Il vescovo alla marcia di Ac: «Costruiamo la pace ogni giorno»

La preghiera comunitaria guidata dal vescovo e la riflessione offerta ai presenti dallo stesso monsignor Ambrogio Spreafico hanno chiuso nel pomeriggio di sabato 27 gennaio la Marcia della pace, organizzata dall’Azione Cattolica diocesana e ospitata dalla città di Alatri. E proprio piazza Santa Maria Maggiore ha rappresentato il centro dell’iniziativa, che qui è iniziata e qui si è conclusa, sul sagrato della chiesa degli Scolopi, con intervento del vescovo che alle centinaia di bambini festanti ha subito chiesto: «Ma è possibile la pace?», con un coro entuasiasta di “sì” levatosi dalla piazza, colorata di cappellini, bandane e bandiere. «Ma la pace è possibile – ha quindi detto Spreafico – solo se si dialoga. E per dialogare la prima cosa da fare è ascoltare gli altri. Quando parlano mamma e papà, ad esempio, voi bambini dovete stare zitti e ascoltare. Ma anche quando parla un bambino, i genitori, i grandi, hanno il  dovere di ascoltare! Oggi invece si ascolta troppo poco e si pensa sempre di avere ragione. Vogliamo la pace, certo, ma poi litighiamo tra noi, oppure non accogliamo l’altro che è in difficoltà, l’amico o con il compagno di a scuola che ha bisogno, quando addirittura non arriviamo ad esercitare la violenza, come purtroppo è successo in questa città di Alatri. Perché la violenza non è solo la guerra che vediamo in televisione. Ma ci riguarda anche da vicino, se solo pensiamo che in Italia ci sono 8 milioni si armi e di queste 6 milioni e mezzo non sono neppure dichiarate, per non parlare poi delle armi che mandiamo in tutto il mondo. Gesù invece ci insegna che si vive disarmati. E allora – ha invitato il vescovo – disarmiamo anche i nostri cuori, i pensieri, i sentimenti, perché la pace cammina e si costruisce anche dentro di noi e attorno a noi. E invece tanti nostri paesi fanno a gara nelle “chiacchiere” sugli altri. Oppure non riusciamo a trattenere il ditino sul cellulare e mettiamo i like se uno insulta un altro. Ma questo non è da cristiani, mentre bisogna ricordare che Gesù ha detto: io sono la pace! Ascoltiamo Gesù e impariamo a costruire rapporti di amicizia, impariamo anche ad essere gentili con gli altri. Siamo qui per costruire la pace, ogni giorno!», ha concluso il vescovo, non prima di aver ricordato a bambini e ragazzi l’importanza del Giorno della Memoria, celebrato sempre il 27 gennaio. La marcia e le iniziative collegate, come detto, sono state ospitate da una accogliente città di Alatri, grazie anche ai luoghi e alle strutture messe a disposizione dal sindaco Maurizio Cianfrocca. Presenti diversi sacerdoti diocesani: il parroco don Walter Martiello, l’assistente unitario dell’Ac don Rosario Vitagliano, don Fabio Tagliaferri, don Roberto Martufi, don Pierluigi Nardi, don Luca Fanfarillo . Dopo l’arrivo dei gruppi e i saluti della presidente diocesana Concetta Coppotelli, del sindaco di Alatri e della responsabile del circolo Legambiente di Anagni (partner di questa edizione)  Rita Ambrosino, i partecipanti si sono divisi per gruppi di età e, guidati dagli educatori per l’ACR, dall’equipe e dall’assistente per il settore giovani e con don Fabio per il settore adulti, si è riflettuto insieme sulle seguenti tematiche di pace. Piccolissimi-FACCIAMO ESPLODERE LA PRIMAVERA 6 / 8 anni – SULLE DITA DI UNA MANO 9 / 11 – GUERRA E PACE 12 / 14- È BELLO CIÒ CHE È PACE GIOVANISSIMI e GIOVANI : Pace e comunicazione- Priorità di pace. ADULTI-“ FEDE E PACE”: BEATI GLI OPERATORI DI PACE! Tanti i presenti, comprese alcune religiose, e diverse le parrocchie partecipanti, da Alatri, Anagni, Fiuggi, Acuto, Fumone, Filettino, Mole Bisleti, Tecchiena, Tecchiena Castello, Sgurgola, con alcune iniziative collaterali pure degne di nota, come ad esempio quella presa dalle educatrici di Tecchiena Castello che hanno portato i bambini del catechismo anche in Concattedrale per far loro conoscere il miracolo dell’Ostia incarnata, accolti calorosamente dal parroco don Walter Martiello. La marcia ha quindi percorso le vie del centro storico, per poi fermarsi in preghiera a piazza Regina e in largo Paolo Cittadini “Il Girone”, in ricordo di Emanuele Morganti e di Thomas Bricca, prima di tornare in piazza Santa Maria Maggiore. La marcia della pace attraversa città e paesi italiani da quasi mezzo secolo, come ci ricorda la presidenza dell’Ac diocesana: l’educazione alla Pace entra a far parte del percorso formativo dell’ACR dopo l’incontro nazionale con papa Paolo VI del 20 maggio 1978 il cui slogan “La pace nascerà: parola di ragazzi”. Pochi giorni prima del giorno fissato, si verificano a Roma alcuni fatti di violenza terroristica. Il cardinale vicario Ugo Poletti decide dunque di cogliere l’occasione per lanciare un appello alla città per vincere la violenza invitando “tutti i cittadini di buona volontà” a partecipare alla manifestazione. Lo slogan scelto dall’ACR per la prima Carovana di pace è: Per la pace tutti in campo. La Carovana della pace o marcia, diviene così un appuntamento fisso per l’AC della diocesi di Roma e man mano si allarga a tutte le altre diocesi italiane. Così, nel mese di gennaio di ogni anno, si inizia a preparare questa manifestazione: i gruppi ACR delle parrocchie si confrontano su come portare pace nel mondo che li circonda e preparano un messaggio da offrire durante la messa e da scambiarsi con le altre parrocchie; colorano poi striscioni, cartelloni bandiere e costruiscono strumenti per “farsi sentire” durante il percorso. Nasce l’idea di una manifestazione che, a chiusura del percorso di riflessione dei gruppi parrocchiali, porti i bambini a testimoniare davanti alla città il loro desiderio di pace e il loro impegno personale.

