L’omelia del vescovo Ambrogio per il 50° di ordinazione sacerdotale

7 Aprile 2025

L’omelia del vescovo Ambrogio per il 50° di ordinazione sacerdotale

Fratelli e sorelle, “è bello e dà gioia che i fratelli siano insieme”, recita il Salmo. Sì, è bello per me  essere qui con voi a rendere grazie al Signore per i cinquant’anni dalla mia ordinazione sacerdotale. Grazie per la vostra presenza così numerosa e fraterna. Saluto il vescovo Giorgio, arcivescovo di Foggia, che è stato con me i primi anni a Frosinone, il padre Abate Loreto e la comunità monastica di Casamari, che ci ospita sempre con benevolenza. Saluto voi, cari sacerdoti, diaconi, consacrate e consacrati, e tutti voi, sorelle e fratelli, parte preziosa del popolo di Dio delle Diocesi che il papa mi ha affidato. Mi sento davvero parte di questo popolo di donne e uomini che nella loro vita e nei loro diversi impegni nelle nostre comunità e associazioni laicali desiderano costruire un mondo in cui si possa vivere insieme, con gli altri e per gli altri, con la preghiera, l’amicizia, la cura, soprattutto dei poveri e dei fragili, ma anche degli anziani e dei giovani. Ho visto seminare in questi anni tanto bene, tanto amore, tanta gratuità nel servizio, anche nei momenti difficili come gli anni del Covid o in questo tempo, in cui crescono le difficoltà nella vita quotidiana e anche la solitudine. Vi ringrazio di cuore. Ringrazio il prefetto e le autorità civili e militari, che sono qui, con cui abbiamo sempre cercato di contribuire insieme al bene di tutti. Come Chiesa non ci siamo mai tirati indietro nel contribuire alla crescita umana e sociale di questa terra, benedetta da Dio per le sue bellezze, ma anche tanto deturpata dall’affarismo e dagli opportunismi, a volte senza visione e con un pensiero corto. Premettetemi infine di salutare alcuni amici della Comunità di Sant’Egidio di Roma, che fin da diacono e poi da sacerdote mi ha aiutato a vivere la Parola di Dio a partire dalle periferie della città. Grazie di essere qui.

    La Parola di Dio ci guida sempre a riscoprire il senso della grazia e della benevolenza di Dio, che tutto può cambiare anche nei tempi difficili, come era quello di Israele esiliato a cui si rivolge il profeta: “Non pensate più alle cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia; non ve ne accorgete?” Sorelle e fratelli, a volte siamo ancorati al passato e tristi nel presente, un po’ senza futuro. La Parola di Dio ci risveglia a una speranza vera, umana, gioiosa, vivibile. Se ascolti il Signore che ti parla, tutto può cambiare, perché è anzitutto Dio che ti cambia, ti rinnova, ti offre una nuova strada su cui camminare, quella del bene, della giustizia, della pace, della cura degli altri, di cui il mondo ha estremamente bisogno in questo tempo di tante guerre, di troppo odio, rivalità, di io che camminano senza gli altri, con la testa bassa, oppure pronti a giudicare e a condannare, tanto per sentirsi migliori.

   Gesù sa quanto è facile vivere per se stessi, ma conosce anche la nostra fragilità, il nostro peccato, il bisogno di amore e di salvezza. Lo mostra a quella donna adultera, che gli portano davanti per essere giudicata e condannata, come voleva la legge. Per due volte, di fronte alle parole degli accusatori, Gesù si china e scrive per terra. Sì, Gesù si abbassa, si umilia, si assume il peso del peccato del mondo, per poi alzarsi e indicare la via della vita e della resurrezione, del perdono di Dio che salva da tutti i peccati e dalla morte definitiva. Così, in quel gesto di scrivere per terra ci sono i nomi di quando ci allontaniamo dal Signore, perché solo il perdono di Dio farà scrivere quei nomi nel cielo per vivere sempre con lui. Il Signore non è venuto infatti per condannare, ma perché tutti, ascoltando la sua parola, possano vivere la gioia del Vangelo, la bellezza di una fraternità che rende popolo e ci fa vivere nel bene, nell’amore per tutti, soprattutto per i poveri e gli ultimi.

    Ho gustato la gioia di essere popolo con voi in tutti questi anni, soprattutto da quando abbiamo accolto l’invito di papa Francesco all’assemblea della Chiesa italiana a Firenze nel 2015, che ha chiesto di riflettere sulla Evangelii gaudium. Da allora lo abbiamo fatto senza interruzione, aprendo le porta delle nostre comunità a tutti, offrendo a molti, anche a chi non frequentava abitualmente la Chiesa, la possibilità di ascoltarsi, riflettere insieme, condividere il proprio tempo con chi aveva bisogno. Grazie a tutti quelli che si sono impegnati e hanno tenuto vivo fino ad oggi questo modo di essere Chiesa, un “noi” di persone che, nella ricchezza della loro differenza, camminano insieme e si aiutano, rendendo la casa di Dio non un élite di prescelti che se la giocano tra loro sentendosi migliori e giudicando gli altri, ma un luogo dove tutti possono trovare accoglienza e amicizia, cura e condivisione, e soprattutto possono trovare il Signore e gustare la speranza di vita e di bene della sua Parola e del pane di vita eterna nella Santa Liturgia e nei sacramenti della Chiesa.

   Nel Giubileo corriamo allora come pellegrini di speranza, come ci suggerisce l’Apostolo Paolo. Nessuno, tanto meno io anche dopo 50 anni di sacerdozio, è arrivato alla perfezione, cioè a una vita ripiena della presenza di Dio. Ma tutti corriamo perché il Vangelo sia luce in questo tempo buio, pieno di paure e di solitudini, di pessimismo e di tristezza! Sì, non c’è tempo da perdere attorno a se stessi. Il mondo ha bisogno di questa speranza che viene dalla luce di Dio, che irradia perdono e amore, fraternità e pace. Ne hanno bisogno in Ucraina, in Terra Santa, e ovunque la guerra continua a umiliare e uccidere. Ne hanno bisogno anche le donne e gli uomini di questa terra, che devono trovare in noi la luce e lo sguardo amorevole e accogliente di Dio, che aiuta e salva. Affidiamoci l’un l’altro all’amore del Padre, perché camminando insieme con Gesù, nostro Maestro e Signore, possiamo vivere da fratelli e sorelle, seme di quel popolo universale, senza confini, inclusivo per amore, che renda possibile un mondo più umano, più giusto, più pacifico. Mentre rendo grazie con voi al Signore per il dono ricevuto di essere al servizio della Chiesa come sacerdote e vescovo, mi affido al Signore anche per le vostre pregherie, perché possa continuare a servirlo con umiltà, generosità e saggezza.    

Omelia pronunciata il 6 aprile 2025, abbazia di Casamari

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