cosa, che ci deve stare molto a cuore e che quest’anno deve vederci particolarmente sensibili e generosi: la colletta per la Terra Santa. La cura dei Luoghi Santi deve essere al centro della nostra preoccupazione, ma non solo perché sono i luoghi dell’Incarnazione, ma anche perché la situazione che si è creata con la pandemia ha impoverito ancora di più i cristiani di quella terra che hanno perso il lavoro e la possibilità di vivere dignitosamente per l’assenza completa dei pellegrini. E questo è vero per le persone e per le comunità. La lettera del Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, il Card. Leonardo Sandri, è particolarmente realistica ed eloquente. Ve la invio perché ne possiate far tesoro insieme ai nostri Fedeli. Il 19 marzo u.s., solennità di San Giuseppe, in occasione del 5° anniversario della pubblicazione dell’Esortazione Apostolica “Amoris Laetitia”, Papa Francesco ha inaugurato l’Anno “Famiglia Amoris Laetitia” che si concluderà il 22 giugno 2022 in occasione del X incontro mondiale delle Famiglie a Roma. La pandemia ci ha fatto riscoprire ancora di più il ruolo della Famiglia come chiesa domestica e l’importanza dei legami tra le famiglie. Avremo più di un anno a disposizione per rimettere al centro del nostro interesse e del nostro impegno la Famiglia con molte proposte e iniziative in sintonia con l’Ufficio diocesano della Famiglia e non solo a livello diocesano, ma anche a livello foraniale e parrocchiale. La Famiglia deve diventare sempre di più la misura della missione della Chiesa e dell’impegno pastorale. Se un riconoscimento sociale della Famiglia più concreto e visibile lo chiediamo allo Stato, a maggior ragione è necessario garantire alla stessa un tale risalto nelle nostre comunità. Mi avvio alla conclusione notando ancora che l’8 dicembre del 2020, in occasione del 150° anniversario della proclamazione di San Giuseppe patrono della Chiesa universale da parte del Beato Pio IX, è iniziato un Anno speciale dedicato alla figura di questo Santo che avrà termine l’8 dicembre di quest’anno. La pubblicazione della Lettera apostolica “Patris Corde” di Papa Francesco, accompagnata dal Decreto della Penitenzieria Apostolica con il dono di speciali indulgenze, offre particolari sollecitazioni e occasioni per venerare San Giuseppe, approfondire di più la sua missione di custode dei tesori della Redenzione e invocare la sua protezione sulla Chiesa, sulle famiglie e sull’intero popolo di Dio. San Giuseppe, silenzioso e buono, fedele e mite, forte e coraggioso ci insegna cosa dobbiamo fare come amici di Gesù e pastori. Di lui possiamo imitare il silenzio attivo di un cuore capace di ascoltare in maniera così profonda il mistero dell’altro, da farsene delicato e amorevole custode, senza tradirne mai il segreto. E’ l’augurio che faccio a Voi e a me e che accompagno con quello di Buona Pasqua. Arrivederci alla Messa crismale Anagni, 25 marzo 2021 Solennità dell’Annunciazione del Signore + Lorenzo Loppa  

Omelia e diretta della Messa Rai 14 marzo 2021

L’obiettivo vero del nostro cammino verso la Pasqua non è tanto un gigantesco sforzo di penitenza e di mortificazioni per “scontare” il male commesso; e neppure per giungere ad una più lucida coscienza della nostra situazione o dei mali del mondo. Ma la riscoperta di un amore che ci anticipa, fascia di tenerezza la nostra esistenza, continua a vegliare su di noi nonostante tutto, e si è manifestato in modo meraviglioso nella Croce di Gesù Cristo, nella sua Pasqua di morte e di risurrezione. Ecco perché la quarta domenica di Quaresima introduce nel nostro cammino di rinnovamento spirituale e di ringiovanimento del cuore l’annuncio della gioia. La Domenica “Laetare” (“Rallegrati”) – dalla prima parola dell’antifona d’ingresso – annuncia la gioia della primavera nel cuore della Quaresima, che non è tempo triste e senza sole, una stagione deprimente; bensì un tempo di risveglio dal “sonnambulismo spirituale”, che libera le migliori energie che ognuno porta in sé.             