Il Vescovo alla Santissima: «Anche noi possiamo essere “grandi” perché servi nell’amore»

Anche il vescovo Ambrogio Spreafico tra i primi pellegrini a tornare al santuario diocesano della Santissima Trinità di Vallepietra, dopo l’esecuzione dei lavori di messa in sicurezza a seguito del ferimento nel maggio scorso di un giovane fedele colpito da un masso staccatosi dalla montagna. Il vescovo ha celebrato Messa giovedì 25 luglio, a 24 ore dalla riapertura del luogo sacro, nel giorno della festa liturgica di San Giacomo e alla vigilia di quella di Sant’Anna, particolarmente venerata dai fedeli che salgono alla Santissima.«Siamo molto contenti di essere tornati qui – ha detto Spreafico all’inizio della Messa – e ringraziamo il Signore che ci aiuta a ritrovare il senso della comunità attorno all’altare della mensa eucaristica».Nel corso dell’omelia, il vescovo di Anagni-Alatri, prendendo spunto dal Vangelo del giorno, ha ricordato come «oggi ci sono tanti dominatori nel mondo, da quelli che conosciamo ai piccoli prepotenti che magari sfruttano gli altri con la piaga del caporalato e ce ne accorgiamo solo quando ci sono fatti di cronaca, che assoggettano i giovani con lo spaccio di droga. E qualche volta anche nelle nostre comunità possono esserci delle persone che pensano di avere dei piccoli poteri. Ma non è questa la vita dei discepoli di Gesù, che ci ricorda invece che chi vuole essere grande deve farsi servo. Ecco, Gesù ci dice che bisogna essere “grandi” ma per realizzarci nell’umanità, non per essere prepotenti. Servo è colui che ascolta il Figlio di Dio che ci vuole far crescere nella nostra umanità, come sorelle e fratelli». E invece, ha aggiunto Spreafico, il mondo sembra andare in tutt’altra direzione: «Oggi c’è poco rispetto degli altri, siamo sempre lì pronti a giudicare, a parlar male, a scrivere male degli altri. Ma il vero servo è colui che si accorge del bisogno dell’altro e si mette a disposizione, senza pretendere niente. E’ colui che lava i piedi come ha fatto Gesù, chinatosi su di noi e che tutti ci conosce per nome, sa delle nostre fatiche, dei dolori, ma anche delle attese, delle speranze. Gesù ci dice che la nostra grandezza è quella di metterci a servizio e questo può renderci felici», ha aggiunto il vescovo, ricordando quindi la figura del buon samaritano «che ebbe compassione e si fermò, anche se aveva da fare. Invece noi oggi abbiamo sempre fretta, abbiamo sempre qualcosa da fare. Ma se vedete una persona triste, sola, fermatevi: questo guarisce anche il nostro egoismo e ci aiuta a farci “grandi” perché servi».Il vescovo Spreafico è quindi tornato sulla riapertura del santuario della Santissima Trinità, ringraziando tutti colori che si sono adoperati per la messa in sicurezza come ha fatto poi anche il rettore monsignor Alberto Ponzi, rivolgendo un invito ai fedeli: «E’ bello essere qui, passare davanti alla bella immagine della Santissima Trinità che ci guarda negli occhi, ma facciamoci davvero guardare, usciamo da quella cappellina diversi, perché in quegli occhi c’è lo sguardo di Dio che ci dice: anche tu devi cambiare, puoi farti servo e per questo grande, un uomo vero che realizza se stesso nell’amore e nella condivisione». Il vescovo ha poi tratteggiato la figura di sant’Anna, rifacendosi alla sua tenera maternità: «Ci ha donato la madre del figlio di Dio e noi tutti, anche noi uomini, dobbiamo imparare ad essere un po’ madri, ad amare come amano le madri, perché l’amore è pazienza e se invece fai il prepotente non ottieni niente. Sant’Anna ci protegga perché anche noi possiamo essere “madri” di tanti e possiamo aiutare i nostri giovani a costruire un mondo più fraterno». Al termine della celebrazione il vescovo ha quindi ricordato il suo recente breve viaggio a Gerusalemme, sottolineando il dolore e la sofferenza incontrati e invitando tutti a pregare per la pace «magari al mattino appena svegli: un segno di croce e una preghiera per la pace: Sant’Anna, che veniva proprio da quella terra, ne sarebbe contenta». La Messa è stata celebrata nella chiesa sotterranea al coperto, stante il divieto, sempre per quei motivi di sicurezza che tutti i fedeli sono tenuti a rispettare, di sostare in alcune aree all’aperto del santuario. di Igor Traboni

Il vescovo in visita al Centro estivo “Al Sicomoro” di Fiuggi

Il vescovo Mons. Ambrogio Spreafico nella mattinata di mercoledì 3 luglio ha fatto visita al Centro estivo “Al Sicomoro”, presso la chiesa Regina Pacis di Fiuggi.Il Centro ospita numerosi bambini e ragazzi di tutte le età che, con i loro educatori, vivono il periodo estivo all’insegna del gioco, dello sport, dell’amicizia e della preghiera.Il Vescovo, accolto dal parroco padre Enzo Iannacone, ha presieduto un momento di preghiera ricordando a tutti che si può vivere insieme in pace e senza guerra.Mons. Spreafico si è poi soffermato sulla bellezza della diversità, dicendo tra l’altro che anche se siamo tutti diversi possiamo essere tutti amici, così come Gesù che ha voluto accanto a sé degli amici per stare insieme come comunità. Insieme possiamo costruire la pace come veri fratelli, il Sicomoro è proprio questo: vivere insieme un cammino di fede e di amicizia.