Il vescovo a Mole Bisleti per parlare di pace ai bambini

Domenica 21 gennaio  le parrocchieincomunioneconmaria  hanno festeggiato sant’Antonio, un grande  uomo che ha lasciato i suoi agi e ha  lottato a lungo  per  ricercare la pace  nel cuore e con il Signore. In questa occasione i ragazzi della catechesi, coordinati egregiamente dalle loro catechiste, dopo aver  riflettuto sul messaggio della  pace di papa Francesco, hanno dato vita ad uno spettacolo che ha coinvolto emotivamente  i numerosi adulti presenti nella chiesa Maria Santissima del Rosario di Mole Bisleti. Alla presenza del vescovo monsignor Ambrogio Spreafico e del  parroco don Luca Fanfarillo, oltre che dei genitori, i bambini hanno cantato note di pace, recitato poesie scritte a più mani, hanno raccontato ai presenti i loro pensieri sulla  pace e hanno letto stralci del messaggio del Papa, con l’auspicio che le intelligenze artificiali possano aiutare l’umanità e non creare maggiori disuguaglianze in questo mondo già  tanto martoriato da guerre e violenza: “Soffiano venti di guerra nei cuori dei potenti della Terra, l’animo umano è pieno di odio e rancore, non c’ è più rispetto per l’altro né amore. Soffiano venti di pace nel cuore e nelle menti dei bimbi che gridano forte: pace invochiamo, pace sogniamo, pace vogliamo, pace auspichiamo.  La pace inizia da noi; la pace è possibile; sorella della pace è l’amore; la pace rende liberi e unisce le persone; la pace è il giardino in cui fiorisce la speranza; la pace è l’unica battaglia che vale la pena di intraprendere; la pace è amore; la pace è sorridere; in un luogo dove regna la pace anche i pensieri scelgono di non far rumore; non basta parlare di pace bisogna crederci; possa la pace illuminare il nostro cammino” Un’espressione assai forte e coraggiosa pronunciata dai ragazzi ha fatto tremare i polsi degli adulti presenti: «Perchè sono gli uomini a governare il mondo? Potevano farlo i cani, gli uccelli, i gatti pelosi, ma anche gli animali pericolosi…nessuno di loro né in pace, né in guerra farebbe del male a chi è della sua stessa specie. Vogliamo che torni presto gioia, vita e pace quieta in ogni piccolo angolo di questo pianeta. La pace nascerà: parola di ragazzi». Ha concluso la giornata iniziata con la preghiera, il gioco, la condivisione del pranzo e la riflessione, il vescovo Ambrogio che ha raccontato che nel mondo esistono decine di conflitti, che in Italia si trovano milioni di armi ma la forza dell’ alfabeto della pace e della preghiera porterà la pace nel cuore di ogni uomo. Monsignor Spreafico ha quindi rassicurato  i ragazzi,  che sono la speranza del domani, che un giorno vivranno in un mondo finalmente pacificato.

Il vescovo alla veglia ecumenica: «La “compassione” rende la vita possibile»

