A Fiuggi la veglia per la pace. Il vescovo Ambrogio: «La preghiera ci aiuta»
Si è tenuta lunedì 4 novembre a Fiuggi, presso la chiesa parrocchiale di San Biagio, la Preghiera per la pace e la fine di ogni violenza nelle nostre città, presieduta dal vescovo Ambrogio Spreafico e organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio. Un momento di preghiera intenso e raccolto, con monsignor Spreafico che ha poi proclamato il Vangelo delle Beatitudini e offerto ai presenti una riflessione, ricordando innanzitutto il significato del ritrovarsi insieme nella chiesa fiuggina «per chiedere al Signore nella preghiera il dono della pace ovunque c’è la guerra, laddove i popoli soffrono, dove uomini e donne, piccoli e grandi muoiono sotto le macerie della distruzione. Siamo qui perché la preghiera ci aiuta, ha una sua forza, la preghiera ci libera da quei sentimenti di inimicizia che talvolta sono anche nel cuore di ognuno di noi e magari ci allontanano dagli altri, ci riempiono i pensieri, i sentimenti o i giudizi». Quello che ci viene chiesto per incamminarci con decisione sulla strada della pace, ha aggiunto Spreafico, è farci «compagni di quel Dio che ha inviato in mezzo a noi il Figlio perché fosse la testimonianza di pace, di amore, della possibilità di vivere insieme nella nostra diversità come sorelle e fratelli, come amici che si prendono per mano per aiutarsi, per aiutare gli altri, soprattutto chi soffre e ha bisogno». Rifacendosi poi ad alcuni dei passaggi delle Vangelo poco prima annunciato «parole che abbiamo ascoltato tante volte», Spreafico ha rimarcato come «le beatitudini ci aiutano a capire come dobbiamo vivere da cristiani, come con la nostra vita, i nostri pensieri e azioni dobbiamo includere tutti coloro che sono parte dell’amore di Dio, a cominciare dai poveri, da quel “beati i poveri in Spirito perché di essi è il regno dei cieli”, sì, Spirito perché i poveri cercano sempre qualcosa che allievi la loro condizione, quei poveri che tante volte vivono ai margini della vita, della società, del mondo, talvolta anche nelle nostre comunità. E “beati coloro che sono nel pianto perché saranno consolati”: quanta gente oggi piange, ma dobbiamo sempre pensare che il Signore non ci abbandona e noi dobbiamo essere donne e uomini che sanno anche consolare, asciugare le lacrime altri, che sanno fermarsi e si prendono cura di chi soffre; essere capaci di asciugare le lacrime, asciugare le lacrime degli altri diminuisce anche il dolore perché lo si condivide», ha aggiunto il vescovo. Prima della conclusione, sono stati letti tutti i Paesi in guerra e le zone del mondo dove sono in atto dei conflitti, pregando per ognuno. di Igor Traboni. Grazie per la collaborazione a don Francesco Frusone e Fausto Martufi
Trisulti, ancora tutto fermo. Sollecito al ministro: “Convochi il Tavolo”
Che fine ha fatto il “Tavolo per la valorizzazione della Certosa di Trisulti”, lo splendido complesso monastico che aspetta ancora di tornare a “nuova vita” dopo le ben note vicende dell’affidamento, poi revocato, ad una associazione vicina all’ex stratega di Donald Trump, Steve Bannon? In oltre due anni dalla costituzione con provvedimento della Direzione generale dei musei, infatti, il “Tavolo” non è stato mai convocato, nonostante siano intercorsi numerosi solleciti da parte della Rete Trisulti Bene Comune, realtà associativa di cui fanno parte oltre 20 associazioni e istituzioni della provincia di Frosinone che tanto si è battuta, in sede legale, proprio per la revoca di quell’affidamento, allora posto in essere dal Ministero per la Cultura a quei tempi retto da Dario Franceschini. Adesso arriva una nuova richiesta, inviata direttamente al Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, e sottoscritta – oltre che dal presidente della Rete, Maria Elena Catelli – anche dal vescovo di Anagni-Alatri, Ambrogio