Il vescovo ad Anagni: San Magno modello per vivere insieme e in pace

San Magno – Anagni Sapienza 3,1-9; Giacomo 1,2-4.12; Matteo 10,28-33 Cari fratelli e sorelle, celebriamo la festa di San Magno, vescovo e martire, patrono di questa nostra città, che racchiude in sé luoghi, come questa Cattedrale, che testimoniano una vita cristiana che ha accompagnato generazioni di donne e uomini. Voi conoscete certamente le vicende di San Magno, vescovo di Trani, e della sua predicazione del Vangelo ad Anagni e del suo martirio nell’anno 251. Quando veneriamo i santi, dobbiamo sempre ricordarci il tempo in cui essi hanno vissuto e testimoniato il Vangelo, a volte fino al dono della vita, come avvenne per il nostro patrono. Il Vangelo di Gesù infatti contrastava fin da allora un mondo a volte belligerante e violento, i cui governanti si sentivano messi in discussione da una Parola che proclamava la giustizia, una fraternità che includesse sudditi e potenti, schiavi e liberi, poveri e ricchi, cittadini romani e stranieri. Allora come oggi questo Vangelo non poteva che suscitare interrogativi e opposizioni fino alla condanna a morte, al martirio. E le persecuzioni furono numerose e continue nei primi secoli del cristianesimo, e continuano anche oggi in diversi Paesi del mondo. Ogni volta si crede così di mettere a tacere il Vangelo, ma, come abbiamo ascoltato nel libro della Sapienza: “Agli occhi degli stolti (i giusti) parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace”. Cari fratelli e sorelle, il nostro patrono ci interroga. Egli fu vescovo e martire. Vescovo, cioè pastore, chiamato a prendersi cura degli altri, soprattutto di chi è disperso e si è smarrito, di chi è ferito, malato, di chi è rimasto indietro, perché il popolo che gli è stato affidato possa camminare insieme. San Magno allora ci interroga: non dovremmo essere anche noi uomini e donne che, mentre sono in festa per lui, ne traggono un modello per la loro vita? Non dovremmo anche noi vivere prendendoci cura degli altri?  Qui non si tratta solo di chi ha delle responsabilità nella Chiesa e o nella società civile, ma di tutti. Quanto sentiamo la responsabilità di prenderci cura gli uni degli altri, a cominciare dai sofferenti e dagli esclusi? O pensiamo sempre che tocchi agli altri vivere questa preoccupazione? Non dovrebbero le nostre comunità parrocchiali, diocesane, cittadine, mettere al primo posto questa preoccupazione e scegliere questo impegno facendo crescere l’attenzione agli altri, soprattutto a chi soffre o vive un momento difficile in questo tempo di crisi? Non dovremmo abbandonare quel facile e istintivo modo di vivere, che mette al primo posto se stessi, il proprio tornaconto, .a propria visibiltà e la propria affermazione, invece del bene comune? E quante volte avviene sia a livello individuale che collettivo! Come faremo a vivere insieme se non sappiamo rinunciare a nulla di noi stessi per il bene di tutti, o se in ogni scelta vogliamo sempre che sia a nostro vantaggio o del nostro gruppo? L’amore, cari amici, lascia sempre spazio all’altro, altrimenti vuol dire che ami solo te stesso. Ma quanta prepotenza, quanto egoismo nella vita di ogni giorno! Oggi San Magno vorrebbe che ognuno capisse che la felicità viene dal dare più che dal ricevere, e che per dare si deve essere umili per avere occhi e cuore per vedere il bisogno degli altri. Certo, vivere così non è facile. Sono convinto tuttavia che in ognuno di noi, come in ogni donna e ogni uomo, ci sia il desiderio del bene. Si deve solo vedere e tenere vivo questo desiderio, lasciarlo crescere nelle nostre parole, nei gesti, nelle scelte di ogni giorno, in quello che diciamo o scriviamo, magari sui social, per insultare qualcuno o sostenendo che ognuno può dire ciò vuole senza preoccuparsi di danneggiare gli altri. E poi si deve imparare a cogliere il bene anche negli altri, lasciando da parte un modo scontato di vedere e giudicare. Chissà perché, infatti, l’istinto ci fa sempre vedere nella vita dell’altro il difetto, il male, quello che non ci piace, Gesù direbbe la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma non la trave nel nostro. Così vorremmo che il mondo cambiasse, ma ovviamente non cominciando da noi, ma dagli altri. Il martire aveva capito che solo con la certezza e la forza dell’amore di Dio e le scelte conseguenti avrebbe potuto cambiare quel mondo, il suo mondo. Cari fratelli e sorelle, il Signore ci custodisce, si occupa di noi, ci tende la mano. Lo abbiamo ascoltato nel Vangelo: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Persino i capelli del vostro capo sono tutti contatti. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri”. Questa certezza è la forza dei martiri, che non rinunciarono a vivere la gioia del Vangelo neppure davanti alla minaccia della morte. “Non abbiate paura” allora di dare con gratuità, senza sempre pretendere! Non abbiate paura di amare con generosità e larghezza! Solo così renderemo il mondo più umano e più giusto. Solo così potremo prenderci cura dei piccoli, dei fragili, degli anziani, dei poveri, dei migranti, e saremo felici. Solo così, imitando san Magno, potremo costruire qui e ovunque un mondo dove si possa vivere insieme senza guerre e violenza, senza prepotenza ed egoismi, un mondo di fratelli e sorelle, dove nessuno sia più escluso e abbandonato. E’ accettabile un mondo in cui gli anziani non possano vivere a casa loro o una società che non si preoccupa che i giovani abbiano un futuro nella terra dove sono nati? E’ pensabile un mondo che lascia morire i migranti pensando che la colpa sia solo di chi li lascia partire o dei trafficanti di esseri umani, che ovviamente hanno le loro gravi colpe? Quest’anno ne sono morti nel Mediterraneo circa 2000! E’ accettabile un mondo che, nonostante la brutalità delle guerre del passato, pensi ancora alla guerra come unica via alla pace? Vogliamo un mondo fraterno a cominciare da noi stessi e dal nostro

