Preghiera per Papa Francesco

Il vescovo Ambrogio Spreafico guiderà la preghiera per la salute di Papa Francesco, prevista – su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio – per mercoledì 26 febbraio, alle ore 20, nella chiesa di San Benedetto a Frosinone alta (piazzale della Prefettura e delle Poste centrali)
Annullato il pellegrinaggio giubilare a Roma

Considerate le condizioni di Papa Francesco, per la cui salute continuiamo a pregare, il pellegrinaggio giubilare interdiocesano, previsto per sabato 15 marzo 2025, è stato annullato.
Il vescovo Ambrogio ricorda la prima Bolla giubilare: «Facciamoci pellegrini di speranza, come Bonifacio VIII»

(Omelia per la celebrazione eucaristica nel giorno in cui Bonifacio VIII pubblicò la Bollagiubilare del 1300. Anagni, 22 febbraio 2025) Sorelle e fratelli, concludiamo questo giorno in cui abbiamo voluto fare memoria di quel 22febbraio 1300 nel quale Bonifacio VIII promulgò la Bolla Giubilare del primo giubileo della storiadella Chiesa. Fu la risposta alla grande e crescente domanda di perdono che tanti pellegriniriversatisi a Roma verso la basilica Vaticana chiedevano. Erano tempi difficili, di guerra, violenza,di grandi calamità naturali. Anche i cristiani facevano le loro battaglie. Nei tempi di violenza crescela paura, l’ostilità, l’indifferenza, ma anche la speranza e il desiderio di un tempo nuovo. “Pellegrini di speranza”, perché la “speranza non delude”, ha voluto che fosse il Giubileo di quest’anno papaFrancesco, per cui in particolare oggi vogliamo pregare, perché torni presto a guidarci in questoanno santo, facendoci ascoltare la sua parola di speranza e di pace. Ne abbiamo tutti bisogno, nehanno bisogno i Paesi oppressi dalla guerra, come l’Ucraina, la Terra Santa, la RepubblicaDemocratica del Congo, e molti altri forse a noi sconosciuti. Sorelle e fratelli, alziamo lo sguardo,guardiamo la gente che soffre, che grida pace, che invoca la fine delle guerre e della violenza.Guardiamo gli anziani soli o in istituto, che chiedono amicizia, affetto, cura. E i giovani chechiedono di essere ascoltati e voluti bene. Facciamoci pellegrini di speranza per le strade del mondocon la preghiera che ci libera dall’abitudine al vittimismo, al lamento, all’indifferenza. Facciamocipellegrini, come il nostro concittadino papa Bonifacio, che ascoltò la domanda di perdono e di paceche veniva da tanta gente, per muoverci anche noi da qui verso il mondo, passando da quella PortaSanta della Basilica Vaticana, di cui oggi abbiamo celebrato la festa della Cattedra di san Pietro, perinvocare il perdono e la misericordia di Dio.Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato ci aiutano. “Amate i vostri nemici, fate del bene a quelliche vi odiamo, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male”. Questaè l’unica vittoria vera, cari amici. L’amore vince sempre l’inimicizia, fate cioè del bene a chi vi vuolmale, benediteli, cioè non sparlate degli altri, anzi dite bene di loro, e infine pregate per chi vi trattamale. Ognuno potrebbe dire: impossibile. Non diciamolo oggi! Il Giubileo apre la strada delle coseimpossibili perché siano possibili. Lasciamoci guidare dalla parola di Gesù e vinceremo il male conil bene, l’odio con l’amore e la preghiera. Dobbiamo crederci, dobbiamo viverlo. Vuoi esserefelice? Credo che ognuno lo desideri. Allora, continua Gesù, comincia a fare agli altri ciò chevorresti gli altri facessero a te, e non il contrario. E poi ancora quasi per spiegare ancor meglioquanto già detto: “Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostraricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo”. Dare, voler bene, con gratuità, senza aspettaresempre il contraccambio. Quanto è triste la vita di chi dà qualcosa, ma aspetta ogni volta di ricevere il contraccambio. Mai contenti, mai felici, sempre in attesa che finalmente l’altro ti dia qualcosa,affetto, considerazione, attenzione e via di seguito. Prova a voler bene con gratuità, e vedrai chesarai finalmente contento! Non dire subito di no. Provaci almeno! E poi, se ti affiderai al DioAltissimo come ci si affida a un padre, potrai riconoscere negli altri sorelle e fratelli, amici, perchéla Paternità divina rende tali, e non estranei o persino nemici.E infine: tutto comincia con la misericordia, quella scelta di Dio che sempre perdona, che semprevuol bene, che sempre ci accoglie anche se noi spesso ci dimentichiamo di lui e ci facciamo gliaffari nostri. “Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati,perdonate e sarete perdonati, date e vi sarà dato, (senza sempre essere misurati), perché con lamisura con cui misurato sarà misurato anche a voi in cambio”. Sorelle e fratelli, sono parole chiare,concrete, piene di amore. Il Signore ha fiducia in ognuno di noi, così ci affida la via del bene,dell’amore, della misericordia, del perdono, via che portano alla pace e all’amicizia tra noi e contutti. A noi viverle, per essere felici, per aiutarci in questo tempo difficile, per non lasciar solonessuno, per dare speranza e crescere come amici, sorelle e fratelli, segno di un mondo dove sipossa vivere insieme.