Spreafico, e dal sindaco di Collepardo, Mauro Bussiglieri, per chiedere un incontro per fare chiarezza sulle intenzioni del Ministero e sul futuro del “Tavolo”, a fronte di quella che a suo tempo era stata, come si legge in una nota della Rete Trisulti Bene Comune, “una confortante dichiarazione di intenti sulla volontà di attuare un modello di gestione della Certosa aperto alla partecipazione di enti e associazioni del territorio non è stato più convocato per elaborare il piano delle attività da svolgere per raggiungere la nobile finalità”. Tra l’altro, sia il vescovo Spreafico che il sindaco Bussiglieri, oltre alla Rete, hanno sollecitato più volte la Direzione generale dei musei, ma senza ottenere alcun riscontro. Nella lettera si fa riferimento anche all’urgenza di affrontare delicate problematiche, emerse in questi ultimi mesi, legate alla tutela della Certosa, “un complesso monastico di particolare pregio, con una storia millenaria, in cui il territorio riconosce le proprie radici culturali e spirituali. Le finalità per il quale il Tavolo è stato a suo tempo istituito non solo non sono venute meno, ma richiedono di essere perseguite con diverso e migliore impegno, alla luce di situazioni e problematiche, connesse non solo alla valorizzazione ma alla stessa tutela della Certosa”, scrivono ancora monsignor Spreafico, Bussiglieri e la Catelli. di Igor Traboni
Pontificio Collegio Leoniano: inaugurazione dell’anno accademico 2024-2025, l’omelia del Vescovo Ambrogio
Segue il testo dell’omelia del Vescovo Mons. Ambrogio Spreafico nella celebrazione per l’inaugurazione dell’anno accademico 2024/25del Pontificio Collegio Leoniano – Anagni 23 ottobre 2024Clicca qui per scaricare il pdf Fratelli e sorelle, iniziamo questo nuovo anno davanti al Signore, per nutrirci cella sua Parola, pane di vita eterna. Abbiamo bisogno di ritrovarci insieme davanti a lui, per ricentrare la nostra vita, per riscoprire la gioia e la bellezza di essere cristiani, di vivere il senso di essere popolo, comunità, non tanti io che camminano da soli pur essendo con gli altri. L’apostolo Paolo ci trasmette sempre il grande dono di essere comunità, di vivere la gioia dell’unità e della fraternità, quel mistero di cui anche le genti sono diventate partecipi, condividendo la “stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Egli si sente partecipe di questa grazia, che è annunciare “alle genti le impermeabili ricchezze di Cristo”. Se c’è una resistenza nel tempo in cui siamo riguarda proprio la condivisione della gioia di essere comunità, popolo riunito dalla Spirito Santo come segno dell’unità di tutto il genere umano”, come dice il Concilio. Il mondo ci abitua all’io, ad essere concentrati su di sé, i propri bisogni, le proprie esigenze, emozioni, paure, e via di seguito. Siamo in un mondo in cui gustare la forza di essere “corpo di Cristo”, uniti dal suo amore per noi, è diventato quasi una richiesta troppo difficile. Nella parabola che abbiamo ascoltato Gesù parla di un padrone, che ha bisogno di amministratori che si facciano custodi della sua casa. Noi tutti, in modi diversi, siamo chiamati a custodire la casa di Dio, le nostre comunità, anche questo luogo dove molti di voi vivono. Essere amministratori non vuol dire essere padroni. Poco prima il Signore aveva parlato dell’inganno della ricchezza e del possesso, perché “la vita non dipende dal possesso”. Il mondo abitua al possesso. La violenza e le guerre sono spesso frutto della smania di possesso di beni, terre, ricchezze altrui. Ma anche la vita quotidiana è costellata di un modo di vivere in cui possedere beni, esibirli, usarli mettendoli in mostra (pensate a chi sfreccia per le strade con macchine enormi per esibirsi o ci semplicemente vuole qualcosa perché è di moda! Si comincia già da piccoli a pretendere per esibirsi e non essere da meno degli