La domanda del maestro della Torà, la Legge, era molto importante, direi una domanda legittima che esprime un desiderio di bene, di eternità, cioè di qualcosa che non finisce, che va persino oltre la nostra esistenza terrena. Noi, il mondo, siamo pieni di domande di questo genere. Tuttavia molte volte preferiamo non porle, non farle, soprattutto a Gesù, perché preferiamo rimanere come siamo, non essere disturbati, non essere messi in discussione. Gesù accoglie quelle domande e non risponde come avrebbe potuto, ma vuole dialogare con quell’uomo saggio. Così fa anche con noi. La sua Parola non si impone, ma è frutto di un dialogo, di domande a cui rispondere.  Così avvenne per quel saggio, che rispose ripetendo il grande e unico comandamento, che racchiude in sé tutta la legge. Non si accontenta tuttavia dell’apprezzamento del Signore, e vuole continuare a capire: “Chi è il mio prossimo?”. Conosciamo bene la parabola del Buon Samaritano. Chi fu il prossimo di quell’uomo mezzo morto lasciato sul bordo della strada? Tutti e tre videro quell’uomo, ma uno solo si fermò. Eppure erano uomini religiosi, un sacerdote e un addetto al tempio. Cari amici, non basta essere frequentatori della casa di Dio per vivere secondo la sua parola e non secondo noi stessi. Noi vediamo tante immagini di donne e uomini mezzi morti o eliminati dall’odio, dalla violenza, dalla guerra, dall’abbandono della nostra società a volte crudele e disumana. Certo vediamo. Ma poi le immagini passano e si dileguano. Anche noi spesso passiamo oltre, dall’altra parte, scansiamo il dolore di quelle immagini. Chi si ricorda Cutro? Chi si ferma davanti alle immagini di morte, di guerra, di distruzione? E quante volte passiamo oltre il dolore e la solitudine di un’anziana sola o malata, che avrebbe bisogno di qualcuno che si accorga di lei, prima che muoia e venga trovata a casa magari dopo mesi? Che cosa cambia la sorte segnata di quell’uomo mezzo morto? Si legge: “Un samaritano, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide, e ne ebbe compassione. Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò”. La “compassione”, sentimento attribuito solo a Gesù nel Vangelo, cambia la scelta di quell’uomo che passava di là per caso e non aveva nulla a che fare con quel poveretto. Cari fratelli e sorelle, la “compassione”, la scelta di immedesimarsi nella condizione dell’altro, chiunque sia, ma soprattutto in chi è nel dolore, chi è ferito dalla vita, rende la vita possibile, perché fa avvicinare, si fa cura, medicina. Ma non può fare tutto il samaritano. Tuttavia lo porta in un luogo dove qualcun altro possa continuare a prendersi cura di lui. Queste locande sono le nostre comunità. Nessuno riesce a far tutto da solo per gli altri, né per i poveri. Abbiamo bisogno di essere nel “noi” delle nostre comunità, che, come ha detto papa Francesco, dovrebbero essere come “ospedali da campo”. Allora capiamo la domanda di Gesù, che rovescia quella di quel saggio. Chi è il mio prossimo? Per scoprirlo devi “farti prossimo” altrimenti non lo capirai mai! Nella prossimità verso il bisogno degli altri sono certo che affretteremo il tempo dell’unità piena tra i discepoli di  Gesù, di cui il mondo ha tanto bisogno. Allora quel saggio del Vangelo rispose molto bene al Signore: “Quello che ha avuto misericordia (e non “compassione”, come traduce la Bibbia) di lui”. La misericordia, infatti, è la compassione diventata il nostro modo di vivere con gli altri. Facciamo come quell’uomo, se vogliamo costruire un mondo fraterno, dove ci sia posto per tutti, a cominciare dagli ultimi e dai poveri. Questa scelta ci renderà più uniti, un “noi” nel rispetto delle nostre diversità e aiuterà la pace nel mondo. “Chiese sorelle, popoli fratelli”, diceva Atenagora, patriarca di Costantinopoli, lui che aveva incontrato papa Paolo VI a Gerusalemme dopo secoli di distanza.

Il vescovo Spreafico ai giovani: «Lasciamoci sorprendere dal Signore per essere luce in questo mondo»