Impagliazzo: «Così possiamo costruire la Pace, ogni giorno…»

La pace è possibile e va perseguita da ognuno di noi attraverso tre percorsi concreti: 1) Partecipare ai problemi lontani, facendoci artigiani di pace. 2) Essere solidali, facendoci artigiani di solidarietà. 3) La preghiera e la sua forza storica. Così Marco Impagliazzo, docente di Storia contemporanea presso l’Università Roma Tre e presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha sintetizzato il suo appassionato e appassionante intervento sul tema “Immaginare la pace. Il Giubileo anno di speranza e riconciliazione” tenuto giovedì 20 febbraio nell’auditorium diocesano di Frosinone, davanti ad una platea numerosa e alla presenza del Prefetto, del Questore di Frosinone e dei sindaci di alcune città delle due diocesi, nell’ambito di una iniziativa organizzata dalle diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino e Anagni-Alatri, in quel percorso di approfondimento e formazione per il Giubileo 2025 fortemente voluta dal vescovo Ambrogio Spreafico. E proprio monsignor Spreafico, dopo la presentazione di Impagliazzo fatta da Luisa Alonzi che ha moderato l’incontro, ha introdotto l’Ospite, ricordandone l’impegno come intellettuale a tutto tondo, e dunque anche come uomo di pace, nell’operato internazionale della Comunità di Sant’Egidio, per un intervento al convegno «che ci aiuterà a capire, a comprendere, in questo tempo così difficile, come vivere e come farlo da cristiani». Impagliazzo ha iniziato quindi da una certezza, ovvero da quella «speranza che non delude» che Papa Francesco ha voluto “sigillare” nell’indizione del Giubileo «in questo tempo di inquietudine» per le tante guerre, per i problemi che ci assillano, come quello del riscaldamento globale e delle conseguenze sul clima (e qui Impagliazzo ha sottolineato l’impegno del vescovo Spreafico su questi temi), prima di ripercorrere rapidamente la storia dei 27 Giubilei ordinari, a partire da quel primo indetto nel 1300 dall’anagnino Bonifacio VIII, a ciò spinto dai fedeli dell’epoca che chiedevano «un moltiplicatore di gioia e speranza». E a distanza di secoli, il grido degli uomini di oggi è invece quello della pace «che si prepara solo con la pace, mentre l’atteggiamento della comunità internazionale o è quello dell’immobilismo o è quello delle armi», anche nel solco di quella “passività morale” di cui parla Thomas Merton e che Impagliazzo ha definito «un problema del nostro tempo, mentre occorre agire in modo concreto per dimostrare che non è vero l’assunto dell’ineluttabilità della guerra. Ma più che di pacifisti, il mondo di oggi ha bisogno di pacificatori». Questo nostro tempo, invece, ha argomentato Impagliazzo, soffre di «deculturazione della fede», richiamando la denuncia fatta a suo tempo da Paolo VI di un mondo che soffre per mancanza di pensiero «e nell’immaginare la pace c’è questa mancanza. Oggi ci si chiude anche in una sorta di “provincialismo”, si confida in questo perché ci dà semplificazioni rassicuranti». Impagliazzo ha poi tracciato alcuni eventi epocali recenti che hanno mutato il corso della Storia, dall’11 settembre al crollo dell’Urss. E oggi? «C’è questa realtà minacciosa della guerra», rispetto alla quale la Comunità di Sant’Egidio ha operato, ad esempio, con i corridoi umanitari, «ma toccare la guerra – come Impagliazzo ha fatto sul campo in diverse parti del mondo – non è come guardarla in tv: è qualcosa di tremendo!». E da questo punto di vista anche la memoria è importante, da conservare e tramandare, anche perché stanno scomparendo gli ultimi testimoni della seconda guerra mondiale e della Shoah. «E ci si accorge del valore della pace solo quando questa manca». Un panorama non idilliaco, nel quale svetta comunque il faro della Chiesa “maestra di umanità” (Paolo VI) che ci vuole “fratelli tutti”, solco tracciato da Papa Francesco che lo ha detto e ripetuto chiaramente: la guerra è il fallimento dell’umanità. «I papi hanno portato avanti