altri). Non è spontaneo essere amministratori, o, come aveva detto proco prima Gesù, servi. Molti vogliono essere solo padroni! Questa è una grande tentazioni anche degli uomini e delle donne di chiesa e riguarda anche le nostre comunità. Possedere, sentirsi padroni, magari solo di una chiave o di un incarico, invece di essere al servizio. Da qui nascono giudizi, gelosie, irritazioni, persino rivalità. Così a volte si perde il senso di essere al servizio di una casa dove l’unico signore a maestro è il Signore. Quindi si perde anche il senso dell’attesa, della vigilanza. Ma si deve vigilare, perché la casa che noi abitiamo come cristiani è per tutti, è per una famiglia che deve sentirsi accolta, amata, rispettata nelle sue diversità. Sorelle e fratelli, “a chiunque fu dato molto, molto più sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. Molto ci è stato dato a cominciare dalla vita e da quanto ciascuno di noi ha ricevuto negli anni della sua crescita, ma anche molto ci è stato “affidato”. L’evangelista si riferisce qui a quanto il Signore ci ha affidato come discepoli del Signore dal battesimo in poi nella vita della Chiesa. Bisogna avere sempre la consapevolezza di quanto abbiamo ricevuto e di quanto ci è stato affidato. Solo questa consapevolezza ci aiuterà ad essere non padroni, ma servi, pronti a restituire quanto abbiamo ricevuto. Vivere la vita come restituzione di qualcosa che abbiamo ricevuto libera il cuore e la mente dall’ossessione del possesso, dei beni, dell’esibizione. Rende umili e quindi sempre vigilanti, perché bisognosi di accogliere il Signore nella nostra vita e di condividere con gli altri quanto abbiamo ricevuto. Con questa consapevolezza sapremo costruire un mondo fraterno, comunità accoglienti, non chiuse nei propri riti e nelle proprie conventicole di uguali, che finiscono per escludere, per giudicare e disprezzare gli altri. Quante esclusioni umiliano la grazia di un Vangelo che, come dice Paolo, è grazia per tutti. Cari amici, condividiamo la grazia e la gioia di un Vangelo che ci è stato affidato e che può avvicinare tutti a un modo di vivere fraterno e amico in un mondo che esclude e discrimina, in cui i poveri sono spesso dimenticati, gli stranieri esclusi e respinti, i giovani non ascoltati, gli anziani lasciati soli e ghettizzati. Quanta miseria ci tocca vedere! Quanta ingiustizia! Non assecondiamo mai questa mentalità che sta rendendo l’umanità più povera e violenta. Siamo portatori qui e nei luoghi che ci vedono vivere e operare della grazia e del dono che abbiamo ricevuto e che ci è stato affidato, perché sia comunicato con gioia e passione. La cultura che qui viene comunicata sia la via per allargare la vostra mente e il vostro cuore al mondo in cui siamo, perché la cultura deve sempre parlare al tempo in cui viene comunicata, come la fede deve diventare ogni volta cultura del vivere, altrimenti sarà sterile ripetizione. Il Signore ci aiuti, la Vergine Santa e i patroni delle nostre comunità, che affidiamo al Signore, ci proteggano e ci portiano sempre verso il Signore e intercedano perché il mondo ritrovi la via della pace e della fraternità. + Ambrogio Spreafico
Giubileo: il 15 marzo 2025 il pellegrinaggio interdiocesano a Roma
Si svolgerà sabato 15 marzo 2025 il pellegrinaggio interdiocesano a Roma per il Giubileo, con i fedeli delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino guidati dal vescovo Ambrogio Spreafico. Il programma prevede l’appuntamento in piazza San Pietro, l’udienza giubilare con papa Francesco, la celebrazione eucaristica e il passaggio della Porta santa. Il dettaglio degli orari verrà comunicato in un secondo momento attraverso i media e i social diocesani. Le adesioni si raccolgono nelle parrocchie di appartenenza e andranno comunicate entro il 15 dicembre prossimo, per consentire la migliore organizzazione logistica.