La calligrafia per niente incerta, con lo stampatello ben chiaro nello scrivere a matita “Aiutami Signore e lasciami sorprendere ancora dalle piccole cose”, su uno dei tanti post-it poi deposti nella mangiatoia vuota e alla fine scambiati anonimamente tra tutti i partecipanti, quasi al termine della veglia di preghiera che lunedì 18 dicembre i giovani della diocesi di Anagni-Alatri hanno vissuto in preparazione al Natale, insieme al vescovo Ambrogio Spreafico. E proprio questo lasciarsi sorprendere è stato l’invito finale dell’intervento del vescovo, denso di spunti di riflessione: «Lasciamoci sorprendere dal Signore per essere luce in questo mondo. Cambiare il mondo dipende da ognuno di noi: se cambi te stesso, cambi il mondo in cui vivi e poi tutto il mondo». E sempre dal verbo “sorprendere”, che non a caso da transitivo talvolta diventa anche riflessivo, è partito il vescovo Spreafico per parlare a cuore aperto ai giovani che hanno riempito la chiesa Regina Pacis di Fiuggi, insieme a decine di educatori, sacerdoti e religiose, provenienti da diverse realtà parrocchiali della diocesi:  «Il Natale sorprende, perché il Figlio di Dio nasce senza nessuno, “perché per loro non c’era posto nell’alloggio”. E nasce da una donna giovane, venuta dal paese sconosciuto di Nazareth. Ma come è possibile tutto questo? Come mai è accaduto? Perché Dio sceglie i piccoli, gli umili, perché dal piccolo può nascere qualcosa che poi cambia il mondo. E invece in questo nostro mondo non ci si sorprende più, si fa tutto per abitudine, anche nei giorni prima di Natale con le nevrosi dell’ultimo regalo. E nessuno si sorprende più da questa nascita un po’ strana, misteriosa, inaspettata. Ma cosa cambia nella nostra vita con questa nascita? Certo, Lui era il Figlio di Dio, ma non aveva alcun “potere” all’interno dell’Impero romano; eppure, quando parla cambia la vita di chi lo ascolta, dei discepoli, degli apostoli, delle donne, dei poveri che lo seguivano, perché Lui era la Parola di Dio. E allora anche noi siamo chiamati ad ascoltare il Vangelo, perché crediamo che con la Parola qualcosa cambia anche nella nostra vita, perché il Vangelo ci dà vita, il Vangelo è contro corrente, come questo brano», ha aggiunto Spreafico riprendendo proprio un passo di Luca, declamato poco prima: “E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama”. E qui il vescovo ha rimarcato ai giovani come «la gloria di Dio dipende anche da me, da noi, è la pace sulla terra. Dio si gloria se noi siamo in pace. Invece in questo nostro mondo abbiamo la gloria dei potenti, che consiste solo nella vittoria sul nemico. E così abbiamo un mondo non pacifico, con tante guerre che neppure le conosciamo tutte. La gloria di Dio invece è la pace tra noi: nelle relazioni, nell’ascoltare l’altro, nel costruire un mondo dove vivere insieme con gli altri, non contro gli altri. Ma se non sei in pace, non sei felice: ti manca qualcosa! La guerra è morte sempre e in guerra non c’è mai distinzione tra le vittime. Però noi dobbiamo essere protagonisti di un mondo pacifico, del nostro futuro. E dobbiamo cominciare laddove ci troviamo: a scuola, in famiglia, tra gli amici, al lavoro, ascoltando gli altri e cercando di capirli, non giudicando, andando incontro a chi soffre, a chi si trova nel bisogno. E allora chiediamo al Signore che ci aiuti a trovare la pace, perché Lui ci chiede questo. Ognuno di noi sia protagonista della pace», ha chiuso con questo auspicio e invito il vescovo. La veglia, organizzata dalle Pastorali giovanile e vocazionale della diocesi, coordinate da don Luca Fanfarillo e don Pierluigi Nardi, ha vissuto altri momenti importanti, come l’adorazione silenziosa davanti al Santissimo, esposto sull’altare. O come il suggestivo scambio di post-it tra i partecipanti, cui abbiamo accennato all’inizio, tra un canto e l’altro, il tutto preparato dall’equipe giovani che nei prossimi giorni verrà ufficialmente nominata. E per finire, nei locali sottostanti la chiesa, un bel momento di convivialità, dolce e caldo, di panettoni e cioccolata fumante, offerto dalla comunità dei francescani di Regina Pacis. di Igor Traboni

«Trinità guida d’amore»: il vescovo alle Compagnie della Santissima

Come da tradizione, i responsabili delle Compagnie che ogni anno organizzano i pellegrinaggi al santuario diocesano della Santissima Trinità di Vallepietra hanno incontrato il rettore don Alberto Ponzi, per fare il bilancio soprattutto spirituale ma anche organizzativo, dopo la chiusura invernale del 2 novembre scorso. E quest’anno alla riunione, tenutasi domenica 19 novembre nella chiesa di San Biagio a Fiuggi, ha partecipato anche il vescovo Ambrogio Spreafico che ha tenuto subito a ringraziare i presenti e lo stesso don Ponzi, rivolgendo poi alcuni pensieri, ad iniziare dall’importanza della presenza della Trinità in questo mondo così pervaso dall’egoismo e dall’odio «ma così non funziona la vita, non solo in quei Paesi dove ci sono le guerre ma purtroppo anche nel quotidiano: tante volte bisogna dire che la prepotenza dà frutti cattivi e amari perché divide, fa nascere rancore, odio, tristezza, inimicizia. Sarà per quello che ha lasciato la pandemia o perché la vita è difficile per tanti, ma oggi vedo tanta arroganza e disinteresse per gli altri. Però la Santissima ci dice che noi abbiamo bisogno degli altri e che se non viviamo con gli altri e per gli altri ne va di mezzo la nostra umanità». Spreafico ha poi ricordato le sue presenze di quest’anno al santuario e al vicino paese di Vallepietra, sottolineando come in tutte le varie occasioni «sono rimasto colpito quando ho visto le Compagnie e ho capito la forza che hanno il santuario e la Santissima. Ognuno pregava la Trinità a modo suo, con la fisarmonica, la chitarra o anche solo con la voce, ma non c’era confusione, perché nessuno ha “strimpellato” imponendo sugli altri come si fa di solito, quando chi urla di più sembra abbia più ragione. Ognuno pregava, anche in maniera diversa come è normale che sia, ma creando armonia, perché usava le parole della Chiesa, di Gesù, del Vangelo. Vi voglio davvero ringraziare ed elogiare – ha aggiunto il vescovo rivolgendosi alle compagnie attraverso i loro responsabili – per la vostra devozione e invitarvi a non perderla ma ad alimentarla ancora, aiutando gli altri, e soprattutto i giovani, a capire che se viviamo in armonia allora la vita diventa più bella e uno scopre anche la felicità e la gioia di vivere con gli altri. Certo, non dobbiamo essere d’accordo su tutto perché ognuno ha il suo pensiero, ma – ha rimarcato Spreafico rifacendosi al Vangelo del giorno  – il Signore conosce le nostre capacità, i nostri talenti diversi da quelli degli altri  e a tutti Dio dona qualcosa di importante e di prezioso, basti pensare che un talento di quella parabola corrispondeva a ben 18 anni di lavoro. E allora mai sotterrare i talenti, anche quel singolo talento che il Signore ci dà perché ci vuole bene. Siamo chiamati a metterli a frutto con semplicità, amore e simpatia; come uomini e donne che sanno vivere con gli altri. Oggi c’è bisogno di ascolto e ascoltandoci impariamo a costruire insieme un mondo fraterno. Voi delle compagnie rappresentate un pezzo della nostra vita cristiana per aiutarci a rendere il mondo più umano, più bello, meno diviso. Chiediamo di essere un po’ come la Trinità, cioè una comunione di amore», si è avviato a concludere il suo intervento monsignor Spreafico. Dal canto suo, don Alberto Ponzi ha rimarcato la grande ripresa dei pellegrinaggi dopo il tempo della pandemia, anche nei numeri, che parlano di circa 63mila comunioni distribuite nelle Messe al santuario e quindi di almeno il doppio dei fedeli che sono saliti al sacro speco. Confortante anche il numero delle confessioni, pure questo in notevole aumento. Il rettore ha quindi elogiato le circa 340 compagnie, presenti sia nel Frusinate che nelle province e regioni limitrofe, per il loro comportamento sempre più consono alla spiritualità del luogo: «Continuiamo così anche per essere di esempio per ragazzi e giovani che salgono al santuario, sempre più numerosi e motivo di speranza. Ricordando anche che il sacrificio è parte essenziale del pellegrinaggio: lo zaino in collo permette di capire cosa significa la fatica e guardare alla meta da raggiungere, ovvero il santuario, ma anche alla meta della nostra vita che è l’eternità». di Igor Traboni