un ministero di pace», ha aggiunto Impagliazzo, «e tutti si sono fatti carico della profezia della pace». Una pace che sgorga copiosa anche dal dialogo «ma oggi siamo nel mondo dell’Io, che logora il Noi, anche nelle famiglie, nell’ambiente ecclesiale. Oggi c’è tanta solitudine, che poi porta all’aggressività», ha stigmatizzato Impagliazzo, ricordando che anche il fenomeno del nazionalismo è frutto di «un egoismo collettivo». L’IMPORTANZA DELLA CULTURA Avviandosi a concludere, il presidente della Comunità di Sant’Egidio ha quindi sottolineato l’importanza della Cultura, del leggere, dell’informarsi, un tema tanto caro anche al vescovo Spreafico che più volte lo ripete nei suoi interventi e che lo ha ripreso anche nei saluti finali. «L’ignoranza – ha detto Impagliazzo – favorisce la guerra. Occorre leggere, una cosa che ci salva anche dalle fake news. E serve viaggiare, incontrare gli altri, aprire il cuore e la mente. La pace ha bisogno di cultura!», ha ribadito Impagliazzo, prima di terminare con i tre punti di cui dicevamo all’inizio e che costituiscono una bussola «per superare l’Io e ricentrarci sul Noi, per ricucire i tessuti sociali anche nelle nostre città, nelle nostre famiglie, per preparare un mondo di pace. Forse è un sogno, ma è un orizzonte su cui lavorare, qualcosa che ognuno di noi può costruire ogni giorno». Igor Traboni
I vescovi italiani: tutte le comunità vicine a Papa Francesco con la preghiera

Dai Vescovi italiani l’invito a tutte le comunità a pregare per Papa Francesco
Spreafico alla Santissima: «La Trinità ci fa vivere da amici». L’annuncio: il Santuario sarà chiesa giubilare

Con il pellegrinaggio partito di buon mattino dal paese di Vallepietra e guidato dal vescovo Ambrogio Spreafico, domenica 16 febbraio al santuario della Santissima Trinità è stata celebrata la Festa dell’apparizione, nell’unico giorno di apertura invernale del sacro speco, che infatti ha accolto i tanti fedeli con un suggestivo manto bianco di neve. Monsignor Spreafico ha quindi celebrato Messa nella chiesa al coperto del santuario, salutando subito i presenti «dopo aver camminato verso questo luogo per incontrarci con la Trinità che ci accoglie, siamo tanti da luoghi, parrocchie e diocesi diverse, ma siamo un popolo, perché i cristiani da qualunque luogo provengono, italiani o no di origine, sono un popolo, ed è bello essere popolo in un mondo come il nostro dove questo è diventata una cosa molto difficile». Nel corso dell’omelia, il vescovo ha poi fatto riferimento al Vangelo del giorno, a quel ritrovarsi di Gesù «in mezzo a tanta gente che veniva da tante parti, non tutti credenti ma diversi tra loro, e stavano attorno a Gesù perché aveva parole che aiutavano a vivere, perché il Vangelo è vita e tante volte si vive male proprio perché non ascoltiamo il Vangelo, perché se ascoltassimo la Parola di Dio, questa ti entra nel cuore e ti fa vivere secondo quella bontà che dovrebbe caratterizzare la nostra vita. Immaginiamoci di essere in quel luogo sul lago di Galilea: chi c’era attorno a Gesù? Poveri, gente che aveva fame, che non aveva il necessario, che aveva dei dolori, che piangeva, anche persone odiate dagli altri. E quanto odio c’è oggi nella vita, troppo odio, anche sugli smartphone: aiutate i vostri figli e nipoti – ha detto Spreafico rivolgendosi proprio ai genitori e ai nonni presenti – a non odiare mai nessuno, a non condividere un insulto con gli altri, perché l’insulto è odio e di odio ce ne è già abbastanza nelle guerre, nella sottomissione degli altri… no, non ne abbiamo bisogno». Ma attorno a Gesù, ha aggiunto il vescovo di Anagni-Alatri, c’era anche gente ricca, che stava bene, soddisfatta di se. Ecco, Gesù sa chi siamo noi, sa i nostri dolori, le fatiche della vita, che qualche volta anche noi piangiamo perché abbiamo qualcosa dentro ma non possiamo dirlo a nessuno perché oggi nessuno ascolta, tutti abbiamo fretta; ma se ci ascoltassimo di più riusciremmo ad aiutare un altro, un anziano