Il San Sisto I del Cavalier d’Arpino rivive anche in un libro
Matematico, astronomo, cosmografo: studi e conoscenze che gli valsero il giusto appellativo di “vescovo scienziato”, Ignazio Danti, fu consacrato vescovo di Alatri nel 1583, e qui morì il 19 ottobre 1586, dopo essersi speso totalmente per la sua gente, con una particolare sollecitudine per i poveri ma senza dimenticare i suoi interessi culturali, compreso quello per la pittura, tanto che volle commissionare all’allora giovane Giuseppe Cesari, poi divenuto famoso in tutto il mondo con il nome di “Cavalier d’Arpino”, un ritratto di San Sisto I, conservato per l’appunto ad Alatri.Il dipinto è stato poi fatto restaurare dall’Associazione Gottifredo e restituito così in tutta la sua bellezza in una magnifica serata del luglio di 4 anni fa, all’Acropoli.Questa premessa è indispensabile per dire che ora, peraltro proprio nell’anniversario della morte di Danti, esce un volume dal titolo “Il San Sisto del Cavalier d’Arpino, l’affresco restaurato”, curatoda Mario Ritarossi, il docente del liceo artistico di Frosinone che tanta parte ha avuto in questa riscoperta. Il libro, prefato dal vescovo Ambrogio Spreafico e con una presentazione del presidente dell’associazione ed edizioni Gottifredo, Tarcisio Tarquini, si avvale di alcuni preziosi contributi critici dello stesso Ritarossi, di Maria Letizia Molinari e di Francesco Petrucci, ad introdurre gli appassionati – o anche i semplici curiosi che vogliano così avvicinarsi all’opera e a tutto il genio del Cavalier d’Arpino e di converso all’operato del vescovo Ignazio Danti – alle tecniche del restauro, alla precocità dell’arte di Giuseppe Cesari e alla sontuosità di un emblema encomiastico di antica e armoniosa bellezza.Scrive tra l’altro il vescovo Spreafico nella prefazione, riferendosi al dipinto: «Era un capolavoro che avevamo sotto gli occhi da secoli ma che non aveva mai ricevuto fino ai giorni nostri l’attenzione che meritava. Va reso merito a chi ha voluto richiamare questa attenzione con un’iniziativa che ha incontrato subito il favore del nostro predecessore, monsignor Lorenzo Loppa, e la collaborazione dell’Ufficio diocesano dei Beni culturali e l’Edilizia di culto e della sua responsabile Federica Romiti». Spreafico preannuncia inoltre questa importante novità: «Il San Sisto del Cavalier D’Arpino, sarà una delle bellezze che faranno parte del costituendo Museo diocesano di Alatri; in un certo senso, rappresenterà uno dei suoi beni più prestigiosi e ammirati».Igor Traboni
Il vescovo Ambrogio alle Confraternite: «Il servizio è amore»
L’intervento del vescovo Spreafico alla cerimonia per la memoria della deportazione degli Ebrei di Roma
La Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Ebraica di Roma hanno promosso anche quest’anno una memoria della deportazione degli ebrei di Roma, compiuta dai nazisti il 16 ottobre 1943. Furono in 1.024 ad essere strappati dalle loro case e deportati ad Auschwitz: ne tornarono solo 16. La ferita inferta al tessuto della città è stata profonda e ci richiama all’importanza di un impegno contro ogni forma di antisemitismo e di razzismo. La commemorazione pubblica si è tenuta alla vigilia dell’anniversario del tragico evento, il 15 ottobre alle ore 19.45, proprio nel luogo in cui avvenne, al Portico d’Ottavia, nel cuore del quartiere ebraico di Roma, che oggi ha preso il nome di Largo 16 ottobre 1943. (il link per rivedere il video completo)https://www.santegidio.org/pageID/30284/langID/it/itemID/58953/La-memoria-della-deportazione-degli-ebrei-romani.html Alla commemorazione sono intervenuti: il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, il Presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi e il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino mons. Ambrogio Spreafico. Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’intervento del vescovo Ambrogio:Clicca qui per scaricare il pdf Il recente incontro internazionale delle religioni per la pace che Sant’Egidio ha promosso a Parigi aveva come titolo, Immaginare la pace. E’ una speranza coltivata dai profeti pur in mezzo a ingiustizie e guerre e che ci conduce questa sera a continuare a crederlo con voi, sapendo che è un sogno che le Sacre Scritture ebraiche ci propongono tante volte.Qui ogni anno noi ricordiamo quanto l’odio per l’altro possa condurre a una violenza e a una crudeltà così cruda, che non riesce più a vedere nell’altro, e allora era l’ebreo, considerato dall’ideologia nazista e fascista indegno di essere parte della