Spreafico alla Santissima: «La Trinità ci fa vivere da amici». L’annuncio: il Santuario sarà chiesa giubilare

Con il pellegrinaggio partito di buon mattino dal paese di Vallepietra e guidato dal vescovo Ambrogio Spreafico, domenica 16 febbraio al santuario della Santissima Trinità è stata celebrata la Festa dell’apparizione, nell’unico giorno di apertura invernale del sacro speco, che infatti ha accolto i tanti fedeli con un suggestivo manto bianco di neve. Monsignor Spreafico ha quindi celebrato Messa nella chiesa al coperto del santuario, salutando subito i presenti «dopo aver camminato verso questo luogo per incontrarci con la Trinità che ci accoglie, siamo tanti da luoghi, parrocchie e diocesi diverse, ma siamo un popolo, perché i cristiani da qualunque luogo provengono, italiani o no di origine, sono un popolo, ed è bello essere popolo in un mondo come il nostro dove questo è diventata una cosa molto difficile». Nel corso dell’omelia, il vescovo ha poi fatto riferimento al Vangelo del giorno, a quel ritrovarsi di Gesù «in mezzo a tanta gente che veniva da tante parti, non tutti credenti ma diversi tra loro, e stavano attorno a Gesù perché aveva parole che aiutavano a vivere, perché il Vangelo è vita e tante volte si vive male proprio perché non ascoltiamo il  Vangelo, perché se ascoltassimo la Parola di Dio, questa ti entra nel cuore e ti fa vivere secondo quella bontà che dovrebbe caratterizzare la nostra vita. Immaginiamoci di essere in quel luogo sul lago di Galilea: chi c’era attorno a Gesù? Poveri, gente che aveva fame,  che non aveva il necessario, che aveva dei dolori, che piangeva, anche persone odiate dagli altri. E quanto odio c’è oggi nella vita, troppo odio, anche sugli smartphone: aiutate i vostri figli e nipoti – ha detto Spreafico rivolgendosi proprio ai genitori e ai nonni presenti –  a non odiare mai nessuno, a non condividere un insulto con gli altri, perché l’insulto è odio e di odio ce ne è già abbastanza nelle guerre, nella sottomissione degli altri… no, non ne abbiamo bisogno». Ma attorno a Gesù, ha aggiunto il vescovo di Anagni-Alatri, c’era anche gente ricca, che stava bene, soddisfatta di se. Ecco, Gesù sa chi siamo noi, sa i nostri dolori, le fatiche della vita, che qualche volta anche noi piangiamo  perché abbiamo qualcosa dentro ma non possiamo dirlo a nessuno perché oggi nessuno ascolta, tutti abbiamo fretta; ma se ci ascoltassimo di più riusciremmo ad aiutare un altro, un anziano che non ha nessuno. E Gesù conosce anche i nostri desideri, le attese. Il Giubileo che celebriamo ha come titolo “Essere pellegrini di speranza” e lo abbiamo fatto anche noi salendo fino a qui, perché c’è bisogno di speranza. Gesù dice “beati i poveri perché vostro è il regno dei cieli, beati  voi che avete fame, voi che piangete, beati boi quando vi odieranno, vi insulteranno: rallegratevi ed esultate”. Ma ognuno di noi potrebbe dire: come è possibile questo? E’ possibile perché beati sono coloro che si fidano di Dio e quindi hanno non quella felicità che passa in un giorno, ma che anche nel dolore, nella povertà, nella fatica della vita ti fa avere speranza perché sai che Gesù ti rende beato. E poi dice “guai a voi ricchi, che ora siete sazi” ma quel guai non è una maledizione, perché Gesù ci dice; stai attento quando ti accontenti della tua ricchezza, perché la ricchezza non rende felici, stai attento quando prendi in giro gli altri perché quella non è la felicità, quando sei sazio, hai tutto e magari vuoi di più perché quello non ti darà felicità. Gesù non vuole metterci addosso dei pesi ma vuole liberarci dalla tristezza, dalle cose che ci fanno chiudere in noi stessi, dall’insoddisfazione che ci fa sempre lamentare di tutto e degli altri. Vuole dirci: io ti tendo la mano». Spreafico ha poi ricordato che, alla partenza del pellegrinaggio a piedi, è stato recitato il salmo “Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? L’aiuto viene dal Signore”, per sottolineare come «salendo verso il santuario  abbiamo alzato gli occhi perché volevamo arrivare dove la Trinità ci parla, ci raduna, ci benedice, ci aiuta, ci fa vivere. Noi oggi abbiamo bisogno di vivere il bene e di fare il bene, perché c’è troppo male, guerre, odio, disprezzo degli altri, ma noi cristiani non possiamo accettare di vivere così, dobbiamo resistere al male, ribellarci all’odio. Chi allontana il cuore dal Signore non riesce a fare il bene, no  porterà frutti buoni, sarà come albero nel deserto. Gli egoisti non si accorgono che la loro vita non porta frutti, non si accorgono che non solo vivono male gli altri ma anche se stessi. L’uomo e la donna che confidano nel Signore, che fanno il bene ascoltano Gesù e la Trinità: saranno come un albero piantato lungo i corsi d’acqua, che cresce, fa ombra, dà frutti. E questa deve essere la nostra vita: fare il bene, essere benedetti da Dio e poter benedire gli altri. Essere qui ci deve dare speranza per essere gente buona, perché oggi c’è bisogno di persone che guardano agli altri con simpatia, affetto, senza giudicare tutti, perché anche in chi ha fatto il male c’è l’immagine di Dio. La Trinità è questo: amore che si comunica, che rende fratelli e sorelle e amici: il mondo ha bisogno di amicizia». IL SANTUARIO CHIESA GIUBILARE Il vescovo Spreafico, nel ringraziare il rettore monsignor Alberto Ponzi per la cura del santuario, ha quindi annunciato che «questa sarà una delle chiese giubilari della diocesi di Anagni-Alatri e per tutti quelli che verranno dal primo maggio in poi . Qui potrete anche ottenere l’indulgenza plenaria, cioè il perdono: abbiamo tutti bisogno di esser perdonati perché nessuno di noi è giusto. E allora impariamo anche noi a perdonare gli altri perché ci fa bene, e chiediamo a Gesù: tendici la mano e aiutaci a prenderla. Perché se andiamo con Lui andiamo sicuri, faremo il bene e saremo felici». Nel ringraziare il vescovo Spreafico «autentico pellegrino» don Alberto Ponzi ha quindi preso brevemente la parola per ringraziare anche «tutti quelli che si sono