Il cammino di liberazione della nostra coscienza ha il suo baricentro nella Croce di Gesù Cristo che è il segno più alto e misterioso dell’amore di Dio per il mondo. Le pagine bibliche di oggi ci aprono alla sorpresa di sentirci amati e ci mettono davanti al mistero di un Amore che viene prima dei nostri meriti e della nostra risposta: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Poco fa ho parlato del “mistero dell’Amore di Dio”, perché questa affermazione non ha dalla sua parte il conforto della nostra esperienza. Se guardiamo le cose, magari con la lente della cultura scientifica o della conoscenza storica, rimaniamo scandalizzati. Se guardiamo il presente, con la tempesta del Covid-19, ancora di più. Nell’osservare la realtà con un pizzico di disincanto, non vediamo una Provvidenza che è all’opera, un amore che governa. E’ come se entrassimo in una casa disabitata, dove tutto è squallido, in disordine e polveroso. Spesso il mondo ci fa questa impressione. E allora? La Parola del Signore oggi ci invita a fare un collegamento importante, per cui non c’è immediatezza tra l’Amore di Dio e la nostra esperienza … Questo ci porterebbe ad una ideologia dell’amore, non ad una fede nell’amore. Il collegamento da fare è tra l’Amore di Dio, vasto, interminabile, fedele a sé stesso e il momento in cui c’è stata la rivelazione suprema e sconcertante di questo amore, lì dove tutte le categorie del nostro intelletto sono portate a constatare l’assenza dell’Amore: la Croce di Gesù Cristo. Accanto all’Amore del Padre c’è l’immagine ruvida della Croce. La Croce dice un amore apparentemente sconfitto, ma vittorioso; umiliato, ma soffuso di gloria; tradito eppure fedele.             La prima lettura, interpretando teologicamente la storia, suggerisce che sia l’esilio di Israele sia la sua inaspettata liberazione da parte di Ciro e della sua politica liberale appartengono al progetto di salvezza che Dio attua in favore del suo popolo. Gli stessi momenti opachi, i giorni della sofferenza e del fallimento, sono visti come conseguenza di tante scelte sbagliate e come invito e mezzo di purificazione e di conversione. Pure nella schiavitù e nella abiezione l’autore anonimo del libro delle Cronache vede un amore, ma che non va in direzione delle attese e delle aspettative umane. Quella che fu un’esperienza di Israele non era che la pallida anticipazione del “grande amore” con il quale il Padre ci ha amati in Cristo, poiché “da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatto rivivere in Lui” (Ef 2,5 – II lettura).             Dio ci ha amato e ci ama in maniera folle, in maniera tale che ciò che non ha permesso di fare ad Abramo Egli lo ha fatto per noi: “Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio …”. Ci troviamo non solo al centro e al vertice del Vangelo di Giovanni e di tutta la Sacra Scrittura, ma al centro incandescente della nostra fede. Abbiamo delle espressioni che ci lasciano senza fiato … “Dio ha amato …”, “Dio ha dato …”, “La luce è venuta al mondo …”. Dio ha considerato e considera noi più importanti di sé stesso. Ha amato noi quanto il Figlio. Noi non siamo cristiani perché crediamo in Dio o perché lo amiamo, ma perché crediamo che Dio ci ama! Però con un amore “diverso” da tutto ciò che noi chiamiamo amore. A noi esso resterà sempre incomprensibile, perché non riusciremo mai a comprendere il senso di una fedeltà non ricambiata, il senso di un amore deciso a rischiare tutto, anche la vita. “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). Dio non spreca la sua eternità a progettare castighi e non impiega la sua sapienza ad istruire processi contro di noi. Non gli interessa giudicare, condannare, distruggere. La nostra vita per il Suo amore è misurata da primavere, da abbracci e da spiragli di luce.             Nicodemo, il destinatario delle parole che abbiamo ascoltato nel Vangelo, era un notabile giudeo che va da Gesù di notte, forse per paura di compromettersi. E’ vecchio. Ci aspetteremmo di trovare nel testo una parola … per la terza età. Invece Gesù lo avverte che … deve nascere dall’alto! E si può e si deve nascere dall’alto solo guardando il Figlio e comunicando al Suo amore che l’ha portato sulla croce. Perché un mondo diverso, un mondo nuovo si può costruire solo con delle persone che, rispondendo all’amore di Dio, abbiano la capacità di amare fino alla morte. Perché la luce della verità e la verità della luce di Cristo entrano nella vita delle persone solo se si sentono amate. E’ inutile stare a rimuginare i mali del mondo: ci pensano i TG e notiziari ad aggiornarci. Quello che conta è sentirci sempre “Opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo” (Ef 2,10). La salvezza è “opera

Ecco le riflessioni del vescovo Lorenzo Loppa per “Ascolta, si fa sera”, 2021