Il vescovo ai giovani: «Siate luce, non rassegniamoci al buio!»

Sale per insaporire, luce per illuminare: possono sembrare due verbi scontati, sicuramente conseguenziali. Eppure, non lo sono affatto, se coniugati con le riflessioni che il vescovo Ambrogio Spreafico ha offerto nella serata di venerdì 24 novembre a circa duecento ragazzi delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, ritrovatisi presso l’auditorium San Paolo, a Frosinone, ancora una volta insieme per il raduno interdiocesano dei giovani. Partendo dal discorso della montagna  e da quei due inviti “Voi siete sale della terra… voi siete luce del mondo”, il vescovo ha detto ai giovani «che è proprio quello che Gesù chiede a ognuno di noi, perché Lui crede di più in noi di quanto noi crediamo in noi stessi. E soprattutto crediamo poco che il mondo possa cambiare, siamo come rassegnati alla vita. Ma ricordiamoci che il mondo si costruisce insieme, perché se sei solo gli altri ti “mangeranno”.  Ma i prepotenti prima o poi cadranno, come è sempre successo nella storia. Dio abbatte i potenti e innalza gli umili!». Spreafico ha quindi esortato i giovani «ad essere sale della terra, quel sale che dà un sapore vero, come nei piatti della cucina ciociara! Gesù vorrebbe che ognuno di noi desse sapore alla vita degli altri, ma c’è gente insipida, che non sa di niente, non comunica umanità. Sapete perché c’è tanta gente arrabbiata, che manca di rispetto, prepotente? – ha continuato il vescovo calamitando ancor di più l’attenzione dei giovani presenti – Perché è gente senza sapore! Gente che si esalta sfrecciando a 180 all’ora sulla Casilina o con il nuovo smartphone da esibire con gli amici, perché anche questa dell’esibizionismo è un’altra costante dei nostri giorni. Ma questi egoisti non si accorgono che il male lo fanno prima a loro stessi. E la luce serve a farti vedere gli altri, non per esibirti, ma per brillare perché altri brillino in te, e in te vedano la luce di Dio! Ognuno di noi ha dentro l’impronta di Dio: se tu vedi nell’altro questa impronta, allora già cambi. La luce non va nascosta, altrimenti il nostro mondo continuerà a vivere con questa incapacità di vedersi, di guardarsi. Siamo tutti pronti a vedere nell’altro i difetti, ma perché non vediamo il bene? Se ognuno aiutasse gli altri a far vedere il bene, come sarebbe bello il mondo!». Da qui l’invito finale del vescovo Ambrogio: «Scegliete di fare luce e cogliere la luce che c’è negli altri! Proviamo a capire come possiamo essere luce, insieme, illuminandoci insieme. La luce dà speranza, aiuta a camminare, fa vedere gli altri. E gli altri hanno bisogno di luce, di speranza. Non rassegniamoci al buio!». La serata è poi proseguita con i giovani che si sono divisi in vari gruppi, guidati dai sacerdoti presenti e da alcuni giovani più… grandicelli, a seconda del colore dei braccialetti fosforescenti distribuiti poco prima, e insieme hanno elaborato dei pensieri relativi a cosa li fa brillare – questo il tema dell’incontro – e cosa invece li incupisce. Questi pensieri sono stati poi scritti su dei post-it e affissi su un grande pannello. Ed eccoli alcuni dei pensieri messi nero su bianco dai ragazzi, a partire da quello che li incupisce:  paura, delusione, insicurezza, perdita di umanità e contatto con le persone, ansia, mancanza di amore, giudizio degli altri, prepotenza, lamentele, indifferenza, incomprensioni, opinioni. Ed ecco invece ciò che li fa brillare, come hanno doppiamente testimoniato illuminando la sala con i telefonini ad ogni lettura di un post-it che corrispondeva loro: servizio, portare colore, curiosità, sorriso dei bambini, forza del bene agli altri e vedere il loro sorriso brillare, amore per il prossimo, amici, il sorriso degli altri, vedere le persone sorridere e felici anche se io sono triste, empatia, apertura, comunità. I giovani hanno anche preparato nei gruppi, e poi comunicato agli altri, delle “preghiere dei fedeli”, tutte molto profonde, niente affatto scontate, prima di recitare tutti insieme quella che il Padre ci ha insegnato (e molti tenendosi per mano). La serata si è avviata alla conclusione con altri spunti di riflessione offerti da don Francesco Paglia e don Tonino Antonetti  e  con un canto finale. Ma baci, abbracci, sorrisi e risate sono proseguiti anche una volta fuori dall’auditorium, in una notte così illuminata! di Igor Traboni