«Il Signore è il Dio della vita»: l’omelia del vescovo Ambrogio nella Messa per la professione perpetua di suor Evelyne

Questo il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio Spreafico nella celebrazione per la Professione perpetua di Sr. M. Evelyn (Cistercensi della carità), in Anagni, domenica 30 giugno 2024 Sorelle e fratelli, concludiamo il giorno del Signore con la professione perpetua di Sr. M. Evelyne ela benedizione del “Giardino dello sposo”, voluto da Madre Claudia come luogo di incontro con ilSignore e con la bellezza del giardino di Dio. Cara Sr. Evelyne, non poteva esserci giorno miglioreper la tua consacrazione solenne al Signore, perché nelle rose di questo giardino tu possa crescerecome rosa che profuma dell’amore di Dio.Il Signore è il Dio della vita. Lo abbiamo ascoltato nella prima lettura. E’ bene ricordarselo in unmondo pieno di morte e di violenza, che generano paura, chiusura, indifferenza, che fannodimenticare che abbiamo la responsabilità di aiutare tutti a vivere, dai piccoli che devono nascere ecrescere con la pazienza dell’amore, ai vecchi che non possiamo abbandonare come inutili, daimigranti che hanno diritto di vivere come noi fino ai giovani che spesso giudichiamo e aiutiamopoco a non crescere nell’illusione di una felicità effimera.Il Vangelo ci indica la via per come vivere, per tornare a vivere, come fece Gesù a quella donna ealla figlia di Giairo. Quella donna stava perdendo la vita (il sangue rappresentava la vita). Tutticonoscevano la situazione della donna, anche i medici a cui aveva fatto ricorso. Ma la vita nonriprendeva. Possiamo capire la vergogna di quella donna. Sì, la malattia talvolta fa vergognare,perché il corpo si indebolisce fino a diventare irreposcibile. Quella donna si confonde tra la folla,ma vuole arrivare a Gesù, almeno a toccare il lembo del mantello. Non è un gesto magico. Quellembo rappresenta il lembo del mantello della pregheria che gli ebrei indossavano. Lei sa chequell’uomo è un uomo di Dio, un uomo di preghiera. E Gesù se ne accorge. Ma come poteva contutta quella gente che si accalcava attorno a lui? Lo dicono i discepoli con grande meraviglia. Lodiremmo anche noi. Chi si accorge dei tanti che cercano guarigione, aiuto, speranza, che vorrebberoincontrare, toccare qualcuno per dire che esistono, che vorrebbero essere considerati, aiutati, guariti.Chi si accorge di loro? La folla ha sempre fretta. Noi abbiamo sempre fretta! Siamo in un mondo didistratti da se stessi, abbiamo sempre da fare. Chi se ne importa – sembra sentir dire – se tantianziani, poveri, deboli, profughi, avrebbero bisogno del tuo aiuto, avrebbero bisogno di esseresalvati? Ma così non c’è vita. E così o giovani si perdono, i vecchi muoiono soli, i migrantimuoiono nel mare o nei deserti, mentre i grandi si chiudono nella paura.Sorelle e fratelli: venite in questo giardino. Lì c’è Gesù. Lui ti può aiutare, salvare, guarire dallamalattia congenita del to io, della tua indifferenza. Fermati! Riposati! Fai come Giairo. Nonrassegnarti! Non smettere di cercare Gesù, di importunarlo con le tue parole, con la preghiera. Lui èli per ascoltarti. 2Oggi Madre Claudia vorrebbe dirti: vieni in questo giardino in un mondo di donne e uomini chenon sanno fermarsi, che non colgono il fiore della bellezza, che distruggono il creato perl’arroganza e l’affarismo dei ricchi e dei potenti. Il Signore, lo sposo, ti aspetta. Qui troverai pace,troverai parole, sentimenti, pensieri, potrai dare riposo alla tua umanità. Potrai guarire dal maledell’indifferenza e dell’egoismo, dalla paura e dalla tristezza, che ti paralizzano e ti impediscono diamare. Rendi un giardino il tuo cuore e il luogo dove vivi ogni giorno! Rendi un giardino il desertodi amore e di carità, quella per cui Madre Claudia ha voluto vivere e che ci lascia come eredità.Cara Suor Evelyne, gusta la bellezza e la gioia del giardino di Dio, dove ha voluto porre l’umanitàfin dall’inizio perché le donne e gli uomini potessero vivere insieme in pace, come sorelle e fratelli.Tu vieni dall’Uganda, un grande Paese di un continente dimenticato o sfruttato da tanti perimpossessarsi delle sue ricchezze, ma pieno di giovani, di speranze, di futuro. Preghiamo perchénon ci dimentichiamo di loro! La preghiera sia la tua forza, come indica il braccio verticale dellacroce. La fraternità e la carità la cura della tua umanità e di quella degli altri, come indica il braccioorizzontale. Non ci siano mai confini per la tua carità. Siete come Cistercensi della Carità unpiccolo fiore nel numero, ma potete essere un roseto di speranza per la vostra testimonianza diamore e di cura per i piccoli e per tutti, un seme della presenza amorevole di Dio in questo mondo.Lo auguro a voi tutte, mentre noi vi accompagneremo con la preghiera in questo luogo checustodisce la memoria di una lunga storia della Chiesa e che da oggi è arricchita da questo“Giardino dello sposo” rinnovato nella sua bellezza.