Ecco le riflessioni del vescovo Lorenzo Loppa per “Ascolta, si fa sera”, la popolare trasmissione di Rai Radio Uno, condotta nelle quattro domeniche di febbraio I ( puntata 7 febbraio) Da più di quarant’anni in Italia, nella prima domenica di febbraio, si celebra la Giornata per la Vita. Oggi l’abbiamo fatto per la 43^ volta in un momento in cui ansia, smarrimento, paura, insieme a fiducia e speranza, combattono nel nostro cuore e lo costringono continuamente ad una specie di gincana dei sentimenti. Il tema della Giornata è stato “Libertà e Vita”. E la pandemia ci ha fatto e ci fa sperimentare in maniera inattesa e drammatica una limitazione impensata delle nostre libertà personali e comunitarie. La ricorrenza odierna è un’occasione preziosa per sensibilizzare tutti al valore dell’autentica libertà nella prospettiva di un suo esercizio a servizio della vita. La vera libertà va esercitata nella responsabilità. L’asse che unisce la libertà alla vita è la responsabilità. Chi crede nel Dio di Gesù Cristo sa che Dio stesso è il paradigma dell’uomo come responsabilità. E questa si spende come priorità dell’altro sull’io, per cui la felicità non nasce dalla realizzazione dei propri progetti, ma dalla risposta al bisogno altrui. La responsabilità è disponibilità all’altro e alla speranza. Dire “sì” alla vita dal suo inizio naturale al suo naturale tramonto è il compimento di una libertà che può cambiare la storia. L’essere umano è sempre un fine, mai un mezzo. La vita è mistero che coincide con il mistero stesso di Dio. Amare, promuovere, custodire la vita è il nostro modo di essere fedeli a Colui che ama la vita e fa della vita dell’uomo la Sua gloria. II (puntata 14 febbraio) L’11 febbraio, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, abbiamo celebrato la XXIX Giornata Mondiale del malato. Un’occasione, che ogni anno ci viene offerta, per riservare un’attenzione speciale alle persone malate, a coloro che le assistono, a tutto il mondo della salute che si estende non solo agli ospedali, ma anche alle famiglie e alle comunità. In questo momento, in tutto il mondo, sono moltissimi coloro che subiscono gli effetti della pandemia da Covid-19. “La relazione di fiducia alla base della cura dei malati” è stato il tema della Giornata. Fermarsi, ascoltare, stabilire una relazione diretta e personale con l’altro, farsi coinvolgere con empatia nella sua sofferenza è importante sempre, ma soprattutto con le persone malate nel corpo e nello spirito. La pandemia, da cui siamo squassati, ha fatto emergere tanti limiti e inadeguatezze dei sistemi sanitari con le conseguenti carenze nell’assistenza delle persone malate. Nello stesso tempo, ha messo in risalto la dedizione fino all’eroismo e al dono della vita di molti operatori, volontari, sacerdoti, religiose e religiosi. La terapia per riconquistare la salute è fatta di farmaci e di arti mediche, ma, prima di tutto, di sguardi, di attenzioni, di stima, di disponibilità, di rispetto, di valorizzazione della dignità di ognuno, di cura nel senso più pieno del termine. Il Cristianesimo annuncia il Vangelo di una sofferenza che salva, che non è materiale di scarto, ma può diventare moneta sonante per la crescita di chi deve ritrovare la salute e di chi l’accompagna. III (puntata 21 febbraio) Da pochi giorni è iniziata la Quaresima che ritorna ogni anno a dirci la premura instancabile di Dio nel volerci vicini al Suo cuore come figli riconciliati. Per questo ci viene offerto un tempo propizio per ringiovanire spiritualmente, per riacquistare la nostra libertà, spesso spenta da tanti che decidono per noi, e recuperare la nostra identità di battezzati immersi nella grazia della Pasqua e nell’oceano d’amore della SS. Trinità. Le braccia aperte di Cristo Risorto, tese verso ognuno di noi, aspettano impazienti di stringerci in un abbraccio. La preghiera è il varco che ci presenta a quest’abbraccio. La misericordia ci fa sentire compassione per la sofferenza degli altri e ci invita a condividere quello che siamo e quello che abbiamo. Il digiuno ci fa provare la “fame” in solidarietà con i poveri, ci rende più presenti a noi stessi e più liberi per essere abitati dal Signore. Ogni anno la Quaresima si apre con un gesto di potente semplicità e di grande concretezza. Lasciarsi mettere della cenere sulla testa rappresenta una forma di consapevole sottomissione. Non è un atto di mortificazione, ma di umiltà e di consapevole appartenenza. Siamo creature. Nessuno si fa da sé. Fin da quando veniamo al mondo, qualcosa in noi ci dice che bisogna essere di qualcuno per essere qualcuno. Il senso della vita è in questa umiltà di appartenere. Siamo figli e figlie amati prima di ogni