Il vescovo ai giovani: «Siate luce, non rassegniamoci al buio!»

Sale per insaporire, luce per illuminare: possono sembrare due verbi scontati, sicuramente conseguenziali. Eppure, non lo sono affatto, se coniugati con le riflessioni che il vescovo Ambrogio Spreafico ha offerto nella serata di venerdì 24 novembre a circa duecento ragazzi delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, ritrovatisi presso l’auditorium San Paolo, a Frosinone, ancora una volta insieme per il raduno interdiocesano dei giovani. Partendo dal discorso della montagna  e da quei due inviti “Voi siete sale della terra… voi siete luce del mondo”, il vescovo ha detto ai giovani «che è proprio quello che Gesù chiede a ognuno di noi, perché Lui crede di più in noi di quanto noi crediamo in noi stessi. E soprattutto crediamo poco che il mondo possa cambiare, siamo come rassegnati alla vita. Ma ricordiamoci che il mondo si costruisce insieme, perché se sei solo gli altri ti “mangeranno”.  Ma i prepotenti prima o poi cadranno, come è sempre successo nella storia. Dio abbatte i potenti e innalza gli umili!». Spreafico ha quindi esortato i giovani «ad essere sale della terra, quel sale che dà un sapore vero, come nei piatti della cucina ciociara! Gesù vorrebbe che ognuno di noi desse sapore alla vita degli altri, ma c’è gente insipida, che non sa di niente, non comunica umanità. Sapete perché c’è tanta gente arrabbiata, che manca di rispetto, prepotente? – ha continuato il vescovo calamitando ancor di più l’attenzione dei giovani presenti – Perché è gente senza sapore! Gente che si esalta sfrecciando a 180 all’ora sulla Casilina o con il nuovo smartphone da esibire con gli amici, perché anche questa dell’esibizionismo è un’altra costante dei nostri giorni. Ma questi egoisti non si accorgono che il male lo fanno prima a loro stessi. E la luce serve a farti vedere gli altri, non per esibirti, ma per brillare perché altri brillino in te, e in te vedano la luce di Dio! Ognuno di noi ha dentro l’impronta di Dio: se tu vedi nell’altro questa impronta, allora già cambi. La luce non va nascosta, altrimenti il nostro mondo continuerà a vivere con questa incapacità di vedersi, di guardarsi. Siamo tutti pronti a vedere nell’altro i difetti, ma perché non vediamo il bene? Se ognuno aiutasse gli altri a far vedere il bene, come sarebbe bello il mondo!». Da qui l’invito finale del vescovo Ambrogio: «Scegliete di fare luce e cogliere la luce che c’è negli altri! Proviamo a capire come possiamo essere luce, insieme, illuminandoci insieme. La luce dà speranza, aiuta a camminare, fa vedere gli altri. E gli altri hanno bisogno di luce, di speranza. Non rassegniamoci al buio!». La serata è poi proseguita con i giovani che si sono divisi in vari gruppi, guidati dai sacerdoti presenti e da alcuni giovani più… grandicelli, a seconda del colore dei braccialetti fosforescenti distribuiti poco prima, e insieme hanno elaborato dei pensieri relativi a cosa li fa brillare – questo il tema dell’incontro – e cosa invece li incupisce. Questi pensieri sono stati poi scritti su dei post-it e affissi su un grande pannello. Ed eccoli alcuni dei pensieri messi nero su bianco dai ragazzi, a partire da quello che li incupisce:  paura, delusione, insicurezza, perdita di umanità e contatto con le persone, ansia, mancanza di amore, giudizio degli altri, prepotenza, lamentele, indifferenza, incomprensioni, opinioni. Ed ecco invece ciò che li fa brillare, come hanno doppiamente testimoniato illuminando la sala con i telefonini ad ogni lettura di un post-it che corrispondeva loro: servizio, portare colore, curiosità, sorriso dei bambini, forza del bene agli altri e vedere il loro sorriso brillare, amore per il prossimo, amici, il sorriso degli altri, vedere le persone sorridere e felici anche se io sono triste, empatia, apertura, comunità. I giovani hanno anche preparato nei gruppi, e poi comunicato agli altri, delle “preghiere dei fedeli”, tutte molto profonde, niente affatto scontate, prima di recitare tutti insieme quella che il Padre ci ha insegnato (e molti tenendosi per mano). La serata si è avviata alla conclusione con altri spunti di riflessione offerti da don Francesco Paglia e don Tonino Antonetti  e  con un canto finale. Ma baci, abbracci, sorrisi e risate sono proseguiti anche una volta fuori dall’auditorium, in una notte così illuminata! di Igor Traboni

La preghiera di Mons. Spreafico per la Giornata dei poveri 2023

In occasione della Giornata mondiale dei poveri, del 19 novembre 2023 il vescovo Ambrogio Spreafico ha composto una preghiera (la trovate in questo post) che è stata letta durante le varie celebrazioni. A livello interdiocesano la Giornata, presieduta dal vescovo Spreafico, si è tenuta presso il Santuario della Madonna della Neve a Frosinone.