Il vescovo ai giovani della Gmg: «La vita è incontro, non realtà virtuale»

La vita è un incontro, è un insieme di relazioni «e questo pellegrinaggio che state per compiere verso Lisbona è un segno proprio di quello che dovrebbe essere la vita tutta, e non solo la vita della Chiesa, uscendo dai nostri piccoli mondi e pensando che questi rappresentino il centro di tutto». Così il vescovo Ambrogio Spreafico nella serata di venerdì 21 luglio si è rivolto ai giovani delle diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri che dal 1° al 9 agosto saranno in Portogallo per la Gmg mondiale. La consegna del mandato ad una rappresentanza dei 53 giovani che andranno a Lisbona (alcuni ragazzi erano infatti assenti alla serata perché impegnati nelle attività estive di parrocchie e associazioni) ha rappresentato proprio un momento di incontro, oltre che di preghiera, nella chiesa di Santa Maria Goretti a Frosinone. Nel suo saluto ai presenti, il presule ha rimarcato la necessità di liberarsi «dei tanti io in cui oggi pensiamo di trovare realizzazione, compresi quei giovani tra i 25 e i 35 anni che in tutto il mondo e in Italia, dove sono circa centomila, hanno scelto di vivere separati, fuori dal mondo, collegati solo con i social. Ma la vita non è una realtà virtuale, la vita è incontro, è vivere davvero la realtà, stare insieme, condividere, rispondere con gentilezza, aiutare chi soffre e ha bisogno. Queste sono le cose che esprimono la bellezza della vita della Chiesa ma anche e soprattutto dell’umanità». L’invito di Spreafico ai giovani che andranno alla Gmg è stato quindi quello di «costruire il futuro insieme, perché andare verso un luogo, come voi vi apprestate a fare, è sempre una scelta. E questo uscire dal nostro mondo è anche il senso del pellegrinaggio, proprio come fece Abramo che uscì dalla sua terra senza neppure sapere dove doveva andare, ma fidandosi di Gesù». In Portogallo, dunque, per un incontro che poi duri per tutta la vita e per veder germogliare quel seme, ha aggiunto monsignor Spreafico rifacendosi alla figura del seminatore, che il Signore ci dona, «un seme che germoglia ed è anche segno di grande speranza, perché il Signore vuole irrorare il nostro cuore e non cessa mai di far cadere il seme nella nostra vita. Dobbiamo accoglierlo, perché questo seme arricchisca anche le nostre comunità». La serata – che peraltro si può rivivere sui social diocesani anche con un video realizzato da Filippo Rondinara – è poi proseguita con varie indicazioni tecniche e logistiche (i ragazzi delle due diocesi ad esempio alloggeranno presso alcune famiglie in una località poco distante da Lisbona) fornite da Andrea Crescenzi, della pastorale giovanile di Frosinone, che coordinerà la spedizione di questi 53 giovani, molti dei quali peraltro alla prima esperienza di Gmg, coadiuvato da Simona Mastrantoni, Ilaria Fiorini, Elisa Finocchi, Carlo Cerasaro, dei seminaristi Federico Mirabella, Lorenzo Ambrosi e Lorenzo Sabellico, e con la… supervisione, anche e soprattutto spirituale, di don Francesco Frusone, don Francesco Paglia e suor Silvia Jaku. È buon pellegrinaggio a tutti! Igor Traboni