Il vescovo tra i pazienti dell’ospedale di Alatri: «L’amore è la medicina della vita»

In occasione della Giornata del malato, mercoledì 12 febbraio il vescovo Ambrogio Spreafico ha presieduto la Messa nella cappella dell’ospedale di Alatri, concelebrata dal cappellano ospedaliero, don Alessandro Tannous, e dal diacono Giovanni Straccamore, alla presenza di numerosi pazienti, dei loro familiari, di medici, paramedici e amministrativi del nosocomio, di alcuni malati seguiti dall’Unitalsi, con la presidente di sezione Paola Pietrobono, e di alcuni ospiti della cooperativa “Ia ia oh” di Fiuggi, con il responsabile Piergiorgio Ballini, e con il servizio all’altare delle suore ospedaliere della Misericordia. Nel corso dell’omelia, monsignor Spreafico si è subito riallacciato alla Madonna di Lourdes, la cui statua è presente nella cappella dell’ospedale, per ricordare quel “pentitevi” che disse a Bernadette:  «Ma noi siamo in un mondo in cui non si pente più nessuno, ognuno invece urla per avere ragione sull’altro, e ci fosse una volta che chiede scusa, mai uno che dice “mi dispiace, ho sbagliato”, in un mondo in cui tutti si credono giusti. Però quel “pentitevi” non è una punizione, ma è un modo di vivere di uomini e donne che con saggezza sanno che sono peccatori come tutti, perché ognuno di noi uomo è fragile e  talvolta non segue quello che il Signore ci dice e che ci aiuta a vivere, ma segue piuttosto se stesso. Ma quando uno si crede chissà chi, allora la vita non funziona». E qui il vescovo di Anagni-Alatri si è ricollegato al Giubileo, ricordandone anche le origini anagnine con la Bolla del primo di questi eventi emanata da papa Bonifacio VIII nel 1300: «Il Giubileo è un grande dono, una grazia, perché anzitutto è perdono. E quando una persona lo riceve, anzitutto deve avere la coscienza che ne ha bisogno, quel riconoscere che senza il Signore, senza gli altri, non viviamo bene insieme. Ma oggi c’è troppa  prepotenza e poi si litiga e ci lamentiamo sempre degli altri. Il problema resta il cuore, il modo in cui uno vede gli altri: questo oggi ci impedisce di essere amici». Non a caso, ha rimarcato Spreafico, la Messa inizia con la richiesta di perdono «e i peccatori, se riconoscono di essere tali, possono cambiare e contribuire a costruire un mondo migliore, più umano, meno guerrigliero. Anche noi possiamo fare molto, e ce lo spiega Maria, giovane donna che fece l’unica cosa giusta da fare: ascoltò Dio che le parlava». Il vescovo si è quindi rifatto al brano del Vangelo di Giovanni annunciato poco prima, sulle nozze di Cana: «Quando finisce il vino, Maria si rivolge a Gesù e sa che esaudirà la preghiera, e allora dice ai servi: qualunque cosa vi dice fatela. E allora noi chi siamo? Siamo i servi, dobbiamo ascoltare quello che ci dice Gesù, perché se tu lo ascolti avviene il miracolo, quello che hai devi portarlo davanti a Gesù, come quegli invitati portarono le anfore piene di acqua. Questo vuol dire che ognuno di noi comunque ha qualcosa, magari solo un’anfora piena di acqua, ma se tu le cose che hai le condividi, quelle si trasformano, ed ecco il miracolo. Condividere, anche se sembra poco: anche se è poco, una parola a una persona che ha bisogno, un sorriso a uno che ha sempre la faccia triste, una carezza a un anziano che sta male, una visita a un bisognoso, un gesto di solidarietà verso una povera famiglia o chi vive per strada, guardare con simpatia uno straniero o un immigrato senza giudicarlo. E’ qui che avviene il miracolo. Noi abbiamo bisogno di rendere la vita di tutti bella, dobbiamo essere buoni, gentili, prenderci cura degli altri, aiutare chi soffre. Siamo chiamati a dare quel poco che ognuno di noi ha agli altri e questo renderà la vita di ognuno più umana». Monsignor Spreafico ha quindi concluso ricordando che «la medicina della vita, oltre a quella che cura i malanni,  è anzitutto la condivisione dell’amore: una medicina che guarisce l’anima e il cuore, perché tutti possano vivere come fratelli e sorelle». Al termine, dopo un pensiero di ulteriore vicinanza e affetto ai malati e ai loro parenti e a quanti lavorano in ospedale, è stata impartita l’unzione degli infermi. Igor Traboni