Il Vescovo al Corpus Domini: «Riscopriamo che Lui è al centro della nostra vita»

Questo il testo completo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio Spreafico per la solennità del Corpus Domini – Anagni, 2 giugno 2024 Sorelle e fratelli, ci stringiamo oggi con le nostre comunità attorno al Signore, che ancora una volta ci offre un luogo in cui possiamo ritrovarci insieme come sorelle e fratelli, resi tali dal suo corpo offerto per noi e dal sangue dell’alleanza versato per tutti. Siamo come quei discepoli, incerti e impauriti, che tuttavia accolgono l’invito del Signore, proprio prima della sua passione e morte, a celebrare la Pasqua con lui, mentre ancora non avevano neppure un posto già stabilito. Pensate, la prima Pasqua con Gesù raccontata dai Vangeli è frutto di una ricerca. Non c’era neppure un posto, anche perché la Pasqua ebraica si celebrava in famiglia, mentre nessuno di loro stava con la sua famiglia. Noi siamo abituati ad avere già tutto prefissato. Non ci mancano i luoghi. Anzi, ne abbiamo fin troppi! E talvolta i luoghi creano abitudine, ci privano di quella giusta inquietudine, che non è solo la fatica di prepararli adeguatamente (sarebbe il minimo richiesto!), quanto di preparare noi e il nostro popolo ad accedervi come a un luogo santificato dalla presenza del Signore.    Alcuni sacerdoti ricorderanno le preghiere che dovevano precedere la celebrazione dell’Eucaristia fin da quando si indossavano i paramenti sacri. Oggi a volte siamo troppo di fretta, e la fretta rischia di diminuire quella necessaria attenzione al mistero di grazia che si va a celebrare, così si cede all’improvvisazione. Cari amici, l’abitudine umilia il mistero, la forza santificatrice della celebrazione. Gli apostoli devono cercare un luogo adatto, che viene loro indicato in una casa al piano superiore con “una grande sala, arredata e già pronta”.    Quei discepoli non vissero la Pasqua con la loro famiglia di sangue, ma per la prima volta con la nuova famiglia di Gesù, quella in cui si è generati “non da sangue né da volere di carne, né da volere uomo, ma da Dio”. L’alleanza che nasce con quella Pasqua costituisce la famiglia dei fratelli e delle sorelle del Signore Gesù, morto e risorto per noi. È una famiglia senza confini e senza esclusioni, segno dell’umanità rinnovata dall’amore di Dio, in cui tutti ci riconosciamo figli di un unico Padre.    Qui noi infatti celebriamo la morte e resurrezione del Signore, forza di amore e di vita per noi e per il mondo. Nella Parola divenuta cibo per noi si nasconde la forza di una vita, da cui Dio non ha voluto escludere nessuno. Per questo l’antica sequenza che oggi si recita dice: “Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli, non deve essere gettato.” Qui ci nutriamo del pane degli angeli, che viene dato anche a noi pellegrini, donne e uomini che, come Israele, viviamo molte volte come in un deserto, a causa delle tante solitudini, della fatica delle relazioni, della poca umanità. Così talvolta ci perdiamo, preferiamo sfamarci da altre parti, rimpiangendo il cibo che perisce. Il pane dell’Eucaristia, fratelli e sorelle, ci rende figli, ci fa entrare nella famiglia di Dio. L’Eucaristia infatti fa la chiesa, fa la comunità. Da essa viene la nostra forza, da essa sgorga una nuova umanità, quella famiglia universale, senza confini, in cui tutti si possono riconoscere figli di Dio e fratelli e sorelle tra loro. Lo dice l’Apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane”. La liturgia eucaristica è sacramento di unità, avvicina chi è lontano, sana le ferite dell’inimicizia, è perdono, insegna la misericordia e la gratitudine, libera dal rancore e dall’ira, perché è comunione con il Corpo di Cristo.    Potremmo chiederci allora: ma noi che dobbiamo fare? Qual è la nostra responsabilità in un mondo in cui facilmente si affida solo agli altri la responsabilità del cambiamento, della pace e dell’unità? Mosè, concludendo l’alleanza tra Dio e il suo popolo, “prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. (Ed essi) dissero: Quanto ha detto il Signore, noi lo eseguiremo e lo ascolteremo”. Ci sorprende il fatto che il popolo dica prima “lo eseguiremo” e poi “lo ascolteremo”. Non è un invito a non ascoltare anzitutto. Anzi, è bene che noi impariamo a vivere la Parola di Dio anche quando non abbiamo ancora capito tutto e ascoltato tutto. Il Signore ci parla ed è bene che noi viviamo la sua parola, senza sempre fare i maestri, i cristiani che già credono di sapere tutto e ripetono solo se stessi, umiliando il Vangelo ridotto alle nostre abitudini e scelte. Sorelle e fratelli, in questa festa del Corpus Domini riscopriamo che solo Lui è il centro della nostra vita e la salvezza del mondo. Affidiamoci a lui, saziamoci della Parola che ci dona e del pane che ci nutre, perché possiamo essere segno e strumento di unità, di fraternità e pace per tutti. Questo siano le nostre comunità: non solo luoghi dove si ripetono riti o si ripropone se stessi, ma case dove è sempre imbandita la tavola della fraternità in cui tutti possono trovare posto ed essere felici. Camminare con Gesù per la nostra città ci renda seminatori di bene e di amore, ci dia lo stesso sguardo amorevole con cui il Signore guarda alla nostra vita. Il Signore, passando per queste vie, sia di benedizione per chi è malato, solo, anziano, piccolo o fragile, povero. Sia per tutti sorgente di amore e di pace. Amen

Chiamati ad essere samaritani. Presentato il libro “Le guarigioni nella Bibbia”