Mons. Spreafico: «La Trinità ci aiuti ad essere costruttori di pace»

Domenica 29 ottobre il vescovo Ambrogio Spreafico ha celebrato Messa al santuario della Santissima Trinità davanti a moltissimi fedeli, compresi quelli delle “compagnie” arrivati dalla Ciociaria e dalle province limitrofe per il tradizionale saluto alla Santissima. Nel corso dell’omelia, monsignor Spreafico ha innanzitutto sottolineato l’importanza dell’ascolto: «Oggi ascoltiamo troppo poco gli altri, siamo sempre lì che straparliamo. E invece abbiamo bisogno di ascoltare Dio che ci parla. Come facciamo in questo luogo così bello e significativo. Questo è il miracolo della Messa nella casa di Dio, dello stare di fronte all’altare: stiamo zitti, ascoltiamo e quando si parla lo facciamo con gli altri, nella preghiera, nel canto: si crea così quell’armonia che nella vita non c’è! Questo è il segreto della Trinità.  Perché Dio Padre Altissimo ha voluto esser Padre, Figlio e Spirito Santo? Per farci capire che la vita è con gli altri, che non è mai sola la vita. Nessuno di noi è padrone della vita, degli altri, ma siamo chiamati ad essere uomini e donne che creano armonia e pace in un mondo così difficile, violento, che accetta la guerra come se fosse una cosa normale», ha aggiunto il vescovo con un forte richiamo all’attualità: «Abbiamo visto in queste ultime settimane gli attacchi terroristici di Hamas nel sud di Israele, ma questo non è accettabile, non c’è niente da capire. E’ morte, uccisione senza distinzione tra vecchi, bambini, donne, malati. Da qui vogliamo invocare la Trinità perché ci aiuti a essere costruttori di pace, di amore, cominciando da noi stessi, nella vita di ogni giorno, in famiglia, al lavoro nello studio. Mai vedere nell’altro un nemico, perché in ognuno c’è l’immagine di Dio». Ricordiamo che l’ultima celebrazione al santuario, prima della chiusura invernale, è fissata per giovedì 2 novembre, con la commemorazione dei defunti.

L’omelia del vescovo Ambrogio nella Messa a conclusione dell’assemblea pastorale diocesana