L’Azione Cattolica in festa con le famiglie. Il messaggio del vescovo

Il fatto di esserci, di incontrarsi, di ritrovarsi tutti insieme, di riconoscersi come parte di una realtà che esiste proprio grazie all’esistenza di ognuno: è questo che ha mosso ancora una volta l’Azione cattolica diocesana a organizzare e poi a tenere la Festa della famiglia, con un percorso preparatorio, voluto dalla presidenza diocesana, che si è articolato in tre “missioni possibili”: la missione “in”, corrispondente alla dimensione della vocazione; la missione “con”, coincisa con la dimensione della comunità; la missione “per”, che si è identificata nella dimensione della missionarietà. E così a Fiuggi, presso l’Istituto santa Chiara, si sono ritrovati in tanti, provenienti da varie parrocchie della diocesi dove è presente Ac, insieme all’assistente spirituale diocesano don Walter Martiello, rispondendo pertanto all’invito, rivolto ancora dalla presidenza diocesana, ad essere coraggiosi “perché Gesù conta su di voi e ci invita a vivere con coraggio assumendo in tutti gli ambiti della vita quotidiana, a servizio del carisma della Chiesa, lo stile di Dio fatto di vicinanza, compassione e tenerezza”. Una festa impreziosita anche da una lettera che il vescovo Ambrogio Spreafico, impossibilitato a partecipare per altri impegni, ha comunque fatto pervenire all’Azione cattolica diocesana tutta. “La vostra festa annuale – ha scritto tra l’altro il presule – vi raccoglie come parte di una realtà radicata in questa terra, che esprime impegno e la vocazione a non vivere la fede in modo individuale, ma come comunione di amore. I tempi che viviamo sono complessi e a volte difficili. Siamo al primo posto tra i paesi dell’Unione Europea per numero di Neet (Not in Education, Employment or Training), cioè giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano né fanno corsi di formazione (19%). Non è una buona notizia. I tempi che viviamo, l’uso eccessivo dei social, la paura del futuro, il pessimismo, abituano a una vita solitaria e all’attesa passiva di qualcosa che riempia il presente e il futuro. Ma, cari amici, in tempi difficili si deve cercare una risposta che nutra anzitutto la nostra umanità a partire dalla riscoperta della forza della Parola di Dio, perché essa getta una luce sul presente e ci fa immaginare e quindi costruire il futuro”, concludendo con un auspicio: “Il Signore vi accompagni nel vostro impegno, per il quale vi ringrazio di cuore, e vi benedico perché siate artigiani di pace e protagonisti di bene e di amore, per costruire un mondo dove riconoscerci come sorelle e fratelli di una grande famiglia universale”. (nelle foto: alcuni momenti della festa con i partecipanti più piccoli; la presidente diocesana Concetta Coppotelli e l’assistente diocesano don Walter Martiello).

Mons. Spreafico a Carpineto: «La memoria di Leone XIII risvegli la condanna della guerra»