In un pomeriggio denso di significati, giovedì 30 maggio, presso il Centro pastorale di Fiuggi, è stato presentato il libro “Le guarigioni nella Bibbia”, edito da Morcelliana nella collana “Cieli aperti” e che ha tra gli autori il vescovo Ambrogio Spreafico, assieme a Maria Cristina Marazzi e Francesco Tedeschi. Alla presenza dello stesso Spreafico, vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, la presentazione, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, ha visto come primo intervento quello di Vito Grazioli, medico e fondatore di A.N.C.D.A.. Grazioli ha tracciato la valenza del libro seguendone il canovaccio dei titoli dei capitoli, a partire da quel “Perché la malattia” che «è una domanda che attraversa i secoli e va anche da Giobbe a Gesù, con il primo che fa un percorso per comprendere che Dio non l’ha abbandonato e Gesù che si farà carico della sofferenza», ha detto Grazioli, che poi ha anche parlato delle attività dell’Ancda, associazione contro il disagio e l’alcolismo che proprio a Fiuggi ha dato vita al Villaggio dell’Ottavo giorno «dove abbiamo costruito case, e non stanze, per la cura di tutta la famiglia e non solo del singolo», ha chiosato Grazioli, preannunciando peraltro che il tema del libro sarà anche quello del campo-lavoro che si terrà in agosto presso il Villaggio. La necessità di riscoprire l’opera di misericordia della visita ai malati, che poi è uno dei perni di questo libro come ricorda anche Marco Impagliazzo nella prefazione, è stata quindi sottolineata all’inizio del suo intervento da don Paolo Cristiano, docente di Teologia biblica al Leoniano di Anagni e parroco della Cattedrale di Frosinone: «Un’opera di misericordia spesso messa tra parentesi, così come quella della visita agli anziani che oggi soffrono di un’altra grave malattia: la solitudine. E questo libro ci aiuta a fermarci accanto a chi soffre, a farci samaritani. Invece oggi ci sono degli schematismi nei confronti della malattia, come quello della rassegnazione o del dire “ha smesso di soffrire”, espressioni che andrebbero abolite dal nostro vocabolario di cristiani: Dio ascolta sempre il nostro grido, non ci lascia mai soli, ci spinge ad uscire dalle nostre idee scontate e dai pregiudizi. No, la rassegnazione non è un sentimento cristiano, perché Gesù davanti alla tomba di Lazzaro si è commosso fino alle lacrime», ha rimarcato don Cristiano che poi, da fine studioso dell’Antico Testamento, ha tracciato anche dei parallelismi con quanto contenuto in alcuni libri forse poco conosciuti, da Tobia al Qoelet al Siracide. Il terzo intervento è stato affidato a Loredana Piazzai, pediatra, della Comunità di Sant’Egidio di Frosinone: «Questo libro ci parla di problemi della nostra vita, della malattia, di come affrontarla, anche di come accettare la non guarigione. E ci dà risposte che partono sempre dalla saggezza della Bibbia, che ci parla ancora oggi», ha rimarcato la Piazzai, andando anche all’etimologia di parole come guarigione «che vuol dire “riparare”» e alla sua esperienza di medico, anche in Paesi africani dove opera la Comunità di Sant’Egidio o nell’ambulatorio multiculturale di Frosinone: «Come medici siamo prima chiamati ad ascoltare il malato: se ti ascolto, ti accolgo, ti parlo, ho già fatto una parte del cammino di cura. Perché curare è preoccuparsi dell’altro. Una parte della guarigione, oltre ai farmaci, arriva proprio da questo aspetto di socialità. Come cristiani partiamo dal dolore e arriviamo alla speranza, cardine della nostra fede. Relazionarsi con gli altri è fondamentale», si è avviata a concludere la Piazzai, rimarcando come il libro «ci aiuta anche ad accettare il dolore, muovendo dalla Parola di Dio». E’ stato quindi il vescovo Ambrogio Spreafico a trarre le conclusioni, in un breve indirizzo di ringraziamento ai numerosi presenti e rimarcando quello che ha definito «il cuore del libro: Dio riconosce in ognuno di noi l’umanità. Noi siamo abitati da Dio, fatti a sua immagine e somiglianza. In ognuno di noi c’è l’impronta di Dio e, con la forza della fede e la preghiera, Gesù ce la fa ritrovare. E Dio non ci parla come vogliamo noi ma, come a Giobbe, ci fa capire  che siamo parte di quella meraviglia che è il Creato». di Igor Traboni (nella foto, da destra: il vescovo Ambrogio Spreafico, Vito Grazioli, Loredana Piazzai, don Paolo Cristiano)