XXV Domenica T.O. (anno A) Isaia 55,6-9; Filippesi  1,20c-24.27°; Matteo 20,1-16 Care sorelle e cari fratelli, concludiamo nella nostra Cattedrale l’Assemblea Diocesana che ci ha visto riuniti in questi due giorni. Essere insieme come sorelle e fratelli ci fa gustare la gioia e la bellezza di essere Chiesa, un unico popolo, comunità di comunità, che non vivono per se stessi o nelle cerchia delle proprie abituali frequentazioni, ma che accettano di condividere la loro vita e la loro fede in maniera larga, in una famiglia senza confini ed esclusioni. La tentazione quotidiana infatti è sempre e ovunque quella di costruirsi un mondo a propria immagine o a immagine delle certezze che ognuno di noi si è fatto nel tempo. Ma i tempi cambiano e la Parola di Dio ci chiede di vivere la nostra fede nel tempo in cui siamo accettando di cambiare noi stessi, rispondendo ai segni dei tempi che riusciamo a vedere e a capire, come abbiamo cercato di fare ieri nel nostro dialogare. Il Signore viene di nuovo in mezzo a noi, come fece secondo la parabola, alla ricerca di operai per la sua vigna. Spende tutta una giornata a cercare operai. Dio è instancabile. Ha bisogno di donne e uomini che accolgano la sua chiamata per lavorare per lui e con lui. Così è avvenuto anche nella nostra vigna. Quegli operai sono gente comune, non persone speciali né qualcuno che riceve una chiamata particolare, come possono essere nella Chiesa i sacerdoti o i consacrati e le consacrate. Quindi si parla di noi tutti. Ognuno riceve la chiamata a lavorare nella vigna del Signore, senza esclusioni. Alla fine del giorno trova pure persone a cui nessuno aveva proposto un lavoro, un impegno. Quante gente vive attorno a noi, a cui noi non abbiamo forse mai parlato, a cui non abbiamo mai rivolto l’invito a lavorare con noi nella vigna del Signore. A volte ormai li abbiamo del tutto dimenticati. Pensiamo che non siano interessati! Ma tu ci hai mai parlato, li hai mai ascoltati o solo giudicati ed esclusi? La parabola sottolinea che il Signore non fa neppure distinzione tra chi è arrivato fin dalla prima ora e chi è arrivato al termine della giornata. Questo, cari amici, ci mette tutti alla pari e ci libera dai soliti e abituali giudizi con cui guardiamo gli altri e li giudichiamo secondo i nostri criteri e le nostre preferenze e simpatie, escludendo e includendo come ci piace. L’atteggiamento di quel padrone sorprende, soprattutto quando dà la stessa paga al primo e all’ultimo arrivato. Eppure, non avevano lavorato le stesse ore. Non avremmo anche noi mormorato e considerata quella decisione ingiusta come fecero i primi arrivati? Non mormoriamo anche noi quando cominciamo a fare confronti all’interno delle nostre comunità o della vita quotidiana, pretendendo di avere di più, di essere considerati di più rispetto ad altri, che forse giudichiamo meno generosi e impegnati di noi? Cari amici, il Signore vuole affermare qualcosa di essenziale per tutti, indipendentemente da chi siamo e dal nostro impegno o dal nostro ruolo: ciò che ricevi nella vigna del Signore, nella tua comunità o altrove, è sempre segno della bontà gratuita e della misericordia di Dio. È la grazia che riceviamo ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio e la viviamo. È questa l’unica ricompensa che rende felici, perché ci fa gustare l’amore di Dio, fa vivere, fa crescere, fa vivere insieme come sorelle e fratelli, senza continui confronti e giudizi come avviene spesso anche nelle nostre comunità. Ci potremmo però chiedere: che significa essere operai della vigna? Qual è il nostro lavoro? Che cosa possiamo proporre agli altri? Nel capitolo decimo del Vangelo di Luca Gesù chiamò altri 72 discepoli e li mandò due a due in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Erano misti. Gente normale. Disse loro: “pregate … andate” senza portare troppe cose con voi per non appesantirvi …e “dite” in ogni casa: “Pace a questa casa”. Ecco, cari amici, il lavoro degli operai della vigna: dire pace, essere operai di pace in questo tempo violento e diviso, litigioso e arrogante. Sì, ci manda come “agnelli in mezzo ai lupi”, cioè miti in mezzo alla violenza e alla prepotenza. Ma gli agnelli hanno la forza della Parola di Dio, del Vangelo della pace, dell’amore di Dio e della loro fraternità. Infatti non li mandò da soli, ma due a due, per sostenersi e aiutarsi. Però “la messe è molta, ma gli operai sono pochi”. Non dovremmo allora, come quel padrone della vigna, cercare operai di pace per la vigna del Signore? Allora cerchiamo il Signore nella sua Parola, come ci ha detto il profeta: “Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino. …Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie”. Cari fratelli e sorelle, questo è il tempo in cui cercare il Signore, anzi forse è il tempo in cui farci trovare da lui, che sempre cerca operai per la sua vigna, senza nasconderci dietro noi stessi, le nostre abitudini o i nostri ruoli. Lasciamoci trovare da lui, ascoltando con il cuore la sua parola perché rinnovi la nostra umanità e le nostre comunità. Ne abbiamo bisogno in questo tempo di sofferenza, di violenza e di guerra. Affidiamo al Signore chi soffre, i piccoli e i poveri, gli anziani e i malati, i giovani e le famiglie. Preghiamo in particolare per i migranti e i rifugiati in questa giornata mondiale del migrante e del rifugiato, perché siano accolti e curati. Su tutti si riversi la benedizione di Dio e il suo amore gratuito che siamo chiamati a condividere. Sono contento di dirvi che la Caritas della nostra diocesi accoglierà a Fiuggi una famiglia di profughi provenienti dalla Siria che arriveranno a Fiumicino giovedì 28 grazie ai Corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio. Sono il segno della generosa accoglienza che già tante nostre comunità stanno vivendo verso donne e uomini che sono arrivati nel nostro Paese,

L’omelia del vescovo Ambrogio nella Messa a conclusione dell’assemblea pastorale diocesana