cosiddetta umanità dei puri, una donna e un uomo, semplicemente un essere umano come te, uno creato a immagine e somiglianza di Dio, come recita così bene l’inizio di Bereshit. L’odio cresce e la barbarie della violenza lo fa crescere.Allora nessuno ebbe pietà, perché l’odio toglie ogni residuo di pietà e rende l’Altro solo un nemico da sconfiggere ed eliminare. Erano uomini, donne, bambini, vecchi, malati. Che importa. Nessuno di loro aveva diritto di continuare a vivere. La loro memoria oggi deve rimanere un monito in un mondo in cui rigurgiti di antisemitismo e di razzismo diventano sempre più frequenti e rendono a volte persino pericoloso mostrarsi con la propria identità religiosa o etnica che sia.È stato recentemente tradotto in italiano un documento dei vescovi francesi, “Decostruire l’antigiudaismo cristiano”. È un segno ulteriore che mostra come la Chiesa Cattolica, dal Concilio Vaticano II, si è impegnata perché l’antigiudaismo, che tanto ha segnato la cultura cristiana, sia eliminato. La “decostruzione”, che compie questo documento, evidenzia un passato con convincimenti non più condivisibili, ma anche un rinnovato impegno della Chiesa cattolica per riscoprire le radici ebraiche della sua fede e per stabilire un dialogo fraterno con il popolo ebraico.Esso dovrebbe preservarci dall’accondiscendere al clima di odio e di violenza che respiriamo, in cuil’antisemitismo e l’antigiudaismo sono così cresciuti soprattutto dopo la strage compiuta da Hamasnel sud di Israele e la conseguente risposta di Israele. Dovrebbe altresì aiutarci a rinnovare quell’alleanza di amore e di pace, che sola porta alla vita e che, nella nostra diversità, e insieme nella comune appartenenza alla famiglia umana, tutti siamo chiamati a custodire e a testimoniare “spalla a spalla”, come dice il profeta (Sofonia 3,9). Scrive un sapiente ebraico: “Per guarire dalla violenza potenziale verso l’Altro devo essere capace di immaginarmi come l’Altro”. Questo è anche immaginare la pace spalla a spalla.Cari amici della Comunità ebraica di Roma, a cui ci lega una salda e antica amicizia, sento l’urgenza di un impegno comune in questa direzione. Vorrei attingere alle vostre Scritture per dire che oggi abbiamo bisogno di condividere quel Tiqqun ‘olam, “quella riparazione del mondo”, così necessaria e urgente. Bisogna fare qualcosa al mondo che non solo ripari i suoi danni ma anche che lo migliori, preparando il suo accesso allo stato ultimo per il quale esso fu creato, quell’armonia delle differenze che solo può rendere possibile una convivenza pacifica e umana e un futuro all’umanità. C’è molto dolore e molta distruzione da riparare, molto odio da raddrizzare, un linguaggio parlato e scritto da eliminare, molta violenza da combattere con le armi insostituibili della mitezza e di un dialogo pacificatore. Di questo spirito ne ha bisogno questa città, ne ha bisogno il mondo, ne hanno bisogno le relazioni sociali, per riparare quei danni dell’io che con arroganza non sa ascoltare e dialogare.Sono stato nel mese di luglio a Betlemme, Gerusalemme e Tel Aviv con una delegazione europeadella Comunità di Sant’Egidio. Ho incontrato alcune famiglie dei rapiti del 7 ottobre. Abbiamocondiviso il dolore di tutte le parti. Il dolore ci accomuna e ci chiede un impegno perché si torni adialogare, perché Israele possa vivere in sicurezza e pace e ci sia pace per tutti. + Ambrogio Spreafico
Assemblea Ecclesiale 2024, l’omelia del Vescovo Ambrogio
Segue il testo dell’omelia del Vescovo Mons. Ambrosio Spreafico nella celebrazione di chiusura dell’Assemblea Ecclesiale 2024 Abbazia di Casamari – Veroli -Domenica 13 ottobre 2024 Clicca qui per scaricare il pdf Sorelle e fratelli, lo Spirito di Dio ci raduna come un popolo attorno al suo Maestro e Signore, quel Dio che in Gesù Cristo ci ha rivelato l’amore profondo per l’umanità intera, e che noi, come suoi discepoli, siamo chiamati a comunicare con gioia e passione. E’ quanto ci siamo detti in questi giorni nell’Assemblea delle nostre due diocesi, che stanno condividendo la gioia di lavorare insieme in questo tempo difficile, in cui tanti io, individuali o di gruppo, preferiscono l’isolamento nei loro confini, umani o geografici che siano, fino ad arrivare alla contrappostone e all’eliminazione dell’altro, come avviene nella violenza e nelle guerre.Noi siamo il popolo dei discepoli di Gesù, parte di un popolo universale, “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”, come dice il Concilio. Se non siamo questo, se non siamo seme di unità, di