La preghiera di Mons. Spreafico per la Giornata dei poveri 2023

In occasione della Giornata mondiale dei poveri, del 19 novembre 2023 il vescovo Ambrogio Spreafico ha composto una preghiera (la trovate in questo post) che è stata letta durante le varie celebrazioni. A livello interdiocesano la Giornata, presieduta dal vescovo Spreafico, si è tenuta presso il Santuario della Madonna della Neve a Frosinone.

Mons. Spreafico: «La Trinità ci aiuti ad essere costruttori di pace»

Domenica 29 ottobre il vescovo Ambrogio Spreafico ha celebrato Messa al santuario della Santissima Trinità davanti a moltissimi fedeli, compresi quelli delle “compagnie” arrivati dalla Ciociaria e dalle province limitrofe per il tradizionale saluto alla Santissima. Nel corso dell’omelia, monsignor Spreafico ha innanzitutto sottolineato l’importanza dell’ascolto: «Oggi ascoltiamo troppo poco gli altri, siamo sempre lì che straparliamo. E invece abbiamo bisogno di ascoltare Dio che ci parla. Come facciamo in questo luogo così bello e significativo. Questo è il miracolo della Messa nella casa di Dio, dello stare di fronte all’altare: stiamo zitti, ascoltiamo e quando si parla lo facciamo con gli altri, nella preghiera, nel canto: si crea così quell’armonia che nella vita non c’è! Questo è il segreto della Trinità.  Perché Dio Padre Altissimo ha voluto esser Padre, Figlio e Spirito Santo? Per farci capire che la vita è con gli altri, che non è mai sola la vita. Nessuno di noi è padrone della vita, degli altri, ma siamo chiamati ad essere uomini e donne che creano armonia e pace in un mondo così difficile, violento, che accetta la guerra come se fosse una cosa normale», ha aggiunto il vescovo con un forte richiamo all’attualità: «Abbiamo visto in queste ultime settimane gli attacchi terroristici di Hamas nel sud di Israele, ma questo non è accettabile, non c’è niente da capire. E’ morte, uccisione senza distinzione tra vecchi, bambini, donne, malati. Da qui vogliamo invocare la Trinità perché ci aiuti a essere costruttori di pace, di amore, cominciando da noi stessi, nella vita di ogni giorno, in famiglia, al lavoro nello studio. Mai vedere nell’altro un nemico, perché in ognuno c’è l’immagine di Dio». Ricordiamo che l’ultima celebrazione al santuario, prima della chiusura invernale, è fissata per giovedì 2 novembre, con la commemorazione dei defunti.

L’omelia del vescovo Ambrogio nella Messa a conclusione dell’assemblea pastorale diocesana