Festa dell’Apparizione: pellegrinaggio a piedi alla Santissima, guidato dal vescovo Ambrogio

In occasione della Festa della Apparizione della Trinità, domenica 16 febbraio torna il tradizionale pellegrinaggio a piedi al santuario della Santissima Trinità di Vallepietra, nell’unico giorno della pausa invernale in cui il sacro speco sarà aperto (la riapertura ufficiale ai fedeli ci sarà invece il 1° maggio). Come lo scorso anno, sarà il vescovo Ambrogio Spreafico a guidare il pellegrinaggio a piedi. Il ritrovo è previsto per le 7 in piazza Italia, al centro di Vallepietra proprio davanti alla chiesa parrocchiale, con la benedizione e l’inizio del pellegrinaggio; alle 10.30 la celebrazione eucaristica al santuario, presieduta da monsignor Spreafico. Nel pomeriggio, il programma delle celebrazioni proseguirà nella chiesa parrocchiale di Vallepietra, con la recita del Rosario alle 16 e alle 16.30 la Messa, presieduta dal rettore del santuario, vicario generale della diocesi e parroco di Vallepietra, monsignor Alberto Ponzi. Seguirà la processione per le strade del paese con il quadro della Trinità. (nella foto, un momento del pellegrinaggio 2024, sempre con la guida del vescovo Ambrogio Spreafico, qui impegnato nell’ascesa)