che non ha nessuno. E Gesù conosce anche i nostri desideri, le attese. Il Giubileo che celebriamo ha come titolo “Essere pellegrini di speranza” e lo abbiamo fatto anche noi salendo fino a qui, perché c’è bisogno di speranza. Gesù dice “beati i poveri perché vostro è il regno dei cieli, beati voi che avete fame, voi che piangete, beati boi quando vi odieranno, vi insulteranno: rallegratevi ed esultate”. Ma ognuno di noi potrebbe dire: come è possibile questo? E’ possibile perché beati sono coloro che si fidano di Dio e quindi hanno non quella felicità che passa in un giorno, ma che anche nel dolore, nella povertà, nella fatica della vita ti fa avere speranza perché sai che Gesù ti rende beato. E poi dice “guai a voi ricchi, che ora siete sazi” ma quel guai non è una maledizione, perché Gesù ci dice; stai attento quando ti accontenti della tua ricchezza, perché la ricchezza non rende felici, stai attento quando prendi in giro gli altri perché quella non è la felicità, quando sei sazio, hai tutto e magari vuoi di più perché quello non ti darà felicità. Gesù non vuole metterci addosso dei pesi ma vuole liberarci dalla tristezza, dalle cose che ci fanno chiudere in noi stessi, dall’insoddisfazione che ci fa sempre lamentare di tutto e degli altri. Vuole dirci: io ti tendo la mano». Spreafico ha poi ricordato che, alla partenza del pellegrinaggio a piedi, è stato recitato il salmo “Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? L’aiuto viene dal Signore”, per sottolineare come «salendo verso il santuario abbiamo alzato gli occhi perché volevamo arrivare dove la Trinità ci parla, ci raduna, ci benedice, ci aiuta, ci fa vivere. Noi oggi abbiamo bisogno di vivere il bene e di fare il bene, perché c’è troppo male, guerre, odio, disprezzo degli altri, ma noi cristiani non possiamo accettare di vivere così, dobbiamo resistere al male, ribellarci all’odio. Chi allontana il cuore dal Signore non riesce a fare il bene, no porterà frutti buoni, sarà come albero nel deserto. Gli egoisti non si accorgono che la loro vita non porta frutti, non si accorgono che non solo vivono male gli altri ma anche se stessi. L’uomo e la donna che confidano nel Signore, che fanno il bene ascoltano Gesù e la Trinità: saranno come un albero piantato lungo i corsi d’acqua, che cresce, fa ombra, dà frutti. E questa deve essere la nostra vita: fare il bene, essere benedetti da Dio e poter benedire gli altri. Essere qui ci deve dare speranza per essere gente buona, perché oggi c’è bisogno di persone che guardano agli altri con simpatia, affetto, senza giudicare tutti, perché anche in chi ha fatto il male c’è l’immagine di Dio. La Trinità è questo: amore che si comunica, che rende fratelli e sorelle e amici: il mondo ha bisogno di amicizia». IL SANTUARIO CHIESA GIUBILARE Il vescovo Spreafico, nel ringraziare il rettore monsignor Alberto Ponzi per la cura del santuario, ha quindi annunciato che «questa sarà una delle chiese giubilari della diocesi di Anagni-Alatri e per tutti quelli che verranno dal primo maggio in poi . Qui potrete anche ottenere l’indulgenza plenaria, cioè il perdono: abbiamo tutti bisogno di esser perdonati perché nessuno di noi è giusto. E allora impariamo anche noi a perdonare gli altri perché ci fa bene, e chiediamo a Gesù: tendici la mano e aiutaci a prenderla. Perché se andiamo con Lui andiamo sicuri, faremo il bene e saremo felici». Nel ringraziare il vescovo Spreafico «autentico pellegrino» don Alberto Ponzi ha quindi preso brevemente la parola per ringraziare anche «tutti quelli che si sono
Don Alessandro, cappellano dell’ospedale di Alatri: «Vicino ai malati. E a volte basta tenergli la mano»