XXV Domenica T.O. (anno A) Isaia 55,6-9; Filippesi  1,20c-24.27°; Matteo 20,1-16 Care sorelle e cari fratelli, concludiamo nella nostra Cattedrale l’Assemblea Diocesana che ci ha visto riuniti in questi due giorni. Essere insieme come sorelle e fratelli ci fa gustare la gioia e la bellezza di essere Chiesa, un unico popolo, comunità di comunità, che non vivono per sé stessi o nella cerchia delle proprie abituali frequentazioni, ma che accettano di condividere la loro vita e la loro fede in maniera larga, in una famiglia senza confini ed esclusioni. La tentazione quotidiana, infatti, è sempre e ovunque quella di costruirsi un mondo a propria immagine o a immagine delle certezze che ognuno di noi si è fatto nel tempo. Ma i tempi cambiano e la Parola di Dio ci chiede di vivere la nostra fede nel tempo in cui siamo accettando di cambiare noi stessi, rispondendo ai segni dei tempi che riusciamo a vedere e a capire, come abbiamo cercato di fare ieri nel nostro dialogare. Il Signore viene di nuovo in mezzo a noi, come fece secondo la parabola, alla ricerca di operai per la sua vigna. Spende tutta una giornata a cercare operai. Dio è instancabile. Ha bisogno di donne e uomini che accolgano la sua chiamata per lavorare per lui e con lui. Così è avvenuto anche nella nostra vigna. Quegli operai sono gente comune, non persone speciali né qualcuno che riceve una chiamata particolare, come possono essere nella Chiesa i sacerdoti o i consacrati e le consacrate. Quindi si parla di noi tutti. Ognuno riceve la chiamata a lavorare nella vigna del Signore, senza esclusioni. Alla fine del giorno trova pure persone a cui nessuno aveva proposto un lavoro, un impegno. Quante gente vive attorno a noi, a cui noi non abbiamo forse mai parlato, a cui non abbiamo mai rivolto l’invito a lavorare con noi nella vigna del Signore. A volte ormai li abbiamo del tutto dimenticati. Pensiamo che non siano interessati! Ma tu ci hai mai parlato, li hai mai ascoltati o solo giudicati ed esclusi? La parabola sottolinea che il Signore non fa neppure distinzione tra chi è arrivato fin dalla prima ora e chi è arrivato al termine della giornata. Questo, cari amici, ci mette tutti alla pari e ci libera dai soliti e abituali giudizi con cui guardiamo gli altri e li giudichiamo secondo i nostri criteri e le nostre preferenze e simpatie, escludendo e includendo come ci piace. L’atteggiamento di quel padrone sorprende, soprattutto quando dà la stessa paga al primo e all’ultimo arrivato. Eppure, non avevano lavorato le stesse ore. Non avremmo anche noi mormorato e considerata quella decisione ingiusta come fecero i primi arrivati? Non mormoriamo anche noi quando cominciamo a fare confronti all’interno delle nostre comunità o della vita quotidiana, pretendendo di avere di più, di essere considerati di più rispetto ad altri, che forse giudichiamo meno generosi e impegnati di noi? Cari amici, il Signore vuole affermare qualcosa di essenziale per tutti, indipendentemente da chi siamo e dal nostro impegno o dal nostro ruolo: ciò che ricevi nella vigna del Signore, nella tua comunità o altrove, è sempre segno della bontà gratuita e della misericordia di Dio. È la grazia che riceviamo ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio e la viviamo. È questa l’unica ricompensa che rende felici, perché ci fa gustare l’amore di Dio, fa vivere, fa crescere, fa vivere insieme come sorelle e fratelli, senza continui confronti e giudizi come avviene spesso anche nelle nostre comunità. Ci potremmo però chiedere: che significa essere operai della vigna? Qual è il nostro lavoro? Che cosa possiamo proporre agli altri? Nel capitolo decimo del Vangelo di Luca Gesù chiamò altri 72 discepoli e li mandò a due a due in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Erano misti. Gente normale. Disse loro: “pregate … andate” senza portare troppe cose con voi per non appesantirvi …e “dite” in ogni casa: “Pace a questa casa”. Ecco, cari amici, il lavoro degli operai della vigna: dire pace, essere operai di pace in questo tempo violento e diviso, litigioso e arrogante. Sì, ci manda come “agnelli in mezzo ai lupi”, cioè miti in mezzo alla violenza e alla prepotenza. Ma gli agnelli hanno la forza della Parola di Dio, del Vangelo della pace, dell’amore di Dio e della loro fraternità. Infatti, non li mandò da soli, ma a due a due, per sostenersi e aiutarsi. Però “la messe è molta, ma gli operai sono pochi”. Non dovremmo allora, come quel padrone della vigna, cercare operai di pace per la vigna del Signore? Allora cerchiamo il Signore nella sua Parola, come ci ha detto il profeta: “Cercate il Signore mentre si fa trovare, invocatelo mentre è vicino. …Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie”. Cari fratelli e sorelle, questo è il tempo in cui cercare il Signore, anzi forse è il tempo in cui farci trovare da lui, che sempre cerca operai per la sua vigna, senza nasconderci dietro noi stessi, le nostre abitudini o i nostri ruoli. Lasciamoci trovare da lui, ascoltando con il cuore la sua parola perché rinnovi la nostra umanità e le nostre comunità. Ne abbiamo bisogno in questo tempo di sofferenza, di violenza e di guerra. Affidiamo al Signore chi soffre, i piccoli e i poveri, gli anziani e i malati, i giovani e le famiglie. Preghiamo in particolare per i migranti e i rifugiati in questa giornata mondiale del migrante e del rifugiato, perché siano accolti e curati. Su tutti si riversi la benedizione di Dio e il suo amore gratuito che siamo chiamati a condividere. Sono contento di dirvi che la Caritas della nostra diocesi accoglierà a Fiuggi una famiglia di profughi provenienti dalla Siria che arriveranno a Fiumicino giovedì 28 grazie ai Corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio. Sono il segno della generosa accoglienza che già tante nostre comunità stanno vivendo verso donne e uomini che sono arrivati nel