Nella giornata di giovedì 4 maggio, Carpineto Romano ha ospitato il quarto convegno nazionale dedicato al pontefice della “RerumNovarum”, sul tema “Leone XIII – Principe della pace”, organizzato dalla Commissione regionale pastorale sociale e lavoro della Conferenza episcopale del Lazio e dalla diocesi di Anagni-Alatri. I lavori sono stati introdotti da Claudio Gessi, direttore della Pastorale sociale e del lavoro del Lazio, e hanno visto la relazione centrale del prof. Vincenzo Buonomo, rettore dell’Università Lateranense, dopo l’introduzione di mons. Ambrogio Spreafico vescovo di Anagni-Alatri. Sono intervenuti anche i vescovi Gianrico Ruzza, delegato Cel per la pastorale sociale e del lavoro, e Vincenzo Apicella, emerito di Velletri-Segni; il sindaco di Carpineto, Stefano Cacciotti, l’assessore alla cultura, Emanuela Massicci, il parroco don Gianni Macali e Pasquale Tucciariello, direttore del Centro studi Leone XIII di Rionero in Vulture. Di seguito pubblichiamo integralmente il testo dell’intervento del vescovo Ambrogio Spreafico: —————- Vincenzo Gioacchino Pecci, futuro Cardinale e poi Papa,  fu davvero uomo di pace in tempi non facile e di grandi cambiamenti. Uomo colto, da sempre attento ai problemi sociali e alla giustizia sociale, fin da quando viene inviato come Delegato Apostolico nella provincia di Benevento poi a Perugia, dove tornerà come arcivescovo, apprezzato Nunzio Apostolico a Bruxelles, finché nel 1877, appena creato cardinale da Pio IX, diviene Segretario di stato. Nella storia del suo servizio alla Chiesa racchiude quella cultura che lo rende capace di interpretare le vicende dei luoghi dove si trova cercando ogni volta attraverso la relazione sincera con tutti di rispondere alle situazioni in cui si trova. Per questo non trova nessuna difficoltà a ricevere quei 44 voti su 61, che gli affidano la guida della Chiesa cattolica dopo 36 ore di conclave. Erano tempi difficili soprattutto in Italia dopo la breccia di Porta Pia e l’atteggiamento ostile del primo governo del Regno d’Italia. Leone XIII tuttavia guarda alla Chiesa come portatrice di cultura e di nuove scelte davanti ai nuovi problema che si affacciano. Possiamo dire credo con convinzione che in lui si evidenzia il continuo impegno perché l’affermazione della verità evangelica possa diventare latrice di cultura e di scelte concrete, che riguardano la società e il mondo. Ne è espressione riconosciuta la Rerum novarum, considerata la prima enciclica sociale, testo di una Chiesa che si interroga in maniera sistematica su come la “Verità” cristiana possa incidere sulla realtà e sui problemi di attualità. Infatti, l’esplosione della questione operaia, che era stata affrontata dal comunismo secondo una propria analisi e con proprie soluzioni, interroga la Chiesa, la quale non può esimersi dal comunicare il suo punto di vista. L’incipit dell’enciclica spiega l’urgenza di questo approccio del Pontefice: “L’ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine simile dell’economia sociale. E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell’industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l’unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l’aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto. Il quale è di tale e tanta gravità che tiene sospesi gli animi in trepida aspettazione e affatica l’ingegno dei dotti, i congressi dei sapienti, le assemblee popolari, le deliberazioni dei legislatori, i consigli dei principi, tanto che oggi non vi è questione che maggiormente interessi il mondo. Pertanto, venerabili fratelli, ciò che altre volte facemmo a bene della Chiesa e a comune salvezza con le nostre lettere encicliche sui Poteri pubblici, la Libertà umana, la Costituzione cristiana degli Stati, ed altri simili argomenti che ci parvero opportuni ad abbattere errori funesti, la medesima cosa crediamo di dover fare adesso per gli stessi motivi sulla questione operaia. Trattammo già questa materia, come ce ne venne l’occasione più di una volta: ma la coscienza dell’apostolico nostro ministero ci muove a trattarla ora, di proposito e in pieno, al fine di mettere in rilievo i principi con cui, secondo giustizia ed equità, si deve risolvere la questione. Questione difficile e pericolosa. Difficile, perché ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari, tra capitale e lavoro. Pericolosa perché uomini turbolenti ed astuti, si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli.” Questa attenzione al sociale si manifesta anche altrove nel magistero del pontefice. Nel giugno del 1894 viene pubblicata la Lettera Apostolica Praeclara gratulationis, che in un certo senso si collega alla Rerum novarum, dove sempre all’inizio Leone XIII fa riferimento alle numerose attestazioni di stima pervenute in Vaticano dopo la sua elezione a papa. Ciò fa parte del suo modo di intendere il ministero petrino come missione universale, che non può non tener conto delle buone relazioni con i governi degli altri Paesi. La Lettera è rivolta ai cristiani di ogni confessione per invocare il ritorno all’unità, tuttavia senza dimenticare tutti coloro che non sono stati raggiunti dalla fede in Cristo, che vengono chiamate come “le genti più misere di tutte, quelle che in nessun modo accolsero la luce di Cristo”. Certo siamo lontani dalle parole del Vaticano II e del postconcilio Ma la Lettera apostolica contiene un anelito e un desiderio che indubbiamente immette nella storia del suo tempo una preoccupazione e un interesse che ancora mostrano lo spirito di Leone XIII: giustizia sociale, carità, unità e pace emergono anche in questo scritto. Proprio nell’ultima parte il pontefice rivolge un appello accorato perché cessino le guerre e l’Europa costruisca la pace, dove sembra di vedere un nesso, non certo esplicito, tra unità dei cristiani e unità della famiglia umana, e quindi pace e progresso sociale, aspetti che oggi fanno parte del magistero della Chiesa, soprattutto delle parole di papa Francesco, e che hanno caratterizzato soprattutto le cosiddette encicliche sociali. Leggiamo: “Abbiamo davanti agli occhi la situazione dell’Europa. Già da molti anni si vive in una pace più apparente che reale. Dominate da reciproci sospetti, quasi

L’omelia del vescovo per San Sisto: «Mai indifferenti al dolore e alla morte!»