Celebrazione di San Biagio a Fiuggi, l’omelia del vescovo Spreafico

San Biagio (Fiuggi, 3 febbraio 2025) Sorelle e fratelli, le feste dei santi ci offrono sempre la possibilità di rinnovare la nostra fede e la nostra vita e anche di capire il tempo in cui siamo, sebbene la loro vita sia a volte molto lontana da noi. Come sapete infatti, San Biagio era nato e vissuto a Sebaste in Armenia, terra che ha mantenuto nei secoli la fede cristiana, nonostante il suo territorio sia stato più volte devastato fino al genocidio degli anni 1915-1916, quando furono sterminati più di un milione di armeni dall’Impero Ottomano. Una storia di violenza e di dolore, di cui lo stesso San Biagio fu parte, subendo il martirio nel 313. Questa storia ci ricorda il dolore di un popolo e la violenza del mondo, che si ripete in ogni epoca. Anche oggi, sorelle e fratelli, siamo davanti a un mondo violento, un mondo in guerra, dove la prepotenza e il potere arrogante umiliano e distruggono, fanno crescere l’odio e le inimicizie. Come discepoli di Gesù, mite e umile di cuore, che ci invita a imitarlo, non dobbiamo mai schierarci con la violenza, che oggi si annida nei cuori, si esprime nelle parole e corre sui social, dove persino si gioca e si gode della violenza. Quanto è triste e scioccante vedere esaltata e imitata la violenza, ripresa e postata, come se distruggere o vincere un altro, magari solo nel gioco on line, possa rendere felice qualcuno. Cari amici, stiamo diventando troppo allineati con questo mondo in guerra, come se fosse normale.Allora ci chiediamo: è possibile essere felici in un altro modo? O per esserlo si deve sottomettere un altro con la prepotenza e la forza o si deve essere padroni di un pezzo di mondo? Qual è la forza dei cristiani? Abbiamo ascoltato nella Lettera di Paolo Apostolo ai Romani: “In tutte queste cose (Paolo sta parlando delle tribolazioni e sofferenze della vita, angoscia, persecuzione, fame, pericolo, morte…) noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati…. (insomma nessun potere mondano e celeste) potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo, nostro Signore”. Ecco la nostra forza, che fa vivere e rende felici: l’amore di Dio in Gesù, la cui Parola è luce e guida delle nostre giornate, di quanto pensiamo e diciamo, delle scelte e delle attese e speranze di ognuno. Per questo siamo qui. Per questo veneriamo i santi. Non solo per ripetere tradizioni anche belle e significative, bensì per farle vivere oggi nella nostra vita, nelle nostre comunità e nei luoghi in cui viviamo.Certo, la via proposta da Gesù sembra difficile, impossibile. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”. Vediamo. Primo: andare dietro a Gesù. Già questo è un problema, perché di solito si va dietro a se stessi, si segue se stessi, si vuole salvare se stessi. Soprattutto nei tempi difficili si pensa: ma che m’importa di quello e di quell’altro, l’importante che sto bene io. Devo pensare a me stesso, e poi, se posso, penserò anche a qualcun altro! Credo che lo pensano in molti. Allora che vuol dire Gesù? Una cosa molto semplice: se tu pensi a salvare solo te stesso, non riuscirai mai. Infatti la storia è piena di gente triste e sconfitta perché ha fatto e fa solo il proprio interesse. Al contrario, se tu ti occupi di salvare, cioè di aiutare a vivere un altro, salvi anche te stesso, perché noi siamo fatti per crescere insieme fratelli e sorelle, non nemici che si eliminano o si ignorano. Allora stai attento quando ti dicono: pensa a te stesso e non ti preoccupare degli altri! E’ un tranello. Che vuol dire allora – seconda cosa – salvarsi perdendo la propria vita par causa di Gesù? Se tu lo ascolti, lo segui, impari a capire che l’amore vero è anche perdere, cioè lasciare qualcosa di sé, accettare di prendere un po’ le distanze da sé. Infatti, se vuoi bene a una persona, la devi lasciare entrare nella tua vita, facendole spazio, dandole un posto nel tuo cuore, nel tuo tempo, nella tua vita, altrimenti sei solo ingombrante e sarai padrone e non amico. Fai spazio al Signore in te e all’altro e ti salverai da quell’egoismo che rende tristi, insoddisfatti, prepotenti, sempre a chiedere, mai a dare con gratuità.Ecco i santi, cari amici. Avevano capito che l’amore di Dio li rendeva liberi, felici, e che ognuno poteva accogliere questo amore e imitarlo amando gli altri, prendendosi cura di qualcuno, facendo spazio nella propria vita alla parola di Dio e agli altri, a cominciare dai poveri, dai sofferenti, da chi ha più bisogno di amore. Pensiamo ai tanti anziani negli istituti anche qui a Fiuggi. Avete mai pensato che li si può andare a trovare, ad esempio? San Biagio è patrono della gola. Vorrei chiedergli nella preghiera che guarisca la nostra gola, da cui passa il suono delle parole, da un linguaggio volgare, violento, offensivo, duro, urlato, irrispettoso, nemico. Aiutaci san Biagio a purificare il nostro vocabolario, a vivere imparando a dare amore, a diffondere bontà, gentilezza, benevolenza, affabilità, con le nostre parole e i nostri gesti. ———– Simone Lisi, Priore della venerabile confraternita del Santissimo Sacramento ed Immacolata Concezione della chiesa di San Biagio, ha poi inviato una lettera al Vescovo, in cui si dice tra l’altro che «la Sua guida è per noi una costante fonte di ispirazione e di conforto. Grazie per la Sua vicinanza e il Suo impegno a favore della nostra comunità».