amicizia, di inclusione, di dialogo con tutti, semplicemente non siamo discepoli di Gesù di Nazareth, ma appartenenti a chiesuole, gruppi, associazioni, che si fanno le loro cose e rischiano di crescere senza portare frutto. La nostra assemblea esprime con semplicità e umiltà la ricchezza di questo popolo nella diversità di ognuno, ma anche nella sua forza di amore e di passione per il Vangelo, generatrice di sogni e di visioni per il mondo.Siamo guidati e nutriti da quella Parola di Dio, “viva ed efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio, … che discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”. Per questo siamo qui. Lasciamoci scrutare dalla Parola di Dio, perché produca in noi sapienza del vivere e umanità. Il mondo ha bisogno di umanità, saggezza, amicizia, gentilezza, amore. Ma, se ascoltiamo solo noi stessi, non andremo molto oltre. A volte siamo scontati, troppo sicuri; ripetiamo noi stessi, imponiamo i nostri schemi aprendoci con fatica al nuovo, o pensando di essere già noi il nuovo. Come ascolteremo gli altri, le loro domande, il bisogno dei poveri, la solitudine degli anziani e le incertezze dei piccoli e dei giovani, le attese e le speranze di pace del mondo?Il Vangelo ci ha parlato dell’incontro di Gesù con un “tale”. In quel tale ci potrebbe essere ciascuno di noi, ma anche ogni donna e ogni uomo. Ha una domanda dentro, una domanda di vita. Era ricco, ma non gli bastava per essere felice, realizzare se stesso. “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?” Gesù risponde in modo sorprendente: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”. Pensate quante volte ci sentiamo buoni, a posto con Dio e con gli altri. E che dovrei fare di meglio e di più? Ma Gesù sa che non basta sentirsi buoni e fare il proprio dovere, come quel tale. Così Gesù “fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” Sorelle e fratelli, Gesù ci ama, sa chi siamo meglio di noi, conosce il nostro desiderio di vita piena e di felicità. Per questo ci indica una risposta, una proposta di vita per tutti. Sì, ti manca qualcosa di essenziale. Va’, vendi quello che hai, lascia quello che credi il tuo tesoro, vivi la solidarietà con i poveri e avrai un tesoro nel cielo. “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza”, aveva detto parlando alle folle (Mt 6,24). La parola di Gesù è un ammonimento e un invito prezioso per la vita di ognuno di noi, non solo dei consacrati e consacrate o dei sacerdoti. Gesù propone ad ogni discepolo un tesoro, che non è possibile comprare, come i beni che possediamo, né si ottiene con un benessere che lascia insoddisfatti. Questo tesoro è innanzitutto nel cielo. Ma il suo possesso comincia già fin da oggi. Infatti, Gesù aggiunse: “Poi vieni e seguimi”. Seguire Gesù è anche separarsi da qualcosa di nostro. Lo aveva chiesto già Dio ad Abramo, che si separò dalla sua terra e divenne benedizione per tutti. Noi a fatica sappiamo separarci da ciò che abbiamo, anzi molti vivono per possedere, spendono energie e sostanze solo per il loro interesse. Tanti arraffano beni a dispetto dei poveri. La vita dei poveri, la miseria di molti, non li tocca, non li muove a compassione. E noi? Come ci collochiamo? Quante volte abbiamo risposto all’invito spesso ripetuto di metterci al servizio dei poveri e dei deboli; non ho tempo, ho da fare, ho molti impegni… Ricordatevi che quel tale se ne andò triste, perché possedeva molti beni. I beni non sono garanzia di felicità, sebbene molti lo credano.Cari amici, lasciamoci guidare dalla Parola di Dio. Costruiamo insieme, con tutti, un mondo fraterno, includendo nel nostro amore i deboli, i soli, i poveri, gli insoddisfatti, gli abbandonati, e otterremo un “tesoro nel cielo”, ma “già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà”. Gesù non nasconde le difficoltà, ma sa che vale la pena accogliere il tesoro di amore che ci viene proposto e affidato. Lo sapremo oggi fare nostro? Solo chi accoglie questo tesoro, potrà essere seminatore di fraternità, di pace, essere una donna e un uomo di dialogo, che sa ascoltare e parlare, prendendosi cura della vita degli altri. Il mondo soffre per la guerra e per la violenza, ma soffre anche per la mancanza di pensiero e di visioni. Il Signore cerca profeti che sappiano indicare vie di pace, immaginare la pace costruendola con la pazienza dell’amore ogni giorno. Dialogo e amore vanno insieme. Tu, ognuno di noi, può esserne responsabile. Alcuni
Il vescovo ai giovani: «Dialogo e amore, perché siamo una forza di amicizia e pace!»