nostra risposta e di ogni nostro merito. La fede è grazia. Ma ha bisogno di cura e va accudita. Ecco perché la Quaresima torna a dirci ogni anno che, è vero, siamo polvere di terra, ma siamo anche polvere di stelle. IV (puntata 28 febbraio) Sono ormai due mesi che ci siamo addentrati in un anno che stiamo attraversando con un misto di ansia, paura, perplessità e, forse, rabbia; ma anche di fiducia e di speranza. Il virus da Covid-19 ha assestato un colpo fatale al nostro delirio di onnipotenza, alle nostre sicurezze, creando una profonda inquietudine e un deciso smarrimento per tanti effetti negativi che sono sotto gi occhi di tutti. Ma, guardando con la luce del Vangelo e con un pizzico di sapienza quello che abbiamo sotto gli occhi, possiamo ritagliare alcuni spiragli di luce. Intanto abbiamo potuto rilevare durante la pandemia il contrappunto del bene in tanti gesti di carità e di fede, in tanti atteggiamenti generosi e in molte scelte di servizio eroiche. E questi gesti sono fioriti in ambienti e situazioni diversi. Inoltre, tra tante difficoltà, abbiamo potuto assistere a molti eventi che hanno segnato una svolta positiva per persone e famiglie (nascite, matrimoni, raggiungimento di traguardi culturali e lavorativi …). Infine, se guardiamo la pandemia non tanto come una brutta parentesi, ma come una prova e un invito a crescere, possiamo cogliere più di  qualche ammaestramento. Due soprattutto. Essa, oltre ad essere

LA LETTERA DI QUARESIMA 2021 DEL VESCOVO LORENZO LOPPA

LA LETTERA DI QUARESIMA 2021 DEL VESCOVO LORENZO LOPPA Un tempo “sospeso” per ritrovare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa Al Presbiterio e ai Fedeli della Chiesa di Anagni-Alatri Carissimi, sappiamo bene che in ogni relazione e in ogni rapporto d’amore il cuore può raffreddarsi. I motivi possono essere tanti come la stanchezza, l’abitudine, il perdere di vista l’ispirazione di fondo che ci muove, la scomparsa di un orizzonte verso cui andare … Lo stesso effetto può essere prodotto dalle difficoltà del cammino e dalla pesantezza del vivere dovuti ad eventi dolorosi, inaspettati e sicuramente forieri di ansie, paure e smarrimento come la pandemia da Covid-19 da cui tutta l’umanità è squassata come una nave sul mare in tempesta. E’ provvidenziale, allora,  che durante l’Anno liturgico, una stagione come la Quaresima ritorni a prenderci per mano perché ritroviamo la gioia e la bellezza della nostra appartenenza al Signore e della nostra risposta al Suo amore. La Quaresima è tempo di rinnovamento spirituale, di ringiovanimento del cuore che può invecchiare stancandosi di amare. Questa primavera dello spirito fa appello alla nostra responsabilità di fronte al dono del Battesimo. Nel farci puntare decisamente alla Veglia pasquale e al rinnovo delle promesse battesimali, la Quaresima viene a ridirci che la fede e la vita cristiana sono un dono che hanno bisogno di cura e “manutenzione” continua per non svanire nell’invisibilità di un appartenenza e di una testimonianza evanescenti. Ecco perché Papa Francesco apre il suo Messaggio per la Quaresima 2021 con queste parole: “Nel percorrere il cammino quaresimale … come tempo di conversione, rinnoviamo la nostra fede, attingiamo l’acqua viva della speranza e riceviamo a cuore aperto l’amore di Dio che ci trasforma in fratelli e sorelle in Cristo. Nella notte di Pasqua rinnoveremo le promesse del nostro Battesimo, per rinascere uomini e donne nuovi, grazie all’opera dello Spirito Santo … Il digiuno, la preghiera e l’elemosina, come vengono presentati da Gesù nella sua predicazione (cfr Mt 6,1-18), sono le condizioni e l’espressione della nostra conversione.  La via della povertà e della privazione (digiuno), lo sguardo e i gesti d’amore per l’uomo ferito (l’elemosina) e il dialogo filiale con il Padre (la preghiera) ci permettono di incarnare una fede sincera, una speranza viva e una carità operosa”. Preghiera, digiuno e misericordia camminano insieme. Sappiamo bene, ma non mai abbastanza, che il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia è la vita del digiuno.             Il digiuno, non solo alimentare, ci fa provare la fame di Dio in solidarietà con i più poveri: “Vissuto come esperienza di privazione, porta quanti lo vivono in semplicità di cuore a riscoprire il dono di Dio, a comprendere la nostra realtà di creature che in Lui trovano compimento. Facendo esperienza di un povertà accettata, chi digiuna <<accumula>> la ricchezza dell’amore ricevuto e condiviso” (Papa Francesco). Digiunare vuol dire liberare la nostra esistenza da quanto la ingombra e consentire a Dio di “prendere dimora” presso di noi e accogliere nella fede la Verità che è Gesù Cristo per diventarne testimoni.             