Cari fratelli e sorelle, “è bello e dà gioia che i fratelli siano insieme”, recita il Salmo. Sì, in un mondo diviso e violento, è bello che i Santi ci riconducano a quell’unità e a quella fraternità così preziosa e spesso assente. Oggi il nostro patrono, Papa e martire, esprime in sé stesso questa caratteristica quando la Chiesa era ancora unita: essere insieme, un unico corpo, un cuor solo e un’anima sola. È un sogno illusorio? Una visione irrealizzabile? San Sisto non sarebbe d’accordo, lui che cercò di mantenere l’unità della Chiesa d’occidente e di Oriente senza sminuirne le diversità. Eppure, noi viviamo in un mondo dove le divisioni e la violenza sono accettate come se fosse normale, come se fosse la vita, come se le guerre fossero una parte ineliminabile della storia, come se per vivere e affermarsi si debba ricorrere alla violenza e imporsi sugli altri. Un giovane, Thomas, è stato ucciso in queste strade. Mi chiedo: saremo capaci di ribellarci a un vivere in cui alla fine tutto passa e si dimentica, oppure questa morte violenta pone una domanda personale e collettiva di cambiamento di noi stessi, come molti hanno cercato di fare in queste settimane? Non accettiamo mai di essere indifferenti al dolore e alla morte! Il corpo di San Sisto fu portato ad Alatri, anzi si fermò ad Alatri perché la mula si era rifiutata di continuare la strada verso Alife, e le preghiere rivolte a lui permisero alla pestilenza di finire. I santi, cari fratelli e sorelle, sono testimoni di un sogno che si realizza, il sogno di un Vangelo che si fa vita, cura degli altri, unità, fraternita, pace, vittoria sul nostro io, sulla violenza e sul male che affligge il mondo. Siamo qui per rendere onore alla sua testimonianza, ma soprattutto per impegnarci a seguirlo nell’ascolto della Parola di Dio e non di noi stessi, nell’impegno a prendersi cura degli altri, soprattutto dei sofferenti e dei poveri. Conosco la solidarietà di questa città, che si esprime non solo nelle opere di carità della Chiesa che qui vive, ma anche in tante donne e uomini che si prendono cura di chi ha bisogno. Fate di questo spirito il cuore della vostra vita e il sogno per un mondo pacifico, in cui ognuno inizi a prendersi cura degli altri, la medicina migliore per il nostro animo. Gesù si accompagna a noi, Conosce le nostre incertezze, le delusioni, l’abitudine al pessimismo e il cedimento alla paura che fa chiudere in sé stessi. Abbiamo ascoltato di quei due discepoli, che scendevano da Gerusalemme a Emmaus, con il cuore pieno di delusione. Che fine aveva fatto quel loro amico, Gesù, in cui avevano posto la loro speranza, il sogno di un mondo nuovo? Un viandante si avvicinò loro e li interrogò. I due espressero la loro delusione e le loro attese. Quel viandante era Gesù, ma non lo riconobbero. Ma lui con pazienza spiegò loro quello che non avevano capito partendo dalla Parola di Dio, la Bibbia. Quanto è preziosa questa Parola! Fu per l’apostolo Pietro quella forza che gli permise di prendersi cura di quell’uomo storpio dalla nascita che chiedeva l’elemosina alla porta del tempio: “Non possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!” Quanta forza potremmo avere anche se noi ci affidassimo alla Parola di Gesù che può cambiare la vita. Chiediamoci: chi di noi conosce la Bibbia, la legge, la medita? In essa è nascosto il segreto della sapienza di Dio, il sogno di Dio sul mondo, di una umanità di fratelli e sorelle, quella che Gesù vuole realizzare anche con noi. Mi immagino che Gesù cammini anche con noi, quando ci incammineremo per le strade di questa città, e, attraverso il nostro patrono, ci voglia parlare, voglia che noi poniamo davanti a lui le nostre fatiche, la nostra fragilità, le nostre delusioni, le nostre speranze e attese. La sua parola ci smuove il cuore, fa nascere il desiderio di rimanere con lui, di continuare ad ascoltarlo. Così si siede con noi, come con quei due. Spezza il pane e lo dà loro. È l’Eucarestia, la santa Messa. Allora noi lo riconosciamo e diciamo: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli camminava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?”  Non arde anche a noi il cuore quando siamo qui, ascoltiamo il Signore che ci parla, ci spiega, ci dà il pane dell’Eucarestia che nutre il nostro animo, allarga il nostro cuore forse ancora un po’ stretto e chiuso, e così possiamo non scappare più, non andarcene per fatti nostri, ma tornare a incontralo ogni domenica, per farci aiutare, perché la sua Parola sia luce in questo tempo difficile, perché ci faccia immaginare e sognare un mondo rinnovato dalla sua presenta amorevole, lui che ha portato la croce addossandosi il dolore nostro e del mondo, e per questo ha vinto la morte? Allora, cari fratelli sorelle, camminiamo con lui assieme a San Sisto, che lo ha ascoltato prima di noi e con la forza della sua Parola ha guidato la Chiesa.  Così lo invochiamo e confidiamo nella sua intercessione. Amen