Solo… posti in piedi per chi è arrivato un po’ più tardi, con la graziosa chiesa di Tecchiena Castello fin troppo piccola per accogliere i quasi 300 giovani arrivati da ogni parte delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino per l’incontro con il vescovo Ambrogio Spreafico nella serata di venerdì 11 ottobre: un appuntamento fortemente voluto proprio da monsignor Spreafico a mo’ di ideale cerniera tra i due incontri dell’assemblea interdiocesana, quello di sabato 5 ottobre tenutosi a Fiuggi e quello di domenica 13 previsto a Casamari. Un incontro, questo dei giovani, vissuto in un clima di amicizia (probabilmente una delle note più belle, perché abbiamo visto nascere nuovi legami con lo scambio di numeri di cellulare e mail, ma anche ragazzi tornare ad abbracciarsi dopo chissà quanto tempo, magari per aver fatto le medie insieme e poi essersi persi un po’ di vista), di gioia e allegria, ma anche e soprattutto di tanta partecipazione nei successivi gruppi di “approfondimento”, e di attenzione alle parole del vescovo. Monsignor Spreafico, dopo la lettura del brano evangelico dell’Annunciazione e la proiezione di un video realizzato dalla pastorale giovanile di Anagni-Alatri, ha parlato, come suo solito, a cuore aperto ai ragazzi presenti, invitandoli subito all’ascolto, proprio come ha saputo fare Maria, umile ragazza di un piccolo villaggio: «Anche voi giovani avete saputo ascoltare e stasera siete qui, in tanti. E invece, nei nostri mondi, quante volte uno parla e l’altro non ascolta. Succede in famiglia, tra gli amici; magari a scuola no, perché lì… dovete ascoltare per forza! – ha un po’ scherzato il vescovo, strappando un bel sorriso ai giovani, prima di tornare a parlare della serietà dell’argomento – Ma se non lo ascolto, come faccio a capire l’altro? Come faccio a capire se dietro quella faccia scura c’è un problema? No, cari ragazzi, non basta una chat, tutti quei puntini, abbreviazioni ecc che poi non si capisce niente. Se tu invece ascolti l’altro, allora lo capisci. Ma quante volte, mentre vi ritrovate a casa per il pranzo o la cena, e parlate tra di voi, invece di chattare? Guardate che i social sono utili, io non li condanno mica e con moderazione li uso anche io, perché è bello mettersi in contatto con chi magari sta dall’altra parte del mondo. Ma non si può sempre star lì a chattare. Se un tuo amico festeggia il compleanno, non mandargli un messaggio di fretta, ma chiamalo! Fai sentire che ci sei, che sei vivo! Quando ascolti, allora dialoghi. E la vita è dialogo! Pensateci un po’: perfino le guerre non finiscono senza un dialogo, senza che ci si metta attorno ad un tavolo per dialogare. Il dialogo fa la vita! E dialogo e amore vanno insieme. Se vuoi bene ad una persona, ma non la ascolti, come fai a capirla? Ed è proprio la prima cosa che fa Maria: ascolta». Il dialogo, ha aggiunto il vescovo, permette anche di liberarsi di una certa vergogna nel dire cose personali e quindi di farsi aiutare. Ed è il vero antidoto contro le guerre, anche le piccole guerre attorno a noi: «Quando covi qualcosa contro un altro, da amico diventa nemico. Succede anche con i followers. Ma le guerre nascono proprio perché tu cominci a guardare l’altro prima come un estraneo e poi diventa un nemico. Ecco perché nel mondo ci sono 100 conflitti e ben 187 se contiamo pure le guerriglie». Ma noi, è stato l’ulteriore invito rivolto da Spreafico ai giovani, «possiamo fare tanto, se ci prendiamo la responsabilità di costruire qualcosa, perché la pace dipende da tutti; noi dobbiamo essere uomini e donne di pace. Gesù ci affida un tesoro e noi dobbiamo custodirlo, essere protagonisti del cambiamento delle nostre belle città. Invece oggi c’è troppo individualismo, Ma se tu in classe vedi un compagno che si isola, che magari ha un problema, tu te ne devi occupare, diventare un vero amico. Diciamo “no” all’egoismo, perché gli egoisti sono loro le prime vittime, sono dei “poracci”: pensi solo a te stesso e così ti rovini. Noi, cari ragazzi, siamo chiamati ad aprire gli occhi, a guardare lontano, a coltivare cuore e pensieri, perché si vive di ascolto. Voi siete una forza di