Nel raccoglimento e nella preghiera silenziosa la speranza ci viene donata come ispirazione e luce interiore che illumina sfide e scelte della nostra vita. E la speranza, il cui distillato è la fiducia in un amore che non ci abbandonerà mai, è importante, direi vitale, soprattutto nell’attuale contesto di preoccupazione, di paura e di smarrimento. La Quaresima è fatta per sperare, per volgere lo sguardo alla pazienza di Dio, alla Sua tenerezza di Padre e al Suo amore misericordioso.             La carità, vissuta nella sequela di Cristo Buon Samaritano dell’umanità e nella tenera comprensione verso ognuno, è la  più alta espressione della nostra fede e della nostra speranza. “Vivere una Quaresima di carità vuole dire prendersi cura di chi si trova in condizioni di sofferenza, abbandono o angoscia a causa della pandemia da Covid-19 … La carità è dono che dà senso alla nostra vita grazie al quale consideriamo chi versa nella privazione quale membro della nostra stessa famiglia … Il poco, se condiviso con amore, non finisce mai, ma si trasforma in riserva di vita e di felicità …” (Papa Francesco). All’inizio del nostro cammino quaresimale ci accompagni la domanda che Gesù fece ai due discepoli di Giovanni il Battista che erano stati indirizzati a Lui proprio dal Precursore: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38). Cioè: cosa sveglia il vostro cuore dal più profondo? Qual’ è il vostro desiderio più grande e qual’ è la fame che muove la vostra vita? Dietro quale sogno correte? Il rapporto con gli altri e con Dio può essere inquinato da intenzioni poco chiare e subdole … A queste domande è importante rispondere, ma da innamorati. Che la Quaresima ci aiuti a ritrovare i sentieri del cuore: a passare da Dio come dovere e obbligo a Dio come desiderio, stupore, tesoro.             Due iniziative particolari accompagnano tradizionalmente la nostra Quaresima: : la “24 ore per il Signore” e la “Quaresima della carità”. La prima – nel fine settimana che precede la domenica “Laetare” – in passato ha visto l’apertura di alcun chiese della nostra Diocesi per 24 ore, quindi anche di notte, con l’offerta del sacramento della Riconciliazione all’interno dell’adorazione eucaristica. Quest’anno ciò non sarà possibile per i motivi che tutti conosciamo. Allora la stessa proposta e l’apertura di alcune chiese sarà divisa in due giornate, dalle ore 8.00 alle ore 20.00. Quindi venerdì 12 e sabato 13 marzo saranno a disposizione le chiese di: Santa Chiara in Anagni (Clarisse); Santo Stefano in Alatri (Benedettine); San Giovanni in Carpineto Romano (Carmelitane); Santa Teresa in Fiuggi; Santa Maria Assunta in Trevi nel Lazio; San Giovanni Evangelista in Vallepietra. La “Quaresima della carità”, con la solidarietà fraterna a cui ci educa, avrà lo scopo di farci partecipi della sofferenza in cui versano le popolazioni della vicina Croazia provata da un terremoto disastroso il 29 dicembre u.s.             Buona Quaresima e buon cammino di conversione a tutti Anagni, 17 febbraio 2021 Mercoledì delle Ceneri                                                                                    + Lorenzo, vescovo

IL VESCOVO AI SACERDOTI: “DIAMO SEGNALI DI LUCE E DI APERTURA”

Carissimi, siamo ancora nel bel mezzo di questa tempesta inaspettata e furiosa che ci ha preso alla sprovvista. Rispetto a qualche tempo fa i motivi di speranza e di fiducia nell’Amore di Dio e nell’aiuto responsabile degli altri e della scienza sembrano crescere … Nel frattempo, parecchi di noi stanno toccando con mano il venir meno di quella provvista spirituale, morale e psicologica che ci ha permesso di attraversare i primi tempi del lockdown … di corsa. Il Covid-19 ancora morde e mette paura.        