XXV Domenica T.O. (anno A) Isaia 55,6-9; Filippesi  1,20c-24.27°; Matteo 20,1-16 Care sorelle e cari fratelli, concludiamo nella nostra Cattedrale l’Assemblea Diocesana che ci ha visto riuniti in questi due giorni. Essere insieme come sorelle e fratelli ci fa gustare la gioia e la bellezza di essere Chiesa, un unico popolo, comunità di comunità, che non vivono per se stessi o nelle cerchia delle proprie abituali frequentazioni, ma che accettano di condividere la loro vita e la loro fede in maniera larga, in una famiglia senza confini ed esclusioni. La tentazione quotidiana infatti è sempre e ovunque quella di costruirsi un mondo a propria immagine o a immagine delle certezze che ognuno di noi si è fatto nel tempo. Ma i tempi cambiano e la Parola di Dio ci chiede di vivere la nostra fede nel tempo in cui siamo accettando di cambiare noi stessi, rispondendo ai segni dei tempi che riusciamo a vedere e a capire, come abbiamo cercato di fare ieri nel nostro dialogare. Il Signore viene di nuovo in mezzo a noi, come fece secondo la parabola, alla ricerca di operai per la sua vigna. Spende tutta una giornata a cercare operai. Dio è instancabile. Ha bisogno di donne e uomini che accolgano la sua chiamata per lavorare per lui e con lui. Così è avvenuto anche nella nostra vigna. Quegli operai sono gente comune, non persone speciali né qualcuno che riceve una chiamata particolare, come possono essere nella Chiesa i sacerdoti o i consacrati e le consacrate. Quindi si parla di noi tutti. Ognuno riceve la chiamata a lavorare nella vigna del Signore, senza esclusioni. Alla fine del giorno trova pure persone a cui nessuno aveva proposto un lavoro, un impegno. Quante gente vive attorno a noi, a cui noi non abbiamo forse mai parlato, a cui non abbiamo mai rivolto l’invito a lavorare con noi nella vigna del Signore. A volte ormai li abbiamo del tutto dimenticati. Pensiamo che non siano interessati! Ma tu ci hai mai parlato, li hai mai ascoltati o solo giudicati ed esclusi? La parabola sottolinea che il Signore non fa neppure distinzione tra chi è arrivato fin dalla prima ora e chi è arrivato al termine della giornata. Questo, cari amici, ci mette tutti alla pari e ci libera dai soliti e abituali giudizi con cui guardiamo gli altri e li giudichiamo secondo i nostri criteri e le nostre preferenze e simpatie, escludendo e includendo come ci piace. L’atteggiamento di quel padrone sorprende, soprattutto quando dà la stessa paga al primo e all’ultimo arrivato. Eppure, non avevano lavorato le stesse ore. Non avremmo anche noi mormorato e considerata quella decisione ingiusta come fecero i primi arrivati? Non mormoriamo anche noi quando cominciamo a fare confronti all’interno delle nostre comunità o della vita quotidiana, pretendendo di avere di più, di essere considerati di più rispetto ad altri, che forse giudichiamo meno generosi e impegnati di noi? Cari amici, il Signore vuole affermare qualcosa di essenziale per tutti, indipendentemente da chi siamo e dal nostro impegno o dal nostro ruolo: ciò che ricevi nella vigna del Signore, nella tua comunità o altrove, è sempre segno della bontà gratuita e della misericordia di Dio. È la grazia che riceviamo ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio e la viviamo. È questa l’unica ricompensa che rende felici, perché ci fa gustare l’amore di Dio, fa vivere, fa crescere, fa vivere insieme come sorelle e fratelli, senza continui confronti e giudizi come avviene spesso anche nelle nostre comunità. Ci potremmo però chiedere: che significa essere operai della vigna? Qual è il nostro lavoro? Che cosa possiamo proporre agli altri? Nel capitolo decimo del Vangelo di Luca Gesù chiamò altri 72 discepoli e li mandò due a due in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Erano misti. Gente normale. Disse loro: “pregate … andate” senza portare troppe cose con voi per non appesantirvi …e “dite” in ogni casa: “Pace a questa casa”. Ecco, cari amici, il lavoro degli operai della vigna: dire pace, essere operai di pace in questo tempo violento e diviso, litigioso e arrogante. Sì, ci manda come “agnelli in mezzo ai lupi”, cioè miti in mezzo alla violenza e alla prepotenza. Ma gli agnelli hanno la forza della Parola di Dio, del Vangelo della pace, dell’amore di Dio e della loro fraternità. Infatti non li mandò da soli, ma due a due, per sostenersi e aiutarsi. Però “la messe è molta, ma gli operai sono pochi”. Non dovremmo allora, come quel padrone della vigna, cercare operai di pace per la vigna del Signore? Allora cerchiamo il Signore nella sua Parola, come ci ha detto il profeta: “Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino. …Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie”. Cari fratelli e sorelle, questo è il tempo in cui cercare il Signore, anzi forse è il tempo in cui farci trovare da lui, che sempre cerca operai per la sua vigna, senza nasconderci dietro noi stessi, le nostre abitudini o i nostri ruoli. Lasciamoci trovare da lui, ascoltando con il cuore la sua parola perché rinnovi la nostra umanità e le nostre comunità. Ne abbiamo bisogno in questo tempo di sofferenza, di violenza e di guerra. Affidiamo al Signore chi soffre, i piccoli e i poveri, gli anziani e i malati, i giovani e le famiglie. Preghiamo in particolare per i migranti e i rifugiati in questa giornata mondiale del migrante e del rifugiato, perché siano accolti e curati. Su tutti si riversi la benedizione di Dio e il suo amore gratuito che siamo chiamati a condividere. Sono contento di dirvi che la Caritas della nostra diocesi accoglierà a Fiuggi una famiglia di profughi provenienti dalla Siria che arriveranno a Fiumicino giovedì 28 grazie ai Corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio. Sono il segno della generosa accoglienza che già tante nostre comunità stanno vivendo verso donne e uomini che sono arrivati nel nostro Paese,

L’omelia del vescovo Ambrogio nella Messa a conclusione dell’assemblea pastorale diocesana