Il vescovo ad Anagni: San Magno modello per vivere insieme e in pace

San Magno – Anagni Sapienza 3,1-9; Giacomo 1,2-4.12; Matteo 10,28-33 Cari fratelli e sorelle, celebriamo la festa di San Magno, vescovo e martire, patrono di questa nostra città, che racchiude in sé luoghi, come questa Cattedrale, che testimoniano una vita cristiana che ha accompagnato generazioni di donne e uomini. Voi conoscete certamente le vicende di San Magno, vescovo di Trani, e della sua predicazione del Vangelo ad Anagni e del suo martirio nell’anno 251. Quando veneriamo i santi, dobbiamo sempre ricordarci il tempo in cui essi hanno vissuto e testimoniato il Vangelo, a volte fino al dono della vita, come avvenne per il nostro patrono. Il Vangelo di Gesù infatti contrastava fin da allora un mondo a volte belligerante e violento, i cui governanti si sentivano messi in discussione da una Parola che proclamava la giustizia, una fraternità che includesse sudditi e potenti, schiavi e liberi, poveri e ricchi, cittadini romani e stranieri. Allora come oggi questo Vangelo non poteva che suscitare interrogativi e opposizioni fino alla condanna a morte, al martirio. E le persecuzioni furono numerose e continue nei primi secoli del cristianesimo, e continuano anche oggi in diversi Paesi del mondo. Ogni volta si crede così di mettere a tacere il Vangelo, ma, come abbiamo ascoltato nel libro della Sapienza: “Agli occhi degli stolti (i giusti) parve che morissero, la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace”. Cari fratelli e sorelle, il nostro patrono ci interroga. Egli fu vescovo e martire. Vescovo, cioè pastore, chiamato a prendersi cura degli altri, soprattutto di chi è disperso e si è smarrito, di chi è ferito, malato, di chi è rimasto indietro, perché il popolo che gli è stato affidato possa camminare insieme. San Magno allora ci interroga: non dovremmo essere anche noi uomini e donne che, mentre sono in festa per lui, ne traggono un modello per la loro vita? Non dovremmo anche noi vivere prendendoci cura degli altri?  Qui non si tratta solo di chi ha delle responsabilità nella Chiesa e o nella società civile, ma di tutti. Quanto sentiamo la responsabilità di prenderci cura gli uni degli altri, a cominciare dai sofferenti e dagli esclusi? O pensiamo sempre che tocchi agli altri vivere questa preoccupazione? Non dovrebbero le nostre comunità parrocchiali, diocesane, cittadine, mettere al primo posto questa preoccupazione e scegliere questo impegno facendo crescere l’attenzione agli altri, soprattutto a chi soffre o vive un momento difficile in questo tempo di crisi? Non dovremmo abbandonare quel facile e istintivo modo di vivere, che mette al primo posto se stessi, il proprio tornaconto, .a propria visibiltà e la propria affermazione, invece del bene comune? E quante volte avviene sia a livello individuale che collettivo! Come faremo a vivere insieme se non sappiamo rinunciare a nulla di noi stessi per il bene di tutti, o se in ogni scelta vogliamo sempre che sia a nostro vantaggio o del nostro gruppo? L’amore, cari amici, lascia sempre spazio all’altro, altrimenti vuol dire che ami solo te stesso. Ma quanta prepotenza, quanto egoismo nella vita di ogni giorno! Oggi San Magno vorrebbe che ognuno capisse che la felicità viene dal dare più che dal ricevere, e che per dare si deve essere umili per avere occhi e cuore per vedere il bisogno degli altri. Certo, vivere così non è facile. Sono convinto tuttavia che in ognuno di noi, come in ogni donna e ogni uomo, ci sia il desiderio del bene. Si deve solo vedere e tenere vivo questo desiderio, lasciarlo crescere nelle nostre parole, nei gesti, nelle scelte di ogni giorno, in quello che diciamo o scriviamo, magari sui social, per insultare qualcuno o sostenendo che ognuno può dire ciò vuole senza preoccuparsi di danneggiare gli altri. E poi si deve imparare a cogliere il bene anche negli altri, lasciando da parte un modo scontato di vedere e giudicare. Chissà perché, infatti, l’istinto ci fa sempre vedere nella vita dell’altro il difetto, il male, quello che non ci piace, Gesù direbbe la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma non la trave nel nostro. Così vorremmo che il mondo cambiasse, ma ovviamente non cominciando da noi, ma dagli altri. Il martire aveva capito che solo con la certezza e la forza dell’amore di Dio e le scelte conseguenti avrebbe potuto cambiare quel mondo, il suo mondo. Cari fratelli e sorelle, il Signore ci custodisce, si occupa di noi, ci tende la mano. Lo abbiamo ascoltato nel Vangelo: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Persino i capelli del vostro capo sono tutti contatti. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri”. Questa certezza è la forza dei martiri, che non rinunciarono a vivere la gioia del Vangelo neppure davanti alla minaccia della morte. “Non abbiate paura” allora di dare con gratuità, senza sempre pretendere! Non abbiate paura di amare con generosità e larghezza! Solo così renderemo il mondo più umano e più giusto. Solo così potremo prenderci cura dei piccoli, dei fragili, degli anziani, dei poveri, dei migranti, e saremo felici. Solo così, imitando san Magno, potremo costruire qui e ovunque un mondo dove si possa vivere insieme senza guerre e violenza, senza prepotenza ed egoismi, un mondo di fratelli e sorelle, dove nessuno sia più escluso e abbandonato. E’ accettabile un mondo in cui gli anziani non possano vivere a casa loro o una società che non si preoccupa che i giovani abbiano un futuro nella terra dove sono nati? E’ pensabile un mondo che lascia morire i migranti pensando che la colpa sia solo di chi li lascia partire o dei trafficanti di esseri umani, che ovviamente hanno le loro gravi colpe? Quest’anno ne sono morti nel Mediterraneo circa 2000! E’ accettabile un mondo che, nonostante la brutalità delle guerre del passato, pensi ancora alla guerra come unica via alla pace? Vogliamo un mondo fraterno a cominciare da noi stessi e dal nostro