L’omelia di Pasqua del vescovo: “Pace a voi” sia la nostra vita

Cari fratelli e sorelle, è Pasqua. Cantiamo la gioia della resurrezione unendoci a tutte le nostre comunità in questa terra: il Signore è risorto, principio di una nuova vita, una nuova creazione. Infatti, è il “primo giorno”, il primo giorno di un nuovo mondo. Ed era ancora buio. È il buio della morte, quel buio che oscura la vita di tante donne e uomini, che copre le tante croci di dolore del mondo con l’indifferenza. È un grande e inaspettato annuncio in un mondo dove il torpore e la delusione sembrano smorzare ogni novità, ogni visione e ogni sogno per il futuro. Anche quelle donne, come del resto i discepoli, erano delusi dopo la morte di quel loro amico Gesù. Lo testimoniano quei due discepoli, che scendevano da Gerusalemme a Emmaus, che confidano a Gesù senza riconoscerlo: “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute… Alcune donne si sono recate al mattino alla tomba, e non avendo trovato il suo corpo sino venute e dirci di avere avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. Non basta vedere con i nostri occhi, pieni a volte di paura e delusioni. E’ necessario anzitutto andare, anzi correre; non si può aspettare, quando si riceve questa buona notizia. Non ci possono trattenere i dubbi, la fatica, la delusione. Quei discepoli come le donne non sembra avessero capito, ma si affrettarono verso quella tomba. Volevano bene a Gesù. Perciò andarono in fretta, come quando qualcuno sente qualcosa che riguarda un amico caro e che vuole costatare di persona ciò che si dice. Noi siamo qui per questo. Non per abitudine, ma perché vogliamo almeno vedere, per poi farci aiutare a credere e a capire. E questo lo fa la Parola di Dio, quella dell’angelo al sepolcro e quella che dovremmo leggere e meditare ogni giorno. Cari fratelli e sorelle, l’apostolo Paolo ci ha parlato del lievito vecchio, che dobbiamo togliere dalla tavola del nostro cuore, per “essere pasta nuova, poiché siete azzimi”. Paolo si riferisce alla Pasqua ebraica, che le comunità ebraiche festeggiano proprio in questi giorni, dove si doveva ripulire la casa di tutto ciò che conteneva il lievito, per preparare gli azzimi che si dovevano mangiare durante i sette giorni della festa, come memoria della liberazione dall’Egitto, come leggiamo nel libro dell’Esodo: “Osserverete la festa degli Azzimi, perché proprio in questo giorno io ho fatto uscire le vostre schiere dalla terra d’Egitto” (Es 12,17). La Pasqua è davvero un vero nuovo inizio! Allora ognuno deve individuare dov’è nella sua vita il lievito vecchio, le proprie abitudini, le cose vecchie, il cuore impaurito, i pensieri e i sentimenti abituali, le divisioni, le inimicizie, il peccato che ci allontana dal Signore e tra noi. Riconosciamo che forse è la cosa più difficile, perché ognuno è attaccato a se stesso, pronto a difendere il proprio io, poco incline a farsi mettere in discussione persino dalla Parola di Dio, che a volte tiriamo dalla nostra parte invece di ascoltarla e accoglierla nel cuore, per paura di cambiare noi stessi. Quanto lievito vecchio ci priva della gioia di gustare l’amore di Dio, di farci abbracciare da lui, toccare dalla sua parola, e con lui toccare le ferite dei poveri e dei sofferenti. Il lievito vecchio ci rende più soli, e non ci permette di gustare la bellezza di essere un popolo di fratelli e sorelle che si vogliono bene e che hanno un cuor solo e un’anima sola in un mondo di grandi e piccoli conflitti e divisioni, di tanti io individuali o collettivi, che umiliano l’amore e la fraternità. Paolo allora ci esorta: “Infatti Cristo nostra Pasqua si è immolato. Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio né con un lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”. La Pasqua di Cristo sia davvero per ognuno un nuovo inizio, l’inizio di una nuova vita, un nuovo modo di essere e di vivere. Abbiamo tra le mani un tesoro che può trasformare il nostro cuore e il mondo intero. Accogliamolo, comunichiamolo come fecero le donne. Gesù ci attende in Galilea, cioè nel luogo dove aveva incontrato per la prima volta i discepoli che avevano cominciato a seguirlo. Sì, il Signore è risorto e ci affida il Vangelo della Pasqua come la buona notizia di amore e salvezza per questo tempo tanto segnato dalla violenza e dagli egoismi. Che questa Pasqua sia di bene e di pace per l’Ucraina e per i Paesi segnati dalla guerra, di vita e di amore per i poveri e i sofferenti. Una delle prime parole infatti del risorto quando apparve ai discepoli furono: “Pace a voi”. Siano anche le nostre parole e la nostra vita. Cristo è risorto. Veramente è risorto!