“La bellezza veicolo del bene”: un successo il Festival musicale del Creato

«Avete dimostrato come la bellezza possa essere il veicolo straordinario del bene» – Così mons. Ambrogio Spreafico, vescovo delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, si è espresso a conclusione della I edizione del Festival del Creato, un’iniziativa delle due diocesi, presa nell’ambito dell’itinerario sinodale, in collaborazione con il Conservatorio Licinio Refice di Frosinone. Lunedì 27 maggio 2024, nell’Auditorium Daniele Paris del Conservatorio frusinate, davanti a 300 giovani incantati per l’emozione e la bellezza, i giovani musicisti dell’Ensemble Contemporaneo del Conservatorio hanno eseguito gli 8 brani, appositamente composti per il Festival. È stato il m° Luca Salvadori a coordinarli e a presentare le loro composizioni che sono state ispirate dal libro di Genesi, dall’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, dal libro “Il creato imperfetto” di mons. Spreafico, dalla poetessa francese Cecile Sauvage, uno commovente testo composto quando attendeva il figlio Olivier Messiaen, dal Cantico delle creature di Francesco d’Assisi. «Un insieme fulgido di bellezza e di libertà», come l’ha definito il m° Salvadori.  E questo voleva appunto essere il Festival del creato, una festa della bellezza, capace di raccontare la vita. E così Daniel Ezquerra ha presentato Vitae custodes, ispirato al Libro di Genesi, per voce recitante, flauto, clarinetto, clarinetto basso ed elettronica mentre Pierpaolo Di Stefano ha fatto ascoltare Alea marina per flauto contralto, clarinetto, clarinetto basso, vibrafono e pianoforte. Poi  Rosy Cristiano, giovane compositrice di Mignano Montelungo, ha presentato  ‘Dal Cielo al centro della Terra’ per due flauti, clarinetto, clarinetto basso, fisarmonica, pianoforte, percussioni cui ha fatto seguito Antonino Caracò con  Nature, lasse-moi mêler à ta fange su testo di Cécile Sauvage, con voce recitante, pianoforte e due percussionisti. Quindi è stata la volta di Massimiliano Piscitello con  Conversazione con un bosco per flauto, clarinetto e percussioni e di Virgilio Volante con Iter aeris per flauto, clarinetto, clarinetto basso, timpani. Le ultime due composizioni sono state quelle di Ruben Doda: Laudes Creaturarum, su testo di San Francesco d’Assisi, per voce recitante, flauto, clarinetto, clarinetto basso, fisarmonica e di Alessandro Di Maio: Bardo – Intermediate State, per video e fixed media a cura della Scuola di Musica Elettronica. Ciascun compositore ha dialogato con gli studenti presenti che venivano dal II e IV circolo di Frosinone, dall’Istituto Comprensivo di Ripi Torrice, dall’Istituto Bragaglia, dall’Itis Volta di Frosinone, dal Liceo di Ceccano, dall’Itis Don Morosini di Ferentino, dall’Istituto Superiore di Ceccano. L’Ensemble contemporaneo del Conservatorio Licinio Refice ha interpretato i brani con i flauti Elide Recine, Sofia Del Monte, il clarinetto Anastasia Ambrosetti, il clarinetto basso Piergiorgio Fabrizi, la fisarmonica Edoardo Gemmiti, le percussioni Giuseppe Iazzetta e Giammarco Madia, il pianoforte: Antonino Caracò  e Virgilio Volante, le voci recitanti Cristina Conflitti e Adriano Testa. Il Festival è stato coordinato dal m° Luca Salvadori, insieme al m° Riccardo Santoboni e al m° Maurizio Giri, in collaborazione con le classi di Canto, Flauto, Clarinetto, Fisarmonica, Percussioni, Pianoforte, Storia della musica. In sala, insieme al vescovo, erano presenti il direttore del Conservatorio, il m° Mauro Gizzi e varie altre personalità. Nel salutare tutti i giovani intervenuti, mons. Spreafico li ha ringraziati per l’impegno profuso nella composizione e nell’esecuzione dei brani e anche per il coraggio di misurarsi su temi così importanti ma ha voluto complimentarsi anche con il pubblico dei ragazzi che ha mostrato grande attenzione ed interesse di fronte alle proposte artistiche. «Non rinunciate mai a pensare – ha concluso – è la cosa più importante che abbiamo insieme alla cultura e allo studio». Il vescovo ha anche proposto di realizzare una pubblicazione del Festival del Creato, con il video, le partiture e i testi che sono stati utilizzati. di Pietro Alviti link dell’evento:https://youtube.com/live/Kkv1t7m4PXM?feature=share  foto Vittoria D’Annibale

Il vescovo ai giovani: «Connessi alla vita, perché ci piace!»

Molto partecipata e sentita è stata la veglia di Pentecoste dei giovani con il vescovo Ambrogio, tenutasi nella serata di venerdì 17 maggio presso la chiesa del Sacro Cuore, a Frosinone. Nel piazzale antistante la chiesa, si sono dapprima ritrovati circa 300 giovani provenienti da varie parrocchie, associazioni e movimenti delle diocesi di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino, attorno ad un grande braciere, per una serie di invocazioni, canti e preghiere allo Spirito Santo. In maniera altrettanto semplice, ma ben strutturata, la veglia è poi proseguita all’interno della chiesa, seguendo il tema scelto per la serata, ovvero “AscioltiAMOmoci”, con quelle tre lettere che aprono alla più grande parola ‘amore’ messe in bella evidenza. Il vescovo Ambrogio Spreafico si è poi rivolto ai giovani presenti con una riflessione, mettendo subito in risalto la bellezza della serata – organizzata dalle pastorali giovanili e vocazionali delle due diocesi – e dello stare insieme: «Ognuno di noi ha le sue fatiche, debolezze, sogni, ma adesso stiamo insieme, e non solo connessi in chat. Siamo insieme fisicamente, e non è una cosa da poco! Tante volte uno pensa di stare insieme ad un altro solo perché è connesso, ma non è così; questa di stasera è la vita vera: incontrarsi, parlarsi, pregare insieme. Noi vogliamo essere connessi alla vita perché ci piace!», ha rimarcato il vescovo, calamitando ancor di più l’attenzione dei giovani, per poi aggiungere: «Lo Spirito Santo è presenza di amore nella nostra vita, ci dà la forza di costruire qualcosa di bello nel mondo. Ma il mondo non cambia se non cambiamo noi. E la forza ci viene anche dal Vangelo che ci parla quando lo ascoltiamo, per poi mostrarci agli altri come un segno. Questa è la vita dei cristiani e di tutta l’umanità. Noi crediamo che incontraci ci aiuta, ci dà speranza per costruire un mondo nuovo. Abbiamo bisogno di pace, di dialogare con gli altri. Insieme siamo una forza di amore e di pace», ha concluso Spreafico. Un incontrarsi che poi è continuato per molti dei giovani: chi con una pizza, chi con un gelato e chi ancora con un cornetto. Ma sempre insieme! Igor Traboni