Il vescovo ai giovani della Gmg: «La vita è incontro, non realtà virtuale»

La vita è un incontro, è un insieme di relazioni «e questo pellegrinaggio che state per compiere verso Lisbona è un segno proprio di quello che dovrebbe essere la vita tutta, e non solo la vita della Chiesa, uscendo dai nostri piccoli mondi e pensando che questi rappresentino il centro di tutto». Così il vescovo Ambrogio Spreafico nella serata di venerdì 21 luglio si è rivolto ai giovani delle diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri che dal 1° al 9 agosto saranno in Portogallo per la Gmg mondiale. La consegna del mandato ad una rappresentanza dei 53 giovani che andranno a Lisbona (alcuni ragazzi erano infatti assenti alla serata perché impegnati nelle attività estive di parrocchie e associazioni) ha rappresentato proprio un momento di incontro, oltre che di preghiera, nella chiesa di Santa Maria Goretti a Frosinone. Nel suo saluto ai presenti, il presule ha rimarcato la necessità di liberarsi «dei tanti io in cui oggi pensiamo di trovare realizzazione, compresi quei giovani tra i 25 e i 35 anni che in tutto il mondo e in Italia, dove sono circa centomila, hanno scelto di vivere separati, fuori dal mondo, collegati solo con i social. Ma la vita non è una realtà virtuale, la vita è incontro, è vivere davvero la realtà, stare insieme, condividere, rispondere con gentilezza, aiutare chi soffre e ha bisogno. Queste sono le cose che esprimono la bellezza della vita della Chiesa ma anche e soprattutto dell’umanità». L’invito di Spreafico ai giovani che andranno alla Gmg è stato quindi quello di «costruire il futuro insieme, perché andare verso un luogo, come voi vi apprestate a fare, è sempre una scelta. E questo uscire dal nostro mondo è anche il senso del pellegrinaggio, proprio come fece Abramo che uscì dalla sua terra senza neppure sapere dove doveva andare, ma fidandosi di Gesù». In Portogallo, dunque, per un incontro che poi duri per tutta la vita e per veder germogliare quel seme, ha aggiunto monsignor Spreafico rifacendosi alla figura del seminatore, che il Signore ci dona, «un seme che germoglia ed è anche segno di grande speranza, perché il Signore vuole irrorare il nostro cuore e non cessa mai di far cadere il seme nella nostra vita. Dobbiamo accoglierlo, perché questo seme arricchisca anche le nostre comunità». La serata – che peraltro si può rivivere sui social diocesani anche con un video realizzato da Filippo Rondinara – è poi proseguita con varie indicazioni tecniche e logistiche (i ragazzi delle due diocesi ad esempio alloggeranno presso alcune famiglie in una località poco distante da Lisbona) fornite da Andrea Crescenzi, della pastorale giovanile di Frosinone, che coordinerà la spedizione di questi 53 giovani, molti dei quali peraltro alla prima esperienza di Gmg, coadiuvato da Simona Mastrantoni, Ilaria Fiorini, Elisa Finocchi, Carlo Cerasaro, dei seminaristi Federico Mirabella, Lorenzo Ambrosi e Lorenzo Sabellico, e con la… supervisione, anche e soprattutto spirituale, di don Francesco Frusone, don Francesco Paglia e suor Silvia Jaku. È buon pellegrinaggio a tutti! Igor Traboni