Don Alessandro Tannous, 48 anni e sacerdote da 16, originario del Libano, parroco di Santa Maria della Mercede a La Fiura, è il cappellano dell’ospedale “San Benedetto” di Alatri e lo abbiamo incontrato, a margine della celebrazione per la Giornata del malato presieduta proprio in ospedale dal vescovo Ambrogio Spreafico (vedi altri articolo su www.diocesianagnialatri.it) , per sapere qualcosa di più di questo servizio pastorale – una vera e propria missione – che svolge dal febbraio del 2021. «Il mio compito è quello di “curare” il malato dal punto di vista spirituale e sacramentale. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, c’è la celebrazione della Messa, l’impartire l’unzione ai malati, portare loro la comunione. Ma c’è poi un aspetto spirituale che diventa anche morale: ascoltare il malato, nella confessione ma anche nel dialogo; spesso i degenti ti parlano delle loro sofferenze che non sono solo fisiche, e tu li ascolti, provi a dare qualche consiglio. A volte basta prendere il malato per mano e tenergliela: per lui è già tanto». La presenza di don Alessandro in ospedale è praticamente quotidiana «tutti i giorni celebro Messa e vado sempre, anche se non tutti i giorni faccio le stesse cose, compresa la domenica, quando però celebro solo la Messa perché poi ho anche l’impegno in parrocchia. Però ci sono le suore che mi danno una grande mano d’aiuto e la domenica sono loro che portano la comunione ai malati». Attualmente ci sono quattro suore, tutte straniere, dell’ordine delle ospedaliere della Misericordia, lo stesso della Beata Raffaella Cimatti, che proprio nel vecchio ospedale di Alatri prestò servizio con amore e dedizione, qui morì nel 1945 ed è ora sepolta in Concattedrale. Il servizio pastorale di don Tannous talvolta prosegue anche fuori dai reparti: «Alcuni malati, una volta dimessi e tornati alla normalità, comunque mi cercano, mantengono un rapporto. E la cosa molto bella è che molti pazienti sono di Alatri e in particolare della mia parrocchia, quindi già li conosco, ma il rapporto si consolida ancora di più». L’ospedale è pure luogo di morte «e allora c’è da star vicino soprattutto ai familiari del defunto, con la preghiera ma anche con una vicinanza di cui spesso hanno tanto bisogno. E se c’è disperazione umana, questa è una cosa comprensibile, e allora lì sono chiamato a capire se basta ascoltare quello che spesso è uno sfogo, pure questo comprensibile, o se si può instaurare un dialogo». Un dialogo, divenuto in molti casi anche un bel rapporto di amicizia, che don Alessandro ha stabilito pure con tante delle persone, non solo sanitari, che lavorano in ospedale. Igor Traboni
Il vescovo tra i pazienti dell’ospedale di Alatri: «L’amore è la medicina della vita»

In occasione della Giornata del malato, mercoledì 12 febbraio il vescovo Ambrogio Spreafico ha presieduto la Messa nella cappella dell’ospedale di Alatri, concelebrata dal cappellano ospedaliero, don Alessandro Tannous, e dal diacono Giovanni Straccamore, alla presenza di numerosi pazienti, dei loro familiari, di medici, paramedici e amministrativi del nosocomio, di alcuni malati seguiti dall’Unitalsi, con la presidente di sezione Paola Pietrobono, e di alcuni ospiti della cooperativa “Ia ia oh” di Fiuggi, con il responsabile Piergiorgio Ballini, e con il servizio all’altare delle suore ospedaliere della Misericordia. Nel corso dell’omelia, monsignor Spreafico si è subito riallacciato alla Madonna di Lourdes, la cui statua è presente nella cappella dell’ospedale, per ricordare quel “pentitevi” che disse a Bernadette: «Ma noi siamo in un mondo in cui non si pente più nessuno, ognuno invece urla per avere ragione sull’altro, e ci fosse una volta che chiede scusa, mai uno che dice “mi dispiace, ho sbagliato”, in un mondo in cui tutti si credono giusti. Però quel “pentitevi” non è una punizione, ma è un modo di vivere di uomini e donne che con saggezza sanno che sono peccatori come tutti, perché ognuno di noi uomo è fragile e talvolta non segue quello che il Signore ci dice e che ci aiuta a vivere, ma segue piuttosto se stesso. Ma quando uno si crede chissà chi, allora la vita non funziona». E qui il vescovo di Anagni-Alatri si è ricollegato al Giubileo, ricordandone anche le origini anagnine con la Bolla del primo di questi