Mons. Spreafico alla veglia per le vocazioni: «Dio chiama tutti. E asciuga le nostre lacrime»

Il vescovo Ambrogio Spreafico ha presieduto la veglia per le vocazioni, tenutasi nella serata di mercoledì 24 aprile nella chiesa parrocchiale di Tecchiena Castello e organizzata dalla Pastorale giovanile e da quella vocazionale della diocesi, con i rispettivi responsabili don Luca Fanfarillo e don Pierluigi Nardi e i componenti della Consulta diocesana dei giovani, alla presenza tra gli altri del parroco don Giorgio Tagliaferri, di altri sacerdoti, del diacono Giovanni Straccamore, di un nutrito gruppo di giovani provenienti soprattutto dalle zone limitrofe e da numerosi parrocchiani del Castello, che hanno anche ben animato la veglia con dei canti tutti dal risvolto vocazionale. «La profezia è visione, è capacità di andare oltre e di vedere oltre il nostro mondo – ha esordito il vescovo, prendendo spunto da un brano del libro dell’Apocalisse di San Giovanni letto poco prima – Ma noi spesso non sappiamo andare oltre perché il mondo cambi. Siamo schiacciati sul passato, sulle guerre, sulla violenza che riguardano anche le nostre strade, le nostre vite, e non solo Gaza, il sud di Israele e l’Ucraina. Eppure ci può essere un andare oltre che Dio vede con noi: se cominci a guardare oltre te stesso, Dio ti parla. Ma se te ne stai sempre lì ranicchiato su te stesso e non alzi mai lo sguardo e vai oltre, questo non succede». Monsignor Spreafico ha quindi invitato i presenti ad ascoltare la voce di Dio «una voce che diventa presenza nelle nostre vite, che diventa chiamata alla vocazione nelle sue diverse forme, perché Dio chiama tutti. E questa voce diventa promessa e asciuga le lacrime, perché tanto è il dolore del mondo, che vediamo anche vicino a noi. Ma finché non si assume il dolore dell’altro, continueremo sempre a vederlo come un nemico; finché non vedremo un uomo e una donna che hanno bisogno del tuo amore, non ci sarà mai pace e fraternità». Il vescovo Spreafico ha poi esortato a ad incontrare la voce di Dio soprattutto nella sua Parola, ricordando – sempre con riferimento alla lettura prima declamata – «che anche a noi viene chiesto di scrivere qualche pagina del nostro incontro con Dio, perché Lui passa, ci chiama e ci dice ‘vieni’, non startene lì rinchiuso nel tuo ‘io’ che non porta da nessuna parte, che non ti serve a niente». Un ultimo passaggio è stato dedicato dal vescovo ancora una volta al tema delle vocazioni: «Qualsiasi vocazione non deve mai essere individuale, ma va vissuta nella comunità. Un prete individualista, un laico individualista, è una persona che non ha accolto quell’invito ‘vieni’. E ci viene chiesto invece di farlo con le nostre comunità. Le nostre vocazioni, nella loro diversità, devono rispondere proprio a questa chiamata di Dio». La veglia, dal titolo “Creare casa”, ha poi avuto altri momenti forti: l’intronizzazione della Parola, portata all’ambone; la recita del Salmo 84 a due cori; l’adorazione e la riflessione silenziosa, accompagnata da un brano della “Christus vivit” di papa Francesco (“Creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, meno indifferenti e anonimi”); l’offerta dell’incenso; la recita della preghiera per la pace, scritta in occasione di questa 61^ Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Proseguono intanto gli appuntamenti della Pastorale giovanile e vocazionale della diocesi di Anagni-Alatri che, insieme ai coetanei della diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino, venerdì 17 maggio (chiesa del Sacratissimo Cuore, a  Frosinone, alle 20.45) animeranno la veglia di Pentecoste dei giovani sempre guidata dal vescovo Spreafico e che avrà come filo conduttore il tema “Ascoltiamoci, Cominciarono a parlare in altre lingue”. Vanno avanti anche gli incontri dell’equipe della pastorale giovanile diocesana con gli animatori, gli educatori e i catechisti dei gruppi giovanili dai 13 anni in su, divisi per foranie. I prossimi incontri in calendario sono quelli del 3 maggio per Anagni (chiesa di Osteria della Fontana, alle 21) e del 10 maggio a Fiuggi (presso il centro pastorale, sempre alle 21). di Igor Traboni

Il vescovo: «San Sisto ci aiuti ad essere donne e uomini che profumano di pace e amore per tutti!»