XXV Domenica T.O. (anno A) Isaia 55,6-9; Filippesi  1,20c-24.27°; Matteo 20,1-16 Care sorelle e cari fratelli, concludiamo nella nostra Cattedrale l’Assemblea Diocesana che ci ha visto riuniti in questi due giorni. Essere insieme come sorelle e fratelli ci fa gustare la gioia e la bellezza di essere Chiesa, un unico popolo, comunità di comunità, che non vivono per sé stessi o nella cerchia delle proprie abituali frequentazioni, ma che accettano di condividere la loro vita e la loro fede in maniera larga, in una famiglia senza confini ed esclusioni. La tentazione quotidiana, infatti, è sempre e ovunque quella di costruirsi un mondo a propria immagine o a immagine delle certezze che ognuno di noi si è fatto nel tempo. Ma i tempi cambiano e la Parola di Dio ci chiede di vivere la nostra fede nel tempo in cui siamo accettando di cambiare noi stessi, rispondendo ai segni dei tempi che riusciamo a vedere e a capire, come abbiamo cercato di fare ieri nel nostro dialogare. Il Signore viene di nuovo in mezzo a noi, come fece secondo la parabola, alla ricerca di operai per la sua vigna. Spende tutta una giornata a cercare operai. Dio è instancabile. Ha bisogno di donne e uomini che accolgano la sua chiamata per lavorare per lui e con lui. Così è avvenuto anche nella nostra vigna. Quegli operai sono gente comune, non persone speciali né qualcuno che riceve una chiamata particolare, come possono essere nella Chiesa i sacerdoti o i consacrati e le consacrate. Quindi si parla di noi tutti. Ognuno riceve la chiamata a lavorare nella vigna del Signore, senza esclusioni. Alla fine del giorno trova pure persone a cui nessuno aveva proposto un lavoro, un impegno. Quante gente vive attorno a noi, a cui noi non abbiamo forse mai parlato, a cui non abbiamo mai rivolto l’invito a lavorare con noi nella vigna del Signore. A volte ormai li abbiamo del tutto dimenticati. Pensiamo che non siano interessati! Ma tu ci hai mai parlato, li hai mai ascoltati o solo giudicati ed esclusi? La parabola sottolinea che il Signore non fa neppure distinzione tra chi è arrivato fin dalla prima ora e chi è arrivato al termine della giornata. Questo, cari amici, ci mette tutti alla pari e ci libera dai soliti e abituali giudizi con cui guardiamo gli altri e li giudichiamo secondo i nostri criteri e le nostre preferenze e simpatie, escludendo e includendo come ci piace. L’atteggiamento di quel padrone sorprende, soprattutto quando dà la stessa paga al primo e all’ultimo arrivato. Eppure, non avevano lavorato le stesse ore. Non avremmo anche noi mormorato e considerata quella decisione ingiusta come fecero i primi arrivati? Non mormoriamo anche noi quando cominciamo a fare confronti all’interno delle nostre comunità o della vita quotidiana, pretendendo di avere di più, di essere considerati di più rispetto ad altri, che forse giudichiamo meno generosi e impegnati di noi? Cari amici, il Signore vuole affermare qualcosa di essenziale per tutti, indipendentemente da chi siamo e dal nostro impegno o dal nostro ruolo: ciò che ricevi nella vigna del Signore, nella tua comunità o altrove, è sempre segno della bontà gratuita e della misericordia di Dio. È la grazia che riceviamo ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio e la viviamo. È questa l’unica ricompensa che rende felici, perché ci fa gustare l’amore di Dio, fa vivere, fa crescere, fa vivere insieme come sorelle e fratelli, senza continui confronti e giudizi come avviene spesso anche nelle nostre comunità. Ci potremmo però chiedere: che significa essere operai della vigna? Qual è il nostro lavoro? Che cosa possiamo proporre agli altri? Nel capitolo decimo del Vangelo di Luca Gesù chiamò altri 72 discepoli e li mandò a due a due in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Erano misti. Gente normale. Disse loro: “pregate … andate” senza portare troppe cose con voi per non appesantirvi …e “dite” in ogni casa: “Pace a questa casa”. Ecco, cari amici, il lavoro degli operai della vigna: dire pace, essere operai di pace in questo tempo violento e diviso, litigioso e arrogante. Sì, ci manda come “agnelli in mezzo ai lupi”, cioè miti in mezzo alla violenza e alla prepotenza. Ma gli agnelli hanno la forza della Parola di Dio, del Vangelo della pace, dell’amore di Dio e della loro fraternità. Infatti, non li mandò da soli, ma a due a due, per sostenersi e aiutarsi. Però “la messe è molta, ma gli operai sono pochi”. Non dovremmo allora, come quel padrone della vigna, cercare operai di pace per la vigna del Signore? Allora cerchiamo il Signore nella sua Parola, come ci ha detto il profeta: “Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino. …Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie”. Cari fratelli e sorelle, questo è il tempo in cui cercare il Signore, anzi forse è il tempo in cui farci trovare da lui, che sempre cerca operai per la sua vigna, senza nasconderci dietro noi stessi, le nostre abitudini o i nostri ruoli. Lasciamoci trovare da lui, ascoltando con il cuore la sua parola perché rinnovi la nostra umanità e le nostre comunità. Ne abbiamo bisogno in questo tempo di sofferenza, di violenza e di guerra. Affidiamo al Signore chi soffre, i piccoli e i poveri, gli anziani e i malati, i giovani e le famiglie. Preghiamo in particolare per i migranti e i rifugiati in questa giornata mondiale del migrante e del rifugiato, perché siano accolti e curati. Su tutti si riversi la benedizione di Dio e il suo amore gratuito che siamo chiamati a condividere. Sono contento di dirvi che la Caritas della nostra diocesi accoglierà a Fiuggi una famiglia di profughi provenienti dalla Siria che arriveranno a Fiumicino giovedì 28 grazie ai Corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio. Sono il segno della generosa accoglienza che già tante nostre comunità stanno vivendo verso donne e uomini che sono arrivati nel