Verso il Giubileo, anno di speranza e riconciliazione: conferenza con Spreafico e Impagliazzo

Nell’ambito delle iniziative di approfondimento e di formazione per il Giubileo 2025, fortemente volute dal vescovo Ambrogio Spreafico, le diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino hanno organizzato un nuovo appuntamento per giovedì 20 febbraio (auditorium diocesano di Frosinone, viale Madrid accanto alla chiesa di San Paolo, con inizio alle ore 18). La conferenza, aperta a tutti, avrà come tema “Immaginare la Pace. Il Giubileo, anno di speranza e riconciliazione”, che si ricollega direttamente a quel “Pellegrini di speranza” che costituisce il tema del Giubileo 2025. Dopo l’introduzione del vescovo Ambrogio Spreafico, interverrà il professor Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio e ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Roma Tre. Proprio alla fine dello scorso mese di gennaio, Marco Impagliazzo, romano, 62 anni, è stato riconfermato come presidente della Comunità di Sant’Egidio per il prossimo quinquennio. L’elezione è avvenuta al termine di una larga consultazione che ha coinvolto, nei mesi scorsi, tutte le Comunità di Sant’Egidio nel mondo (si tratta di una realtà presente in ben 70 Paesi). L’assemblea ha poi visto la partecipazione a Roma di 158 delegati da tutti i continenti ed è stata significativamente aperta da un pellegrinaggio a San Pietro, con il passaggio della Porta Santa. A conclusione di un confronto assembleare durato due giorni, Marco Impagliazzo ha tracciato – come riportato da una nota pubblicata sul sito della Comunità di Sant’Egidio – le linee di un quinquennio che si apre in un contesto internazionale attraversato da «preoccupanti conflitti e da una riabilitazione della violenza, a diversi livelli». Di fronte a questo scenario, Impagliazzo  ha invitato la Comunità a «rafforzare il suo impegno per la pace e l’attenzione alle diverse periferie geografiche e ‘della vita’, nell’amicizia che ha sempre avuto con i poveri in tutto il mondo». Impagliazzo è anche autore di numerose pubblicazioni, libri e saggi. L’ultimo è “I Giubilei nella storia” (edito da Morcelliana) in cui l’Autore indaga i tratti di continuità e discontinuità di questa tradizione conciliare come si è tramandata e rinnovata fino ad oggi, dalla sua origine nel Medioevo. Un grande racconto per comprendere che cosa significhi l’indulgenza plenaria nella tradizione ma anche nell’attualità di questo Giubileo 2025. Impagliazzo ha anche curato la prefazione  de “Le guarigioni nella Bibbia. Da Giobbe a Gesù”, scritto dal vescovo Ambrogio Spreafico assieme a Maria Cristina Marazzi e Francesco Tedeschi, anche questo pubblicato da Morcelliana.  Igor Traboni

Presentazione del Signore: l’omelia del vescovo Ambrogio per la Giornata della vita consacrata