Questo il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Ambrogio Spreafico nella Messa solenne in onore del patrono San Sisto, in Alatri, mercoledì 3 aprile 2024 ——————————————————————- Sorelle e fratelli, fare memoria di un santo non può essere la semplice ripetizione di un rito con lesue caratteristiche e reminiscenze (sarebbe troppo poco!), ma è poter rivivere la storia di qualcunoche ha accolto l’annuncio della Pasqua come una possibilità di vita e di futuro, non solo dopo lamorte, ma già nella vita terrena. Oggi siamo un po’ tutti facilmente chiusi in noi stessi, occupatinell’esecuzione dei nostri giusti doveri e impegni, a volte stanchi e pieni di paure e delusioni per unmondo dove si fatica a vivere insieme. Così cresce la tristezza, la rinuncia alla solidarietà, lo scontroinvece del dialogo. La rabbia e l’odio diventano un modo di vivere, diventano violenza. La guerraci sembra normale, anche se la detestiamo, ma forse solo per le sue nefaste conseguenze. Il facilegiudizio, in genere malevolo, ci tiene distanti degli altri invece di avvicinarci, ascoltarci e aiutarci.Che fare, ci chiediamo? O forse meglio: che posso fare io con tutto quello che ho già di mio? Cosìsi abbassa lo sguardo e si finisce per vedere solo se stessi e poco oltre. La Pasqua, fratelli e sorelle,anzitutto ci fa alzare gli occhi, come fece alzare gli occhi a Pietro e Giovanni. “Fissando lo sguardosu di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: “Guarda verso di noi”. Era un poveretto, storpio fin dallanascita, che ogni giorno portavano alla porta del tempio, il luogo della preghiera, a chiederel’elemosina. Che fare? Quanti, come quell’uomo chiedono l’elemosina, chiedono cioè di esseraiutati, per le strade delle nostre città o davanti alle nostre chiese. Nella preghiera di quell’uomo sinasconde quella di un numeroso popolo di poveri, di anziani, di gente che non ha nulla, di famigliebisognose di tutto, di profughi da guerre e miseria, e molti altri. Chi li guarderà? Chi si fermerà adascoltare la loro supplica? La risposta di Pietro potrebbe sembrare non adeguata al bisogno diquell’uomo, eppure fu la risposta, perché i bisognosi e i poveri non si aiutano solo dando quantoessi chiedono. “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo,il Nazareno, alzati e cammina! Lo prese per la mano destra e lo sollevò”. Il Vangelo della Pasqua èuna forza di amore, è una parola che risponde al bisogno di vita, di guarigione dei tanti parte di quelpopolo, aiutandoci a prenderci cura di loro. Sì, possiamo superare la distanza dagli altri, da chi habisogno, guardando, avvicinandoci, dando la mano e sollevandoli dal loro dolore, dal male che liaffligge, con gesti e parole di speranza. Non sarebbe bello e umano un mondo così? I cristiani cicredono. Noi vogliamo crederci e per questo scegliamo di non scappare più davanti al bisogno e alladomanda di aiuto di un altro, come fecero il levita e il sacerdote della parabola del Buonsamaritano. Chi di noi non conosce qualcuno che avrebbe bisogno del nostro sguardo, di essereascoltato, delle nostre parole, della nostra cura? Non continuare a far finta di niente, maledicendo il tempo e il mondo, dando la colpa agli altri delle cose che non vanno, e rimanendo così triste e rancoroso, senza risolvere niente, come se il bene dipendesse solo dagli altri.Ma Gesù sa che facciamo fatica a fare questa scelta. Ci conosce. Sa che spesso camminiamodelusi e tristi, incapaci di alzare lo sguardo, di guardare oltre, oppressi dai nostri problemi e fatiche.Così si avvicina, come fece con i due discepoli che scendevano da Gerusalemme a Gerico. Oggi misembra di vedere il nostro santo patrono che cambia strada proprio per avvicinarsi a questa città e aognuno di noi, per aiutarci a credere in quell’amore in cui egli ha creduto, nel Vangelo della Pasqua,la buona notizia della Pasqua. Con Gesù si avvicina, ci parla, dialoga, ci chiede di spiegare la nostradelusione e la tristezza del cuore, e poi ci aiuta con le Sante Scritture, la Bibbia, quella parola di Dioantica con cui Dio Padre aveva parlato al suo popolo Israele e oggi in Gesù parla ancora a noi. Cosìci spiega con pazienza, e anche a noi comincia ad ardere il cuore, perché percepiamo il grandeamore che il Signore ha per noi e che vorrebbe noi vivessimo per essere un popolo fraterno, di genteche sa vivere insieme in modo rispettoso e pacifico, in cui tutti possano avere un posto e unadignità, quella che tutti trovano nella famiglia di Gesù, senza escludere nessuno.San Sisto, papa e martire, ci indica proprio questo. Papa, cioè segno di unità dei discepoli di Gesù– allora la Chiesa era unita – nella frammentazione di un mondo sempre più in guerra. Martire, unuomo che non ha rinunciato a credere che la fede nel Signore morto e risorto lo avrebbe salvatodalla morte eterna. Oggi si avvicina a noi, a questa città, a questa bella terra, per dirci: non averepaura, affidati al Signore, ascoltalo, e lui ti aiuterà, ti salverà e ti renderà forza di amore e di pace inun mondo che ama più la guerra della pace, ti darà lo sguardo per accogliere tutti come parte dellagrande famiglia umana, unita dall’amore di Dio e dalla tua responsabilità di renderla tale ognigiorno! Ricordati che troverai la felicità solo nel bene che saprai fare, nella scelta di prenderti curadegli altri, a cominciare da chi ha bisogno del tuo aiuto, del tuo ascolto, della tua parola, della tuatenerezza, della tua presenza amorevole. Signore Gesù, che ci hai dato San Sisto come amico epatrono, aiutaci con lui ad essere donne e uomini che profumano di pace e di amore per tutti! Amen

Il vescovo Ambrogio in Cattedrale: «La Pasqua un nuovo inizio per noi e le nostre comunità»