Mercoledì delle Ceneri: l’omelia del vescovo Ambrogio

Fratelli e sorelle, iniziamo il tempo di Quaresima con il rito antico delle Ceneri, che sanno imposte sul capo di ognuno di noi, mentre il sacerdote ripete in parte parole antiche della Bibbia quando il Signore si rivolse all’uomo ricordandogli di essere fatto di terra: “Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai” (Genesi 3,19). Queste parole non sono una minaccia, ma ricordano la nostra fragilità, la precarietà della vita. La pandemia, le difficoltà di questo tempo, la malattia, sono parte della condizione umana. Per questo abbiamo bisogno di essere rivestiti dalla forza che viene da Dio. Siamo qui per questo, cari fratelli. Il Signore sa che siamo polvere, fragili e incerti, ma non ci abbandona a noi stessi, bensì vorrebbe aiutarci a vivere felici anche nel momento della fatica e del dolore. Ci potremmo chiedere: come? Siamo sempre tentati di fare da soli. Magari nelle difficoltà stringiamo i denti piuttosto di chiedere aiuto e di lasciarci aiutare. Il Signore lo sa. Per questo ci raccoglie nella sua famiglia, nel suo popolo, ci rende fratelli e sorelle, Qui noi gustiamo la gioia della fraternità, la felicità di sostenerci e di prenderci cura gli uni degli altri. Il tempo di Quaresima è il tempo del popolo che cammina insieme, che cerca insieme, facendosi guidare dal suo Signore, bisognoso di camminare dietro a lui insieme agli altri. “Tornate a me con tutto il cuore, con digiuni pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardo al male”. E poi: “Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini e i lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo”. Ecco: usciamo tutti per essere popolo, per camminare insieme, per essere una risposta di amore e di pace in questo tempo difficile di violenza e di guerra. In questo popolo ci sono tutti: piccoli, giovani insieme agli anziani, italiani e stranieri, poveri e ricchi, colti e meno colti. Tutti insieme fratelli e sorelle. È la famiglia di Dio, quella che manca al mondo. Torniamo allora insieme verso di Lui, il Signore misericordioso e pietoso, lento all’ira e di grande amore. Lui ci aspetta, vuole incontrarci, desidera camminare con noi, farci strada, essere luce nel buio della paura, perché siamo felici con lui. Ma si deve uscire dalle abitudini, dall’idea che ci salviamo da soli, dalla frenesia della vita, che vorrebbe toglierci questi spazi di riflessione e di preghiera con gli altri. La fretta uccide lo spirito! Toglie l’anima. Il Vangelo ci indica la via, liberandoci dalla facile ricerca di apparire, dai facili protagonismi che non portano a nulla, se non alla divisione e alla prepotenza. Facciamo nostre le parole di Gesù nel cammino della Quaresima: elemosina, preghiera, digiuno. L’elemosina apre il cuore alla gratuità del dono e dell’amore in un mondo spesso calcolatore, in cui si da per ricevere, dimenticando che la gratuità del dono è l’unica vera libertà e felicità. Poi la preghiera, che si vive in molti modi, qui durante la Santa Messa, a casa, nei momenti comuni in cui ascoltare la Parola di Dio, meditando le Sacre Scritture, pregando con quelle semplici preghiere che conosciamo. La preghiera trasforma la nostra umanità, ci fa immaginare il futuro con lo sguardo largo di Dio, quindi ci dà speranza in un tempo in cui è facile rassegarsi a quello che accade, senza scegliere, decidere, costruire un’alternativa, lavorare per un mondo più umano e più giusto. Il digiuno. Quello dal cibo ci ricorda che ci sono tanti che non hanno il necessario e ci libera dall’avidità dell’avere, dell’accumulare, di un benessere che stordisce e illude che la felicità stia nel possesso, in ciò che abbiamo o vorremmo avere. Poi esiste anche un digiuno spirituale, che implica essere più distaccati da noi stessi, dalla prepotenza dei nostri pensieri e delle nostre convinzioni, riconoscendo che nessuno di noi ha tutta la verità e soprattutto che nessuno è del tutto buono o nel giusto. Così avremo la ricompensa, che consiste nella presenza amorevole di Dio che sostiene la nostra umanità e ci rende popolo di donne e uomini che diffondono amore e pace. Cari fratelli e sorelle, ringraziamo il Signore per questo tempo opportuno per condividere la nostra vita camminando insieme, ascoltando il Signore che ci parla, verso la Pasqua del Signore, passaggio dalla morte alla vita, cuore della nostra vita di fede.