eventi emanata da papa Bonifacio VIII nel 1300: «Il Giubileo è un grande dono, una grazia, perché anzitutto è perdono. E quando una persona lo riceve, anzitutto deve avere la coscienza che ne ha bisogno, quel riconoscere che senza il Signore, senza gli altri, non viviamo bene insieme. Ma oggi c’è troppa prepotenza e poi si litiga e ci lamentiamo sempre degli altri. Il problema resta il cuore, il modo in cui uno vede gli altri: questo oggi ci impedisce di essere amici». Non a caso, ha rimarcato Spreafico, la Messa inizia con la richiesta di perdono «e i peccatori, se riconoscono di essere tali, possono cambiare e contribuire a costruire un mondo migliore, più umano, meno guerrigliero. Anche noi possiamo fare molto, e ce lo spiega Maria, giovane donna che fece l’unica cosa giusta da fare: ascoltò Dio che le parlava». Il vescovo si è quindi rifatto al brano del Vangelo di Giovanni annunciato poco prima, sulle nozze di Cana: «Quando finisce il vino, Maria si rivolge a Gesù e sa che esaudirà la preghiera, e allora dice ai servi: qualunque cosa vi dice fatela. E allora noi chi siamo? Siamo i servi, dobbiamo ascoltare quello che ci dice Gesù, perché se tu lo ascolti avviene il miracolo, quello che hai devi portarlo davanti a Gesù, come quegli invitati portarono le anfore piene di acqua. Questo vuol dire che ognuno di noi comunque ha qualcosa, magari solo un’anfora piena di acqua, ma se tu le cose che hai le condividi, quelle si trasformano, ed ecco il miracolo. Condividere, anche se sembra poco: anche se è poco, una parola a una persona che ha bisogno, un sorriso a uno che ha sempre la faccia triste, una carezza a un anziano che sta male, una visita a un bisognoso, un gesto di solidarietà verso una povera famiglia o chi vive per strada, guardare con simpatia uno straniero o un immigrato senza giudicarlo. E’ qui che avviene il miracolo. Noi abbiamo bisogno di rendere la vita di tutti bella, dobbiamo essere buoni, gentili, prenderci cura degli altri, aiutare chi soffre. Siamo chiamati a dare quel poco che ognuno di noi ha agli altri e questo renderà la vita di ognuno più umana». Monsignor Spreafico ha quindi concluso ricordando che «la medicina della vita, oltre a quella che cura i malanni, è anzitutto la condivisione dell’amore: una medicina che guarisce l’anima e il cuore, perché tutti possano vivere come fratelli e sorelle». Al termine, dopo un pensiero di ulteriore vicinanza e affetto ai malati e ai loro parenti e a quanti lavorano in ospedale, è stata impartita l’unzione degli infermi. Igor Traboni
Celebrazione di San Biagio a Fiuggi, l’omelia del vescovo Spreafico

San Biagio (Fiuggi, 3 febbraio 2025) Sorelle e fratelli, le feste dei santi ci offrono sempre la possibilità di rinnovare la nostra fede e la nostra vita e anche di capire il tempo in cui siamo, sebbene la loro vita sia a volte molto lontana da noi. Come sapete infatti, San Biagio era nato e vissuto a Sebaste in Armenia, terra che ha mantenuto nei secoli la fede cristiana, nonostante il suo territorio sia stato più volte devastato fino al genocidio degli anni 1915-1916, quando furono sterminati più di un milione di armeni dall’Impero Ottomano. Una storia di violenza e di dolore, di cui lo stesso San Biagio fu parte, subendo il martirio nel 313. Questa storia ci ricorda il dolore di un popolo e la violenza del mondo, che si ripete in ogni epoca. Anche oggi, sorelle e fratelli, siamo davanti a un mondo violento, un mondo in guerra, dove la prepotenza e il potere arrogante umiliano e distruggono, fanno crescere l’odio e le inimicizie. Come discepoli di Gesù, mite e umile di cuore, che ci invita a imitarlo, non dobbiamo mai schierarci con la violenza, che oggi si annida nei cuori, si esprime nelle parole e corre sui social, dove persino si gioca e si gode della violenza. Quanto è triste e scioccante vedere esaltata e imitata la violenza, ripresa e postata, come se distruggere o vincere un altro, magari solo nel gioco on line, possa rendere felice