Questo il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Ambrogio nella Messa del giorno di Pasqua, celebrata nella Cattedrale di Anagni domenica 31 marzo 2024 —————————————————————- Sorelle e fratelli, l’annuncio della Pasqua giunse inaspettato, tanto che Maria di Magdala, e diseguito Pietro e l’altro discepolo, videro solo la pietra rotolata via dall’ingresso del sepolcro con iteli e il sudario, che avvolgevano il corpo di Gesù, posti nel sepolcro. Non sembra che avesserocapito, ma il Vangelo dice che l’altro discepolo “vide e credette”. Come e perché credette? Perchéaveva visto in quei teli stesi nel sepolcro che era avvenuto qualcosa di inaspettato, dei segni: ilSignore aveva vinto la morte. Sorelle e fratelli, a volte il nostro sguardo si ferma alla superficiedelle cose che vediamo, facciamo fatica ad andare nel profondo. Per questo spesso non si capisce lavita, il mondo, neppure noi stessi. Tutto è emozione, sentimento, superficie, sensazione, immaginiche passano veloci nel tempo di un WhatsApp. Davanti a quel sepolcro si deve entrare, vedere, conattenzione, e poi capire, anche se non c’è tutto già spiegato dall’inizio.È il discepolo più giovane, probabilmente Giovanni, che crede anche se non ha ancora incontratoil risorto. Ancora una volta un giovane, come nel racconto evangelico di Marco, letto nella Vegliapasquale. Lì è un giovane che annuncia alle donne impaurite che “Gesù non è lì, è risorto”.Generalmente siamo piuttosto come Pietro, un po’ increduli, e soprattutto non so se crederemmo aun giovane che ci parla di qualcosa di inaspettato e sconvolgente, quando fatichiamo persino adascoltare i giovani nelle cose normali.Abbiamo bisogno anche noi della Bibbia, la Parola di Dio, che ci aiuti ad entrare nella realtà diquanto è avvenuto, quelle Scritture di Israele che avevano parlato di un Dio che non avrebbepermesso che tutto finisse con la morte e che in Gesù di Nazareth realizzò quella parola. Sorelle efratelli, le Sacre Scritture, quelle che leggiamo nella Santa Celebrazione, e forse poco le meditiamopersonalmente e nelle nostre comunità, sono la via per entrare nelle profondità della storia e deglieventi, anche nella comprensione dell’azione di un Dio che aveva già parlato al suo popolo Israele eche oggi per mezzo del Figlio, parola di Dio fatta carne, continua a parlare anche a noi. Avevamoposto la Bibbia come guida per l’anno pastorale della nostra Diocesi. L’abbiamo presa sul serio?Essa è luce nella vita. È speranza nel buio del pessimismo e della delusione, come fu per i duediscepoli di Emmaus. È balsamo di guarigione per i poveri, gli anziani, i malati e i sofferenti. Èaccoglienza per chi è solo, escluso, straniero. È futuro per chi non lo vede e cammina comesonnambulo senza meta, accettando le cose come vengono, senza lottare e senza passione. È paceper i popoli in guerra – pensiamo soprattutto alla Terra Santa e all’Ucraina- ma anche per noi,perché impariamo a vivere come fratelli e sorelle invece di ostacolarci e contrastare gli altri comefossero sempre rivali. C’è bisogno di un lievito nuovo, che viene con la Pasqua. Il lievito era eliminato durante laPasqua ebraica, e il pane doveva essere azzimo, senza lievito, per ricordare quella Pasqua in Egittoprima della liberazione dalla schiavitù. Il lievito nuovo, sorelle e fratelli, ci è offerto dalla Pasqua dimorte e resurrezione del Signore, quel cibo che dà inizio a qualcosa di totalmente nuovo einaspettato. Sì, cari amici, con la Pasqua inizia un tempo nuovo per noi personalmente, per le nostrecomunità e per il mondo. Inizia il tempo della liberazione, della salvezza, quella che poi celebriamoogni volta con le nostre comunità, ascoltando la Parola di Dio e prendendo parte alla mensa delcorpo e del sangue di Cristo, l’Eucaristia. In essa scopriamo il segreto del nostro vivere insiemecome sorelle e fratelli, perché questa tavola ci libera dal nostro io e ci fa popolo, comunità, donne euomini che vivono in una fraternità universale, che nessuno esclude. Talvolta non crediamo chequesto sia possibile. Partecipiamo alla Santa Messa, ascoltiamo la Parola di Dio, prendiamo partealla mensa del suo corpo offerto per noi; ma che cosa cambia nella vita? La Pasqua è davvero unnuovo inizio. Lasciamoci ardere il cuore, come i due discepoli di Emmaus, da una Parola di vitaeterna che può cambiare noi stessi e il mondo, se la ascoltiamo, che può dare senso e speranza allanostra vita. Fidati! Puoi essere una donna e un uomo felice se accogli questo annuncio. Non ti tirareindietro! Non dire: sono quel che sono; oppure: ho già i miei problemi, non ho tempo per altro e peraltri. Nella Pasqua tutto si rinnova. Ma devi continuare a camminare insieme, con gli altri, acondividere la tua vita con i poveri e i bisognosi, ad essere parte di un popolo di donne e uomini chesiano segno di fraternità e di pace in questo mondo di guerre e di tanto odio e rabbia. Sii allora lucedi amore e di pace, di fraternità e di speranza per tutti, dai piccoli ai vecchi, dai poveri ai ricchi, dachi ti è amico a chi non ti vuole bene. Ecco la Pasqua, vero inizio di un tempo nuovo per te e per ilmondo intero. Grazie, Signore! Tu che hai vinto la morte, vinci le tenebre della guerra e dell’odio edona al mondo quella pace che non sa darsi da solo! Libera i cuori dalle incrostazioni di odio edall’inimicizia. Fa che tutti vedano nell’altro la tua immagine, quell’umanità che rende tutti fratellie sorelle! Padre Onnipotente, forza di vita, rendici discepoli del tuo Figlio, morto e risorto per noi,principio di vita nuova! Spirito Santo Amore, entra nei nostri cuori e trasformali con la potenza deltuo alito di vita! Amen! Alleluia!