Sorelle e fratelli, cari consacrati e consacrate, ci ritroviamo in questa festa accompagnati dalla lucedel Signore, con cui siamo entrati in questa chiesa. Queste luci ci fanno riscoprire la luce delSignore, come disse Simeone accogliendo Gesù: “I mie occhi hanno visto la tua salvezza, preparatada te davanti a tutti i popolo: luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. Abbiamobisogno di luce. Il mondo ha bisogno di luce. Le guerre, la violenza, l’odio, oscurano la luce, nonfanno vedere che se stessi e nell’oscurità gli altri appaiono spesso come nemici che minacciano latua esistenza, quindi possibilmente da eliminare. Perciò si cresce nella paura dell’incontro,dell’amicizia, di un dialogo pacifico. Si vive nella solitudine, scelta o imposta, come quella di tantianziani soli a casa o in istituto, di adulti che si ritirano in disparte, o anche di quei giovani molto suisocial e troppo poco con gli altri. Il buio crea tristezza, distanza, non fa vedere il bene, non favedere l’altro come parte del tuo vivere.È possibile vivere nella luce? Il Vangelo ci indica una risposta: imparare ad essere donne e uominidell’attesa, perché l’attesa è speranza, fa guardare al futuro, libera dalla prigionia del presente,dell’oggi. Pellegrini di speranza è l’invito del Giubileo. Nei tempi difficili ognuno si deve chiederecosa significa essere donne e uomini di speranza. Noi siamo abitudinari, ripetiamo consuetudini,pratiche religiose, con generosità e sacrifici portiamo avanti opere che caratterizzano il carisma diognuno. Non basta, sorelle e fratelli. La Parola di Dio, che è “lampada per i nostri passi, luce per ilnostro cammino”, e che è divenuta uno di noi in Gesù, ci chiede di cambiare, ci chiede unrinnovamento, un nuovo inizio. Non basta ripetere se stessi, neppure la lunga e bella storia di uncarisma. La Parola di Dio chiede di ripensarci nella storia di questo tempo, nel buio che circonda esoffoca la vita di tanti uomini e donne. Non ci sono risposte prefabbricate, neppure modelli ugualiper tutti. Ma ognuno, ogni comunità, ogni Congregazione, piccola o grande che sia, si deve porrecon umiltà davanti alla luce di Dio in Gesù e chiedersi: ma io, noi, facciamo ancora luce? Siamouna via che avvicina al Signore gli altri? Le nostre opere sono segno di quella presenza luminosa diDio nel buio del mondo?Simeone e Anna non erano speciali. Erano due anziani, seppero sperare e aspettare non in modopassivo, non pensando che toccava agli altri cambiare qualcosa di quel mondo pieno di ingiustizie edi violenza come il nostro. Anzitutto pregavano. La preghiera, il tempo della preghiera è il tempo diDio in noi e nella storia. È la via per vedere, è la luce per capire e vivere. La preghiera tiene vival’attesa, fa vivere la speranza come qualcosa che aiuta a costruire il futuro, a riempirlo dellapresenza di Dio, a scoprine la presenza nelle donne e negli uomini che incontriamo ogni giorno. Manoi pensiamo mai che in ognuno, in ogni uomo e ogni donna, è impressa l’immagine e la somiglianza di Dio? E quindi, quando li incontriamo, siamo chiamati a fare emergere quellapresenza perché solo così ciascuno potrà scoprire il bene in sé e negli altri, e quindi iniziare a fare ilbene. Anna, dice il Vangelo, che, “sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio eparlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”. Quando noi parliamo congli altri, sappiamo far trasparire nelle nostre parole e nei gesti la luce del bambino di Betlemme,l’atteso delle genti? Oppure ripetiamo noi stessi, magari con un fare lamentoso, pieno di giudizi e discarsa speranza? Eppure, nel cuore di tutti c’è sempre l’attesa di una luce, di una buona notizia inuna società che sa solo diffondere cattive notizie, che condivide la violenza come fosse normale?Sorelle e fratelli, il Signore ha bisogno di noi, di voi, di una rinnovata passione per la missioneche vi ha affidato all’inizio della vostra consacrazione e che oggi rinnovate. Accogliamo questoinvito come un nuovo inizio. Non possiamo solo ripetere noi stessi. Il mondo è troppo buio e ilSignore nostra luce si affida a noi perché illuminiamo il cammino degli altri, dai piccoli aglianziani, dai poveri ai ricchi, dai credenti a chi dice di non credere. Nessuno è solo. Siamo pellegrinidi speranza insieme. Il nostro essere pellegrini si fa insieme, insieme alle nostre comunità, ma anchealle donne e agli uomini di questa terra, così piena di bellezze ma anche di tante sofferenze esolitudini, a volte umiliata, inquinata non solo nell’aria e nelle acque, ma nel cuore di chi la abita,rendendo buia la vita di tanti. La paura non si vince con la durezza e l’arroganza. La paura puòliberare energie di bene solo con la pazienza dell’amore, che è incontro, ascolto, amicizia,condivisione. Siate dunque tutti profeti di speranza!

Giornata vita consacrata: celebrazione a Tecchiena e professione di una suora ad Anagni

Il vescovo Ambrogio Spreafico presiederà domenica 2 febbraio a Tecchiena (chiesa Madonna del Carmine, alle 15) la celebrazione per la XXIX Giornata mondiale della vita consacrata, organizzata a livello interdiocesano dalle Usmi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, in occasione della festa della Presentazione del Signore. Sempre nel pomeriggio di domenica 2 febbraio, ma alle ore 17, monsignor Spreafico celebrerà Messa nella chiesa del monastero di Santa Chiara, ad Anagni, per la professione temporanea di suor Maria Chiara Mirella Martinez Castaneda tra le sorelle povere di Santa Chiara, la cui comunità anagnina sta conoscendo una fioritura di vocazioni.