qualcuno. Cari amici, stiamo diventando troppo allineati con questo mondo in guerra, come se fosse normale.Allora ci chiediamo: è possibile essere felici in un altro modo? O per esserlo si deve sottomettere un altro con la prepotenza e la forza o si deve essere padroni di un pezzo di mondo? Qual è la forza dei cristiani? Abbiamo ascoltato nella Lettera di Paolo Apostolo ai Romani: “In tutte queste cose (Paolo sta parlando delle tribolazioni e sofferenze della vita, angoscia, persecuzione, fame, pericolo, morte…) noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati…. (insomma nessun potere mondano e celeste) potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo, nostro Signore”. Ecco la nostra forza, che fa vivere e rende felici: l’amore di Dio in Gesù, la cui Parola è luce e guida delle nostre giornate, di quanto pensiamo e diciamo, delle scelte e delle attese e speranze di ognuno. Per questo siamo qui. Per questo veneriamo i santi. Non solo per ripetere tradizioni anche belle e significative, bensì per farle vivere oggi nella nostra vita, nelle nostre comunità e nei luoghi in cui viviamo.Certo, la via proposta da Gesù sembra difficile, impossibile. “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”. Vediamo. Primo: andare dietro a Gesù. Già questo è un problema, perché di solito si va dietro a se stessi, si segue se stessi, si vuole salvare se stessi. Soprattutto nei tempi difficili si pensa: ma che m’importa di quello e di quell’altro, l’importante che sto bene io. Devo pensare a me stesso, e poi, se posso, penserò anche a qualcun altro! Credo che lo pensano in molti. Allora che vuol dire Gesù? Una cosa molto semplice: se tu pensi a salvare solo te stesso, non riuscirai mai. Infatti la storia è piena di gente triste e sconfitta perché ha fatto e fa solo il proprio interesse. Al contrario, se tu ti occupi di salvare, cioè di aiutare a vivere un altro, salvi anche te stesso, perché noi siamo fatti per crescere insieme fratelli e sorelle, non nemici che si eliminano o si ignorano. Allora stai attento quando ti dicono: pensa a te stesso e non ti preoccupare degli altri! E’ un tranello. Che vuol dire allora – seconda cosa – salvarsi perdendo la propria vita par causa di Gesù? Se tu lo ascolti, lo segui, impari a capire che l’amore vero è anche perdere, cioè lasciare qualcosa di sé, accettare di prendere un po’ le distanze da sé. Infatti, se vuoi bene a una persona, la devi lasciare entrare nella tua vita, facendole spazio, dandole un posto nel tuo cuore, nel tuo tempo, nella tua vita, altrimenti sei solo ingombrante e sarai padrone e non amico. Fai spazio al Signore in te e all’altro e ti salverai da quell’egoismo che rende tristi, insoddisfatti, prepotenti, sempre a chiedere, mai a dare con gratuità.Ecco i santi, cari amici. Avevano capito che l’amore di Dio li rendeva liberi, felici, e che ognuno poteva accogliere questo amore e imitarlo amando gli altri, prendendosi cura di qualcuno, facendo spazio nella propria vita alla parola di Dio e agli altri, a cominciare dai poveri, dai sofferenti, da chi ha più bisogno di amore. Pensiamo ai tanti anziani negli istituti anche qui a Fiuggi. Avete mai pensato che li si può andare a trovare, ad esempio? San Biagio è patrono della gola. Vorrei chiedergli nella preghiera che guarisca la nostra gola, da cui passa il suono delle parole, da un linguaggio volgare, violento, offensivo, duro, urlato, irrispettoso, nemico. Aiutaci san Biagio a purificare il nostro vocabolario, a vivere imparando a dare amore, a diffondere bontà, gentilezza, benevolenza, affabilità, con le nostre parole e i nostri gesti. ———– Simone Lisi, Priore della venerabile confraternita del Santissimo Sacramento ed Immacolata Concezione della chiesa di San Biagio, ha poi inviato una lettera al Vescovo, in cui si dice tra l’altro che «la Sua guida è per noi una costante fonte di ispirazione e di conforto. Grazie per la Sua vicinanza e il Suo impegno a favore della nostra comunità».