Prendo carta e penna sulla scorta delle letture della Messa di oggi e, soprattutto, del Vangelo. Voglio condividere con Voi un pensiero. In questi mesi la nostra attività di pastori non si è fermata … anzi, per certi versi, si è moltiplicata con le invenzioni dovute alla … fantasia pastorale. Ora avvertiamo, forse, un po’ di stanchezza … e anche il desiderio di tirare il fiato! “Venite in disparte e riposatevi un po’” (Mc 6,31): la proposta di ritiro spirituale di Gesù è bella, ma l’esperienza non dura molto, perché la folla si fa di nuovo presente in maniera massiccia. Il nostro riposo sarà autentico ed efficace solo se non consisterà in una fuga dalla gente smarrita e dagli impegni. Lo stare con il Signore ci rigenera, ci dà forza e ci permette di sperimentare la sua stessa compassione per chi è smarrito. Dobbiamo lasciare per un attimo “il gregge” a livello fisico e mai con il cuore, per poi poter ritornare subito alla gente da consolare e alimentare con la Parola. Il riposo “vero” ci permette di offrire l’autentico sacrificio di noi stessi con un di più di attenzione, di sensibilità, di generosità, di partecipazione condivisa, di compagnia e di comprensione verso tutti. Oltre alla centralità della Parola e dell’Eucaristia, assicuriamo “spazi profetici” ed esemplari ai percorsi educativi (catechismo o diretto o attraverso le famiglie) e ai percorsi della solidarietà fraterna. Con un occhio di riguardo agli anziani e ai disabili.        In questo momento, all’impegno sociale e politico delle nostre Istituzioni per la ricerca del bene comune, sappiamo affiancare una bella risposta da parte delle nostre comunità cristiane in termini di resilienza e di trasformazione di tanti elementi grigi e scuri in segnali di luce e di apertura al futuro.        Un abbraccio Anagni, 6 febbraio 2021                                                + Lorenzo, vescovo

Oltre la pandemia: riprendere il cammino nella responsabilità solidale e fraterna

La pandemia da Covid-19 è un’ombra che sta coprendo l’intero pianeta mettendo a dura prova l’umanità intera. Stiamo vivendo tutti una situazione di difficoltà inedita, drammatica, assolutamente destabilizzante. L’umanità intera è squassata da questa tempesta inattesa e si è scoperta impreparata a gestire l’emergenza. Tutti, a cominciare dal sottoscritto, si sono trovati impreparati. È come se avessimo ricevuto sul volto un pugno tanto inatteso quanto assolutamente crudo e brutale che ci ha fatto barcollare e quasi andare al tappeto. Siamo tutti come un pugile “suonato” che si sta guardando attorno smarrito e sta cercando di rialzarsi nella speranza di trovare un appoggio a un punto fermo. Ecco: dovremmo rialzarci. Dobbiamo rialzarci e riprendere il cammino. Ma, da dove ripartire? E come ripartire? “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendosi in noi stessi”. Così ha affermato Papa Francesco nell’omelia della Messa di Pentecoste indicando “tre nemici del dono sempre accovacciati alla porta del cuore: il narcisismo, il vittimismo e il pessimismo” (31 maggio u.s.). Per rinascere e ripartire bisogna guardare avanti non con la falsa retorica dell’ottimismo ad oltranza e dei proclami, ma con la solida e affidabile speranza cristiana, fondata sulla fede nella promessa di Dio che, nonostante le smentite della cronaca e della storia, mai e poi mai abbandona i Suoi figli e che a loro dà tutto ciò che serve per attraversare qualsiasi tempesta della vita rimanendo nel Suo amore e nella Sua pace. Non basta dire “andrà tutto bene”, anche se bene non va. L’ottimismo guarda il bicchiere mezzo pieno, ma il bicchiere non si riempie. Sono gli occhi della speranza che vedono quello che non c’è e che ci fa riposare sul cuore di un Dio per cui siamo più importanti dei passerotti che cadono e di un capello della nostra testa. Da dove ripartire? Prima di tutto dal Vangelo, dall’illuminazione che ci dona, dallo sguardo sulla vita che ci propone, dall’atteggiamento di Gesù in cui dobbiamo specchiarci. Il Vangelo non ci propone cose strane, ci offre un’illuminazione che non è frutto di tecniche ed esercizi particolari, ma è la conseguenza di una nuova coscienza di noi stessi come figli, che hanno “conosciuto” il Padre attraverso Gesù Cristo, e degli altri come fratelli e sorelle. Questa luce ci fa vedere la realtà così come è e non come viene falsata dalla proiezione dei nostri desideri, delle nostre paure e dei nostri incubi. Inoltre il dono dello Spirito permette a noi credenti di leggere la storia alla luce della Pasqua che è anche anticipo del nostro futuro. La logica della croce – risurrezione è la verità ultima, la chiave di lettura della nostra vita, il criterio per vivere nella verità. Infatti, se dovessimo leggere la storia solo alla luce del presente, a volte opaco e deludente, concluderemmo che l’amore, il dono e la gratuità (i tratti essenziali della vita di Cristo) sono sconfitti e perdenti. Invece, leggendo il presente alla luce della sapienza di Dio manifestatasi nella risurrezione del Crocifisso, siamo in grado di capire come solo