Preghiera ecumenica: la riflessione del vescovo Ambrogio

(Preghiera ecumenica, Tecchiena 24 gennaio 2025) Sorelle fratelli, è sempre motivo di gioia trovarci insieme in questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.Quanto bisogno di unità c’è non solo tra i discepoli di Gesù, ma nel mondo, segnato da troppedivisioni, conflitti, da una montagna di odio che rende difficile vivere insieme. Siamo chiamati ariscoprire la forza della fede, che ci vede insieme nella professione del Credo niceno-costantinopolitano, riconosciuto da tutti i cristiani come norma del nostro credere, proprionell’anniversario del Concilio di Nicea.Che cosa significa che la fede ha una sua forza di vita? Nel mondo la forza è ben altro. E’ la forzadei potenti, di coloro che esibiscono il loro io per sottomettere gli altri, per dominare. E’ la forza deldenaro che corrompe, che umilia i poveri, che distrugge il creato sfruttando le sue risorse in modorapace, provocando ingiustizie e disuguaglianze, illudendo che solo con la ricchezza si vive felici.Per questo il mondo ha bisogno dei cristiani e della loro fede. La fede è una forza di vita, disperanza e di amore. È la prima delle virtù teologali, proprio perché chi pone la sua fiducia in Dioriceve una forza che da solo non avrebbe mai.Lo scrive la Prima Lettera di Pietro: “Dio vi custodisce nella fede con la sua potenza, fino aquando vi darà la salvezza, che sta per manifestarsi negli ultimi tempi. In questa attesa siate ricolmidi gioia, anche se ora, per un po’ di tempo, dovete sopportare difficoltà di ogni genere”. La forzadella fede è gioia anche nelle difficoltà, nelle paure e nelle fatiche di questo tempo. Come viverequesta gioia, che non viene dalla solitudine dell’io, ma dalla condivisione con le nostre comunitàdella preghiera, dell’amicizia, della solidarietà? Si cerca ancora troppo la felicità nella solitudinedell’io e dei simili al nostro io. Così si creano tante divisioni, invece di vivere quella fede chedovrebbe essere il fondamento della vita di ognuno e del nostro essere popolo, comunità, nelladifferenza delle nostre espressioni di fede.Vorrei indicare due aspetti che possono aiutarci a condividere la gioia con il nostro popolo didiscepoli di Gesù. Il primo lo indica il libro del Deuteronomio: “Ascolta, Israele”. “Ascolta” è ilfondamento della nostra vita. Noi ascoltiamo il Signore che ci parla oppure la sua parola non entranel nostro cuore e non diventa il nostro pensiero, le nostre parole e le nostre scelte? Quando nellenostre giornate incontriamo gli altri, quando espletiamo il nostro quotidiano lavoro, la Parola di Dioche ascoltiamo ci accompagna nelle scelte o tutto rimane prigioniero delle abitudini e non cambia lanostra umanità e ciò che diciamo e facciamo?Poi, secondo aspetto. Tommaso, quando Gesù appare ai discepoli riuniti, non era presente.Chissà! Avrà avuto da fare, avrà avuto i suoi impegni, forse avrà avuto un imprevisto. Capita anchea noi. Insomma, c’è sempre un motivo per giustificarci e non essere presenti nelle nostre comunità.Qual è il problema? Si dice. E si aggiunge: ci sono altri che non ci sono quasi mai! Gesù, sorelle efratelli, appare alla comunità riunita. Se lo vuoi riconoscere, accogliere, ascoltare, devi essercisempre anche tu, altrimenti la tua fede si indebolisce, perché la fede vive e cresce in un popolo, nonè mai solo una questione individuale, una faccenda tra me e Dio. Infatti, Tommaso per riconoscereGesù risorto deve tornare in mezzo a quei discepoli. In fondo, era mancato solo una volta, ma quellavolta fu decisiva. Ecco il senso del nostro essere insieme per la celebrazione dell’Eucaristia, il culto,la preghiera, l’incontro.Riscopriamo, sorelle e fratelli, la forza delle fede nella condivisione della nostra vita con le nostrecomunità, per poter essere donne e uomini felici e aiutate gli altri a incontrare il Signore Gesù,nostro maestro e pastore, così da rispondere alla forza violenta del male con la mitezza e l’amore,per costruire un mondo fraterno e pacifico. E continuiamo a pregare per la pace ovunque i conflittiseminano distruzione dolore, morte.