Presentazione del Signore: l’omelia del vescovo Ambrogio per la Giornata della vita consacrata

Sorelle e fratelli, cari consacrati e consacrate, ci ritroviamo in questa festa accompagnati dalla lucedel Signore, con cui siamo entrati in questa chiesa. Queste luci ci fanno riscoprire la luce delSignore, come disse Simeone accogliendo Gesù: “I mie occhi hanno visto la tua salvezza, preparatada te davanti a tutti i popolo: luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”. Abbiamobisogno di luce. Il mondo ha bisogno di luce. Le guerre, la violenza, l’odio, oscurano la luce, nonfanno vedere che se stessi e nell’oscurità gli altri appaiono spesso come nemici che minacciano latua esistenza, quindi possibilmente da eliminare. Perciò si cresce nella paura dell’incontro,dell’amicizia, di un dialogo pacifico. Si vive nella solitudine, scelta o imposta, come quella di tantianziani soli a casa o in istituto, di adulti che si ritirano in disparte, o anche di quei giovani molto suisocial e troppo poco con gli altri. Il buio crea tristezza, distanza, non fa vedere il bene, non favedere l’altro come parte del tuo vivere.È possibile vivere nella luce? Il Vangelo ci indica una risposta: imparare ad essere donne e uominidell’attesa, perché l’attesa è speranza, fa guardare al futuro, libera dalla prigionia del presente,dell’oggi. Pellegrini di speranza è l’invito del Giubileo. Nei tempi difficili ognuno si deve chiederecosa significa essere donne e uomini di speranza. Noi siamo abitudinari, ripetiamo consuetudini,pratiche religiose, con generosità e sacrifici portiamo avanti opere che caratterizzano il carisma diognuno. Non basta, sorelle e fratelli. La Parola di Dio, che è “lampada per i nostri passi, luce per ilnostro cammino”, e che è divenuta uno di noi in Gesù, ci chiede di cambiare, ci chiede unrinnovamento, un nuovo inizio. Non basta ripetere se stessi, neppure la lunga e bella storia di uncarisma. La Parola di Dio chiede di ripensarci nella storia di questo tempo, nel buio che circonda esoffoca la vita di tanti uomini e donne. Non ci sono risposte prefabbricate, neppure modelli ugualiper tutti. Ma ognuno, ogni comunità, ogni Congregazione, piccola o grande che sia, si deve porrecon umiltà davanti alla luce di Dio in Gesù e chiedersi: ma io, noi, facciamo ancora luce? Siamouna via che avvicina al Signore gli altri? Le nostre opere sono segno di quella presenza luminosa diDio nel buio del mondo?Simeone e Anna non erano speciali. Erano due anziani, seppero sperare e aspettare non in modopassivo, non pensando che toccava agli altri cambiare qualcosa di quel mondo pieno di ingiustizie edi violenza come il nostro. Anzitutto pregavano. La preghiera, il tempo della preghiera è il tempo diDio in noi e nella storia. È la via per vedere, è la luce per capire e vivere. La preghiera tiene vival’attesa, fa vivere la speranza come qualcosa che aiuta a costruire il futuro, a riempirlo dellapresenza di Dio, a scoprine la presenza nelle donne e negli uomini che incontriamo ogni giorno. Manoi pensiamo mai che in ognuno, in ogni uomo e ogni donna, è impressa l’immagine e la somiglianza di Dio? E quindi, quando li incontriamo, siamo chiamati a fare emergere quellapresenza perché solo così ciascuno potrà scoprire il bene in sé e negli altri, e quindi iniziare a fare ilbene. Anna, dice il Vangelo, che, “sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio eparlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”. Quando noi parliamo congli altri, sappiamo far trasparire nelle nostre parole e nei gesti la luce del bambino di Betlemme,l’atteso delle genti? Oppure ripetiamo noi stessi, magari con un fare lamentoso, pieno di giudizi e discarsa speranza? Eppure, nel cuore di tutti c’è sempre l’attesa di una luce, di una buona notizia inuna società che sa solo diffondere cattive notizie, che condivide la violenza come fosse normale?Sorelle e fratelli, il Signore ha bisogno di noi, di voi, di una rinnovata passione per la missioneche vi ha affidato all’inizio della vostra consacrazione e che oggi rinnovate. Accogliamo questoinvito come un nuovo inizio. Non possiamo solo ripetere noi stessi. Il mondo è troppo buio e ilSignore nostra luce si affida a noi perché illuminiamo il cammino degli altri, dai piccoli aglianziani, dai poveri ai ricchi, dai credenti a chi dice di non credere. Nessuno è solo. Siamo pellegrinidi speranza insieme. Il nostro essere pellegrini si fa insieme, insieme alle nostre comunità, ma anchealle donne e agli uomini di questa terra, così piena di bellezze ma anche di tante sofferenze esolitudini, a volte umiliata, inquinata non solo nell’aria e nelle acque, ma nel cuore di chi la abita,rendendo buia la vita di tanti. La paura non si vince con la durezza e l’arroganza. La paura puòliberare energie di bene solo con la pazienza dell’amore, che è incontro, ascolto, amicizia,condivisione. Siate dunque tutti profeti di speranza!