l’amore ostinato – anche se smentito e crocifisso – costruisce la storia ed è il fondamento di una esistenza solida. Infine il nostro vero specchio è l’atteggiamento di Gesù verso la gente: “Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Mt 9,36). L’ansia per la salvezza, la passione per il Regno, la “compassione” di Gesù per la gente, che si declina in una attività di annuncio e di guarigione – cura per la persona, vanno assolutamente condivise … E questo – mi permetto di dire – soprattutto da chi, come noi, è coinvolto nel ministero pastorale e di guida dei propri fratelli e sorelle. Inoltre, nel riprendere il viaggio con una buona dose di consapevolezza occorre prendere atto di due realtà che sono emerse in maniera netta in questa situazione di difficoltà inedita e così drammatica: la precarietà e il limite, che segnano l’esistenza individuale e collettiva, e in cui siamo tutti connessi; l’interdipendenza di tutti noi: noi siamo parte dell’umanità e l’umanità è parte di noi. Il limite pervade la nostra esistenza. Siamo tutti “precari”. E i poveri non sono una categoria a parte e che non ci riguarda: tutti possiamo diventare poveri da un momento all’altro. Perché ognuno di noi, in cinque minuti, può perdere la salute, le sostanze, la tranquillità familiare, l’equilibrio personale … E siamo solidali nella vulnerabilità e nel limite. Dobbiamo assolutamente riconoscere la precarietà della nostra vita che è mortale. Ma, insieme, occorre nutrire la speranza che non lo sia il mistero d’amore che la percorre e l’attraversa. La pandemia, come ogni “pestilenza” e le altre malattie contagiose, fa di ciascuno di noi, senza che lo vogliamo, un colpevole e una vittima. Siamo portati a vedere nell’altro una minaccia “infettiva” da cui prendere le distanze e proteggersi. Occorre vincere questa tendenza! Bisogna riconoscere che siamo affidati gli uni agli altri ed è necessario fare il passaggio dalla interconnessione di fatto alla solidarietà voluta. Abbiamo avuto, soprattutto nella fase acuta del “Coronavirus”, tanti esempi di “passaggio” verso azioni responsabili e atteggiamenti di fraternità (operatori sanitari; volontari; ricercatori e scienziati; tanti papà e mamme; anziani e giovani; responsabili delle comunità religiose). L’attenzione maggiore, però, va offerta soprattutto ai più fragili: agli anziani e ai disabili! Non è, infine, di poco conto prestare molta attenzione a come si parla dell’agire di Dio in questa congiuntura storica. Bisogna, soprattutto, prendere le distanze da quello schema rozzo e blasfemo che stabilisce una corrispondenza tra peccato e colpa da una parte e punizione dall’altra; tra “lesa maestà divina” e “rappresaglia sacra” … Ricordo solo che il Dio di Gesù Cristo non passa l’eternità a progettare vendette né spreca la Sua onnipotenza nel comminare castighi … L’asse attorno a cui gira la storia non è il peccato dell’uomo, ma l’amore di Dio: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito …” (Gv 3,16). E ricordo, soprattutto, una della più belle e consolanti parole di

Omelia di San Sisto 2020

15 aprile 2020 – Alatri, Concattedrale Festa di San Sisto I, Papa e Martire Letture : At 3,1-10 Eb 13,7-20 Lc 24,13-35 “Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra” (Sal 120,1-2) E’ uno dei Salmi che accompagnavano i pellegrini che salivano verso il tempio di Gerusalemme. Sono parole di fiducia nei riguardi di Dio che è “nascosto” e spesso sembra dormire nell’ora della prova. Colui che ha risuscitato Gesù Cristo dalla morte è il nostro custode e non ci tradirà lasciandoci soli. In questo momento in cui tutta l’umanità è squassata dalla tempesta del Coronavirus e mille dubbi, ansie, preoccupazioni e paure sembrano travolgerci, da chi ci dobbiamo aspettare un aiuto? Da Dio, attraverso la scienza medica e la ricerca, dalla solidarietà e da una responsabilità assunta in pieno e decisamene condivisa. L’Amore non sopporta che i suoi figli siano inghiottiti per sempre dalla morte e che, soprattutto, siano travolti dalla disperazione. Dio continua a compiere i miracoli mediante l’opera dell’uomo per l’intercessione dei Santi. Oggi è il quarto giorno dell’Ottava di Pasqua: Cristo è risorto ed è vivo; è a fianco a noi e ci vuole vivi. Celebriamo la festa di San Sisto I, Papa e Martire nella luce pasquale e nella gioia di avere un futuro di vita. Dall’11 gennaio 1132, cioè dal giorno in cui le spoglie di San Sisto sono arrivate ad Alatri, è iniziata la storia di una bella amicizia tra gli abitanti