Preghiera ecumenica interdiocesana

Le diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino si apprestano a celebrare l’annuale preghiera ecumenica, nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Il tema scelto per il 2025 è “Credi tu questo?” (Giovanni 11, 26) e l’appuntamento è per venerdì 24 gennaio alle 20.30, presso la chiesa San-ta Maria del Carmine a Tecchiena di Alatri. La preghiera ecumenica sarà presieduta dal vescovo Ambrogio Spreafico e vi parteciperanno i fedeli e i delegati delle Chiese presenti nel territorio delle due diocesi. Il Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani ha messo a disposizione i testi in inglese della Settimana di preghiera, che si possono scaricare dal relativo sito internet. Come di consueto, un gruppo internazionale nominato congiuntamente dal Dicastero e dalla Commissione Fede e Costituzione del Consiglio ecumenico delle Chiese ha lavorato sul materiale insieme ai redattori, per finalizzarlo. Considerato il significato ecumenico del 2025, sono stati inseriti anche brevi testi patristici, per lo più del primo millennio, per offrire uno spaccato della riflessione cristiana dell’epoca e per aiutare a situare le definizioni del Concilio di Nicea nel contesto in cui hanno avuto origine e dal quale sono state influenzate. Le risorse possono essere utilizzate in vari modi e sono concepite non solo per la Settimana di preghiera, ma per tutto l’anno 2025.Il 2025 segna infatti anche il 1.700° anniversario del primo Concilio ecumenico, quello di Nicea per l’appunto, convocato e presieduto dall’imperatore Costantino I, il quale intendeva ristabilire la pace religiosa e raggiungere l’unità dogmatica, minata da varie dispute, in particolare sull’arianesimo. Questa commemorazione offre un’occasione unica per riflettere e celebrare la fede comune dei cristiani, così come è stata espressa nel Credo formulato in quel Concilio. La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2025 è un invito ad attingere a tale eredità comune e ad approfondire la fede che uniscetutti i cristiani. Igor Traboni

L’Alberghiero di Fiuggi, i corsi nel carcere di Frosinone e un presepe di pasta frolla donato al Vescovo

Lo hanno preparato per un mese intero, pezzetto dopo pezzetto, con tutta la maestria che impone l’utilizzo di ingredienti particolari: farina, uova, zucchero a velo e con la magia dell’immancabile cioccolato. Ma soprattutto con il desiderio di donare il presepe di pasta frolla, così creato, ad un ospite particolare: il vescovo Ambrogio Spreafico che, come ogni anno, anche nelle scorse festività natalizie è andato a portare gli auguri a tutto il personale e ai detenuti della Casa circondariale di Frosinone. E proprio questi ultimi, che nel carcere di via Cerreto frequentano le classi dell’Alberghiero della sede distaccata dell’Istituto Buonarroti di Fiuggi, hanno preparato – seguiti nei minimi particolari dall’insegnante Maria Gabriella Venditti – il delizioso presepe di pasta frolla, opera di alta pasticceria che è stata particolarmente gradita da monsignor Spreafico. Il presepe è stato poi esposto nel periodo delle festività natalizie – anche come una vera e propria opera d’arte – nella Cattedrale di Frosinone, per volere del parroco, don Paolo Cristiano, che ha accompagnato il vescovo durante la visita assieme al cappellano del carcere, ai volontari della Comunità di Sant’Egidio e della Pastorale carceraria e dagli Scout del Distretto Fse di Frosinone. Sono ben 10 anni che l’Istituto Alberghiero di Fiuggi è presente con i suoi corsi tra “i ragazzi di via Cerreto”, come recita la targhetta apposta al presepe di pasta frolla donato al Vescovo, una esperienza che attualmente sta coinvolgendo una trentina di detenuti, suddivisi in tre classi che si alternano tra lezioni in aula e il laboratorio pratico. Al termine dei vari cicli di studi, gli ospiti della casa circondariale possono quindi sostenere un esame di qualifica, con una commissione ad hoc che si reca in carcere, oppure la maturità, sostenendo l’esame presso la sede di Fiuggi. Questa esperienza, fortemente caldeggiata dalla dirigente professoressa Maria Rosaria Villani, in questo decennio ha aiutato decine di detenuti nel percorso di reinserimento sociale e lavorativo una volta scontato il debito con la giustizia. Ed ecco così alcune storie emblematiche, come quella del detenuto adulto (la maggior parte di questi studenti ha più di 50 anni e per il 50% si tratta dii stranieri) che, una volta uscito dal carcere, è stato assunto in una pizzeria di un paese del Lazio dal figlio, grazie alla qualifica da pizzaiolo conseguita proprio in via Cerreto. Igor Traboni