L’Azione Cattolica in festa con le famiglie. Il messaggio del vescovo

Il fatto di esserci, di incontrarsi, di ritrovarsi tutti insieme, di riconoscersi come parte di una realtà che esiste proprio grazie all’esistenza di ognuno: è questo che ha mosso ancora una volta l’Azione cattolica diocesana a organizzare e poi a tenere la Festa della famiglia, con un percorso preparatorio, voluto dalla presidenza diocesana, che si è articolato in tre “missioni possibili”: la missione “in”, corrispondente alla dimensione della vocazione; la missione “con”, coincisa con la dimensione della comunità; la missione “per”, che si è identificata nella dimensione della missionarietà. E così a Fiuggi, presso l’Istituto santa Chiara, si sono ritrovati in tanti, provenienti da varie parrocchie della diocesi dove è presente Ac, insieme all’assistente spirituale diocesano don Walter Martiello, rispondendo pertanto all’invito, rivolto ancora dalla presidenza diocesana, ad essere coraggiosi “perché Gesù conta su di voi e ci invita a vivere con coraggio assumendo in tutti gli ambiti della vita quotidiana, a servizio del carisma della Chiesa, lo stile di Dio fatto di vicinanza, compassione e tenerezza”. Una festa impreziosita anche da una lettera che il vescovo Ambrogio Spreafico, impossibilitato a partecipare per altri impegni, ha comunque fatto pervenire all’Azione cattolica diocesana tutta. “La vostra festa annuale – ha scritto tra l’altro il presule – vi raccoglie come parte di una realtà radicata in questa terra, che esprime impegno e la vocazione a non vivere la fede in modo individuale, ma come comunione di amore. I tempi che viviamo sono complessi e a volte difficili. Siamo al primo posto tra i paesi dell’Unione Europea per numero di Neet (Not in Education, Employment or Training), cioè giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano né fanno corsi di formazione (19%). Non è una buona notizia. I tempi che viviamo, l’uso eccessivo dei social, la paura del futuro, il pessimismo, abituano a una vita solitaria e all’attesa passiva di qualcosa che riempia il presente e il futuro. Ma, cari amici, in tempi difficili si deve cercare una risposta che nutra anzitutto la nostra umanità a partire dalla riscoperta della forza della Parola di Dio, perché essa getta una luce sul presente e ci fa immaginare e quindi costruire il futuro”, concludendo con un auspicio: “Il Signore vi accompagni nel vostro impegno, per il quale vi ringrazio di cuore, e vi benedico perché siate artigiani di pace e protagonisti di bene e di amore, per costruire un mondo dove riconoscerci come sorelle e fratelli di una grande famiglia universale”. (nelle foto: alcuni momenti della festa con i partecipanti più piccoli; la presidente diocesana Concetta Coppotelli e l’assistente diocesano don Walter Martiello).

Mons. Spreafico a Carpineto: «La memoria di Leone XIII risvegli la condanna della guerra»