amicizia e pace e Gesù conta su voi, su ognuno di voi!», ha concluso il vescovo Ambrogio, salutato da un fragoroso applauso dei giovani presenti. Poi, come detto, i partecipanti si sono divisi in gruppi secondo fasce di età, stimolati dai sacerdoti e dai vari educatori presenti a riflettere sulle parole del vescovo e su altri stimoli offerti. E anche qui, facendo capolino tra un gruppo e l’altro, abbiamo notato dei giovani estremamente attenti e preparati, capaci di offrire ai coetanei spunti di riflessione mai banali. Insomma, davvero una gran bella serata, preparata al meglio dalle pastorali giovanili e vocazionali delle due diocesi, coordinate da don Luca Fanfarillo, don Pierluigi Nardi, don Tonino Antonetti, don Francesco Paglia, Andrea Crescenzi e con un “grazie” per l’accoglienza a Giorgia e Ilenia, educatrici di Tecchiena Castello. Tra i tanti giovani presenti, anche quelli di vari movimenti, gruppi e associazioni, dagli Scout ad Azione Cattolica e Nuovi Orizzonti, dai giessini di Comunione e Liberazione ai volontari delle Olimpiadi Victoria di Madonna della Neve e del Sicomoro di Fiuggi, ma di certo ne dimentichiamo qualcuno e ce ne scusiamo. Bella e significativa anche la presenza dei seminaristi delle due diocesi, accompagnati dall’assistente spirituale don Angelo Conti. A concludere il tutto, la benedizione finale, saluti e abbracci. Anzi, no: per molti anche un dopo-incontro con cornetti alla crema o panini con la porchetta, nella serata un po’ fresca ma con il cuore “scaldato” dalla gioia di un incontro. Igor Traboni
I Caracciolini da 300 anni ad Anagni: una serie di eventi per l’anno Giubilare
I padri Caracciolini si preparano ad aprire l’anno Giubilare per festeggiare la loro presenza continua da 300 anni ad Anagni. Sono infatti presenti con il loro servizio in città dal 1725, nella centralissima parrocchia di San Giovanni de Duce. Il loro servizio si integra con i sacerdoti diocesani, visto che gli stessi Caracciolini prestano servizio pastorale anche nella chiesa di Santa Chiara e dalle suore Cistercensi della Carità.Il loro servizio è ispirato al santo Francesco Caracciolo, al tempo Ascanio Caracciolo, nato nel 1563 a Villa Santa Maria in Abruzzo e morto nel 1608 ad Agnone, in Molise.I Caracciolini, come detto, sono arrivati nella Città dei Papi nel 1725 e da allora sono impegnati nella pastorale parrocchiale cercando di trasmettere lo spirito dell’Ordine: servendo i poveri, gli anziani e gli ammalati. Oltre alle attività parrocchiali, i padri Caracciolini hanno sempre insegnato in istituti scolastici il credo della Chiesa cattolica, e inoltre si occupano della formazione dei nuovi giovani seminaristi. Non meno importanti sono le missioni che svolgono anche all’estero, impegnandosi a costruire scuole e seminari.Per questo importante evento giubilare, la parrocchia di San Giovanni ha organizzato una serie di appuntamenti.Si parte venerdì 11 ottobre, con l’incontro dei bambini del catechismo con un discendente della famiglia del Santo, Nicola Caracciolo, che coinvolgerà i gruppi raccontando la vita del Santo.Sempre lo stesso giorno, in piazza Dante, dalle 19, tre ristoranti di Anagni condivideranno un momento conviviale. In particolare, verranno coinvolti Malacucina, Trattoria del Grappolo d’oro e Tratto-Pesce. La serata sarà allietata dalla musica dal vivo a cura di Alessandro Viti e Max Stefano.Sabato 12 ottobre, alle 16 presso la Sala della Ragione del Comune di Anagni si svolgerà un convegno sulla storia della parrocchia di San Giovanni de Duce e la pastorale dei Caracciolini nel mondo. L’incontro, moderato dal sottoscritto, vedrà gli interventi di P. Pierpaolo Ottone, P. Floribert, il prof. Tommaso Cecilia, i gruppi catechistici e infine il parroco Padre Florent Kasai.Domenica 13 ottobre, alle 10.30, la Messa nella parrocchia di San Giovanni de Duce, celebrata da Mons. Ambrogio Spreafico, Vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino.Durante tutto l’anno giubilare si continuerà con tantissimi eventi in programma. Per maggiori informazioni è possibile visitare la pagina Facebook della parrocchia o contattare il sacerdote. Carlo Cerasaro