L’omelia del vescovo Spreafico al funerale di Thomas Bricca

Romani 8,14-23; Giovanni 19,25-30 Cari fratelli e sorelle, cari Paolo e Federica, siamo qui insieme raccolti dalla mano del Signore per accompagnare con la preghiera Thomas, stroncato dalla violenza omicida. Siamo ancora smarriti e increduli, a cominciare dai suoi familiari e amici. Ho voluto essere qui con voi per condividere il vostro dolore unendoci nella preghiera. La morte è una ferita profonda, provocata dalla forza del male, ancor di più una morte violenta come quella che ha colpito Thomas a 19 anni. Così lo hanno descritto alcuni di voi: “un ragazzo con il sorriso”. Davanti al dolore e alla morte scopriamo la nostra fragilità, la nostra umanità ferita, e comprendiamo che anche Thomas aveva le sue fragilità. E a volte dietro il sorriso si nasconde una domanda di vicinanza, aiuto. Non dimentichiamo mai che dietro un volto, uno sguardo, c’è una donna, un uomo, un ragazzo, un giovane, che ha domande, ha bisogno di essere ascoltato, capito, aiutato.  Oggi forse ci mancano le parole, anche se ne abbiamo molte nel cuore e nei pensieri, forse vorremmo esprimere dispiacere, anche rabbia, ma, vi chiedo, mai di vendetta, come ci ha detto più volte il padre di Thomas di non dire. Per questo siamo qui. I nostri sentimenti e le nostre parole inespresse qui diventano preghiera, quella preghiera che spesso si ritiene inutile e che quindi non siamo più abituati a fare. Il Signore la ascolta, e vuole aiutarci. Il Signore non è mai distratto, sempre ascolta il dolore, la sofferenza, il lamento. A volte ci dimentichiamo di questa mano tesa di Gesù alla nostra vita, come dimentichiamo che siamo uomini e donne bisognosi di aiuto e di amicizia. Ma Gesù è venuto per questo. Ci parla per questo. Vorrebbe darci le parole e i sentimenti giusti che a volte ci mancano. Nella prima lettura l’apostolo Paolo ci ha parlato proprio della fragilità della vita, dell’intero creato, tanto che esso geme e soffre come una donna che deve partorire. A volte dimentichiamo questa fragilità e nella vita vince l’isolamento, l’egoismo, la prepotenza, quel protagonismo che esclude gli altri. Altre volte nella fragilità ci lasciamo ingannare da soluzioni illusorie o false promesse che sembrano dare certezze e felicità. Ma sono solo illusione. Si deve fare attenzione, perché se cedi al male una volta, pensando che tanto è una volta, poi il male si installa nella tua vita e diventa difficile liberarsene, guarire. Voi ragazzi amici di Thomas, eravate qui vicino, parlavate tra voi, come altre volte. Ma si deve parlare con sincerità, in modo pacifico, anzitutto ascoltandosi. Non è accettabile rendere la parola scontro, litigio, fino a venire alle mani, come avviene a volte nelle nostre città. Quando vi trovate per parlare, fatelo per aiutarvi, sostenervi. Mai nessuno contro un altro, altrimenti si rischia di diventare come delle tribù che finiscono per combattersi per difendere ciò che è loro. Purtroppo, il mondo in cui siamo è spesso un mondo tribale tribale. Si fatica a vivere insieme, perché ognuno, ogni gruppo, difende se stesso, il proprio modo di pensare, il proprio territorio. Da qui nasce la violenza, che diventa incontrollabile. La guerra non è che la conseguenza di questo modo di pensare, come vediamo in Ucraina. Eppure, vedete come ci aiuta essere insieme! Questa è l’unica possibilità che abbiamo per essere felici e costruire un mondo umano e fraterno. Un’ultima cosa vorrei dirvi. Davanti a noi, come in ogni chiesa, abbiamo il crocifisso. Ci ricorda la vicenda terrena di un uomo, figlio di Dio, che è venuto in mezzo a noi per condividere fino in fondo la nostra umanità, persino la morte. Era buono, faceva del bene a tutti, ascoltava, aiutava, guariva. Era felice di stare con gli altri. Eppure, il suo amore sembrava eccessivo, non piaceva. Per questo fu ucciso da mani violente, appeso alla croce. E da lì venne la vita, la resurrezione, perché Dio Padre non poteva permettere che la vita di Gesù finisse con la morte. Tra i dolori della croce Gesù ancora ci stupisce: vede sotto la croce Maria sua madre e il discepolo che amava, Giovanni, l’unico uomo rimasto.  In mezzo al dolore atroce si preoccupa di loro, li guarda e dice: “Donna, ecco tuo figlio, … Figlio, ecco tua madre”. E da quel momento il discepolo la prese con sé”. Quanta tenerezza in queste parole. Oggi credo che Gesù le dica a noi tutti, a cominciare dai familiari di Thomas, dai suoi amici. Ci affida l’uno all’altro, perché ci aiutiamo, ci abbracciamo, ci accogliamo con affetto, asciughiamo le lacrime gli uni degli altri. Thomas, mi hanno detto, era inclusivo, non escludeva nessuno. Questa è la vita, cari amici, Questa è la felicità vera anche nel dolore. Volersi bene, abbracciarci, sentirci parte di un popolo di fratelli e sorelle, che sanno che il segreto della vita sta nel non cedere al male, nell’amore vicendevole, che il Signore viene ad aiutarci a vivere. Non abbiamo bisogno tutti di questo? Chiediamocelo. Aiutiamoci. Consoliamoci. E poi il Signore da questo ci dona anche la vita senza fine, quella per cui noi preghiamo oggi per Thomas, perché sia accolto nella pace del Paradiso, lui che è stato strappato violentemente al vostro affetto e alla vita terrena. E noi lavoriamo per il bene, per condividere pacificamente la vita con gli altri, lasciando da parte ciò che divide, parole e gesti che siano. Il mondo e noi abbiamo bisogno di pace e fraternità, altrimenti prevarrà sempre la violenza. E la violenza prima o poi porta alla morte. Noi non lo vogliamo. Noi ci impegniamo perché non succeda più qui ad Alatri e in nessuna altra parte del mondo. Ci impegniamo per non essere mai indifferenti davanti al male e al dolore, mai! L’indifferenza, come l’omertà, sono complicità! Chiediamolo anche al Signore nella preghiera, perché la preghiera apre il cuore all’amore e rende più umani e fratelli. Affidiamoci alle mani di Gesù e lui ci condurrà insieme alla felicità e a una vita piena di bene e di amore. Includiamo gli altri nel nostro

“Perché non accada mai più”: il vescovo Spreafico al funerale di Thomas Bricca (Video)

Sono stati celebrati venerdì 10 febbraio, nella Concattedrale di Alatri, i funerali di Thomas Bricca, il giovane di 19 anni ucciso 10 giorni fa nel centro storico della cittadina. La cerimonia è stata officiata dal vescovo Ambrogio Spreafico. Giovedì prossimo si terrà invece una veglia di preghiera, sempre con il vescovo Spreafico, proprio nel luogo in cui è stato ucciso Thomas.