Nella giornata di giovedì 4 maggio, Carpineto Romano ha ospitato il quarto convegno nazionale dedicato al pontefice della “RerumNovarum”, sul tema “Leone XIII – Principe della pace”, organizzato dalla Commissione regionale pastorale sociale e lavoro della Conferenza episcopale del Lazio e dalla diocesi di Anagni-Alatri. I lavori sono stati introdotti da Claudio Gessi, direttore della Pastorale sociale e del lavoro del Lazio, e hanno visto la relazione centrale del prof. Vincenzo Buonomo, rettore dell’Università Lateranense, dopo l’introduzione di mons. Ambrogio Spreafico vescovo di Anagni-Alatri. Sono intervenuti anche i vescovi Gianrico Ruzza, delegato Cel per la pastorale sociale e del lavoro, e Vincenzo Apicella, emerito di Velletri-Segni; il sindaco di Carpineto, Stefano Cacciotti, l’assessore alla cultura, Emanuela Massicci, il parroco don Gianni Macali e Pasquale Tucciariello, direttore del Centro studi Leone XIII di Rionero in Vulture. Di seguito pubblichiamo integralmente il testo dell’intervento del vescovo Ambrogio Spreafico: —————- Vincenzo Gioacchino Pecci, futuro Cardinale e poi Papa,  fu davvero uomo di pace in tempi non facile e di grandi cambiamenti. Uomo colto, da sempre attento ai problemi sociali e alla giustizia sociale, fin da quando viene inviato come Delegato Apostolico nella provincia di Benevento poi a Perugia, dove tornerà come arcivescovo, apprezzato Nunzio Apostolico a Bruxelles, finché nel 1877, appena creato cardinale da Pio IX, diviene Segretario di stato. Nella storia del suo servizio alla Chiesa racchiude quella cultura che lo rende capace di interpretare le vicende dei luoghi dove si trova cercando ogni volta attraverso la relazione sincera con tutti di rispondere alle situazioni in cui si trova. Per questo non trova nessuna difficoltà a ricevere quei 44 voti su 61, che gli affidano la guida della Chiesa cattolica dopo 36 ore di conclave. Erano tempi difficili soprattutto in Italia dopo la breccia di Porta Pia e l’atteggiamento ostile del primo governo del Regno d’Italia. Leone XIII tuttavia guarda alla Chiesa come portatrice di cultura e di nuove scelte davanti ai nuovi problema che si affacciano. Possiamo dire credo con convinzione che in lui si evidenzia il continuo impegno perché l’affermazione della verità evangelica possa diventare latrice di cultura e di scelte concrete, che riguardano la società e il mondo. Ne è espressione riconosciuta la Rerum novarum, considerata la prima enciclica sociale, testo di una Chiesa che si interroga in maniera sistematica su come la “Verità” cristiana possa incidere sulla realtà e sui problemi di attualità. Infatti, l’esplosione della questione operaia, che era stata affrontata dal comunismo secondo una propria analisi e con proprie soluzioni, interroga la Chiesa, la quale non può esimersi dal comunicare il suo punto di vista. L’incipit dell’enciclica spiega l’urgenza di questo approccio del Pontefice: “L’ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine simile dell’economia sociale. E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell’industria; le mutate relazioni tra padroni ed operai; l’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l’unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l’aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto. Il quale è di tale e tanta gravità che tiene sospesi gli animi in trepida aspettazione e affatica l’ingegno dei dotti, i congressi dei sapienti, le assemblee popolari, le deliberazioni dei legislatori, i consigli dei principi, tanto che oggi non vi è questione che maggiormente interessi il mondo. Pertanto, venerabili fratelli, ciò che altre volte facemmo a bene della Chiesa e a comune salvezza con le nostre lettere encicliche sui Poteri pubblici, la Libertà umana, la Costituzione cristiana degli Stati, ed altri simili argomenti che ci parvero opportuni ad abbattere errori funesti, la medesima cosa crediamo di dover fare adesso per gli stessi motivi sulla questione operaia. Trattammo già questa materia, come ce ne venne l’occasione più di una volta: ma la coscienza dell’apostolico nostro ministero ci muove a trattarla ora, di proposito e in pieno, al fine di mettere in rilievo i principi con cui, secondo giustizia ed equità, si deve risolvere la questione. Questione difficile e pericolosa. Difficile, perché ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari, tra capitale e lavoro. Pericolosa perché uomini turbolenti ed astuti, si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli.” Questa attenzione al sociale si manifesta anche altrove nel magistero del pontefice. Nel giugno del 1894 viene pubblicata la Lettera Apostolica Praeclara gratulationis, che in un certo senso si collega alla Rerum novarum, dove sempre all’inizio Leone XIII fa riferimento alle numerose attestazioni di stima pervenute in Vaticano dopo la sua elezione a papa. Ciò fa parte del suo modo di intendere il ministero petrino come missione universale, che non può non tener conto delle buone relazioni con i governi degli altri Paesi. La Lettera è rivolta ai cristiani di ogni confessione per invocare il ritorno all’unità, tuttavia senza dimenticare tutti coloro che non sono stati raggiunti dalla fede in Cristo, che vengono chiamate come “le genti più misere di tutte, quelle che in nessun modo accolsero la luce di Cristo”. Certo siamo lontani dalle parole del Vaticano II e del postconcilio Ma la Lettera apostolica contiene un anelito e un desiderio che indubbiamente immette nella storia del suo tempo una preoccupazione e un interesse che ancora mostrano lo spirito di Leone XIII: giustizia sociale, carità, unità e pace emergono anche in questo scritto. Proprio nell’ultima parte il pontefice rivolge un appello accorato perché cessino le guerre e l’Europa costruisca la pace, dove sembra di vedere un nesso, non certo esplicito, tra unità dei cristiani e unità della famiglia umana, e quindi pace e progresso sociale, aspetti che oggi fanno parte del magistero della Chiesa, soprattutto delle parole di papa Francesco, e che hanno caratterizzato soprattutto le cosiddette encicliche sociali. Leggiamo: “Abbiamo davanti agli occhi la situazione dell’Europa. Già da molti anni si vive in una pace più apparente che reale. Dominate da reciproci sospetti, quasi