di questa Città e il Patrono. Le vicende civili e religiose di Alatri hanno sempre trovato un contrappunto nella devozione profonda dei suoi abitanti verso il sesto successore di San Pietro da cui, soprattutto nei momenti di difficoltà, hanno ottenuto custodia e protezione. E’ così anche oggi. “Il nostro aiuto viene dal Signore” che ci custodisce attraverso i suoi Santi. Le pagine bibliche di oggi ci parlano della vittoria di Dio nella risurrezione del Crocifisso. Cristo, morto per amore, non poteva essere trattenuto più di tanto dalla morte. La Pasqua è la vittoria decisiva, anche se non definitiva di Dio sul male e sulla morte: “Morte e vita si sono scontrate in uno spaventoso duello. Il Signore della vita era morto. Ma, ora, vivo, trionfa”. Il Vangelo ci parla del Vivente che accompagna la speranza morta dei due viandanti di Emmaus in un cammino di risurrezione. La prima lettura ci presenta la forza della risurrezione all’opera nella storia. Dopo aver conquistato a fatica la fede, gli amici di Gesù continuano la sua opera di liberazione guarendo uno storpio alla Porta Bella del Tempio. La seconda lettura aggiunge che, nella ricerca della città futura, la carità e la comunione sono degli elementi irrinunciabili. Il vero culto è quello che parte dai “sacrifici” rituali ma sfocia nella vita e si celebra sulle strade e negli ambienti che frequentiamo. Da queste tre pagine bibliche raccolgo alcune indicazioni di non poco conto per la nostra fede. San Sisto ci è andato avanti nel viverle. Il testo degli Atti degli Apostoli ci racconta un miracolo e ci fa persuasi di come la missione liberatrice di Gesù continui in quella dei Suoi amici. Il Tempio era ancora una grandezza presente nella vita dei discepoli. Pietro e Giovanni vi si dirigono per la preghiera e incontrano uno storpio che chiede l’elemosina alla Porta Bella. Con uno sguardo, una parola e un gesto lo guariscono nel nome e con la forza di Cristo risorto. Pietro e Giovanni possono dare una mano al Signore per compiere il miracolo perché realizzano le condizioni chieste da Gesù per la missione. Il prodigio avviene perché, prima di tutto, sono in due, come indicato da Gesù che inviava i discepoli due a due (cfr Lc 10,1). Due testimoni dello stesso fatto erano più credibili. Inoltre, la prima testimonianza da dare era quella dell’amore reciproco. Inoltre, senza comunione non si annuncia il Vangelo. Essere in comunione è l’“arma” segreta dell’evangelizzazione, l’asso nella manica della Chiesa, l’esorcismo più potente contro il male. Gesù chiedeva ai missionari di avere un bagaglio leggero. D’altronde, nella vita, se abbiamo accanto qualcuno che ci vuole bene, di cos’altro possiamo aver bisogno? Inoltre Pietro e Giovanni non hanno “né argento né oro”. Il gesto di guarigione passa attraverso il discepolo spoglio di ogni potenza umana per riporre la sua fiducia esclusivamente nel Nome del Signore. Il vuoto di sé e di ogni sicurezza può, allora, essere riempito dal Nome che solo compie prodigi. Un Nome che è al di sopra di ogni altro nome e che non solo raddrizza lo storpio ma, permettendogli di camminare ed entrare nel Tempio, lo reintegra pienamente nel suo popolo restituendogli una dignità piena. Altri suggerimenti per la nostra fede li colgo nell’episodio dei due discepoli di Emmaus e nella compagnia di Gesù che li aiuta a passare dalla cecità alla luce, dal disconoscimento al riconoscimento, dalle dimissioni alla missione, dalla fuga al ritorno all’interno della comunità. Dopo la liturgia della strada, nella quale Gesù si fa raccontare la Sua morte e in cui i due discepoli prendono atto del naufragio del loro sogno e del fallimento della loro speranza, con la liturgia della Parola Gesù spiega loro le Scritture e come tutto il piano di Dio abbia potuto trovare il compimento nella Pasqua, in cui la Croce non era un incidente, ma la pienezza dell’amore. Con la Parola Gesù scalda il loro cuore: “Non ci bruciava, forse, il cuore mentre per via ci spiegava le Scritture?” (Lc 13,32). Infine la liturgia del Pane apre ai due amici gli occhi: “Lo riconobbero nello spezzare il pane” (Lc 13,31). La Parola accende il cuore, il Pane apre gli occhi. Parola e Pane cambiano il cammino, la direzione: “Partirono sen’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme” (Lc 24,33), nella comunità alla quale annunciano il Risorto. Quante suggestioni e quante luci di indicazione per la nostra fede! La fede, prima di tutto, non è “la religione delle bucce”. Non è un’avventura di