“Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie. Sono le parole che nel profeta Isaia, pronunciate in un tempo buio a un popolo in esilio, dopo una guerra che aveva distrutto Gerusalemme e reso povera quella terra. Sì, la violenza, la guerra, le tante ingiustizie rendono buia la
vita. Eppure noi già da più di un mese camminiamo nelle nostre città circondati da tante luci. Potremmo dire: ma dov’è tutto questo buio? Cari amici, il buio è ovunque, soprattutto nei cuori e nelle menti, ma ci si illude di essere nella luce; così si preferisce non pensarci, perché il buio ha sempre messo paura. Chi di noi non ha avuto paura del buio soprattutto da piccolo? Il buio circonda i luoghi di dolore e di solitudine: gli istituti abitati da anziani spesso soli, le campagne dei lavoratori sfruttati, i campi profughi dove migliaia di persone vivono di stenti, le periferie delle grandi città, le strade e le stazioni dei Paesi ricchi abitate da centinaia di senza fissa dimora, le discariche di grandi città dell’Africa e dell’Asia percorse da povera gente che si arrangia per sopravvivere, i Paesi martoriati dalla guerra, dalla violenza del narcotraffico, da gruppi armati assoldati da ricchi padroni o depredati dallo sfruttamento delle risorse.
Chiediamoci: dove nascerebbe oggi Gesù? Forse non toccherebbe a uno di questi luoghi, come gli toccò la mangiatoia di Betlemme?
E poi: dove sono i piedi di quel messaggero che annuncia la pace in un mondo di
guerre? E quel è la sua buona notizia? Vale anche per noi? Si, proprio oggi riceviamo
la buona notizia, che può essere un nuovo inizio per noi e per il mondo: “Il Verbo – la
Parola di Dio – si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi; noi abbiamo
contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno
di grazia e di verità”. Davvero una buona notizia, una speranza per l’umanità: quella
Parola antica di Dio che, come abbiamo ascoltato nella Lettera agli Ebrei, “molte
volte e in molti modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti,
ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”. Gesù parla a noi
da quella mangiatoria di Betlemme. Ci parla come povero senza casa, come
viandante che non ha trovato un luogo ospitale, come bambino bisognoso di cura e
amore. In lui vediamo la sofferenza, il dolore, la solitudine di tanti uomini e donne,
esclusi da un mondo ingiusto e violento. Eppure, ci furono alcuni che accorsero da
lui, attorno a Maria e Giuseppe: dei pastori e dei Magi d’oriente. Gente diversa,
poveri e ricchi. Per tutti è possibile andare da lui. Ma si deve ascoltare la voce
dell’angelo, il messaggero di Dio, per poter uscire dal proprio mondo di sempre, dalle
proprie faccende e da quell’abitudine a non avere mai tempo se non per se stessi,
poco tempo per ascoltare gli altri e per non farsi guidare solo dal proprio istinto o
dalle emozioni. Da quella mangiatoia viene la luce, viene la speranza di un Dio bambino in mezzo a noi, che illumina il buio e ti fa camminare con lui verso gli altri per essere con loro.
Vai allora! Come i pastori lascia il tuo gregge, il tuo possesso, quello che sembra
darti il necessario e la felicità. Lasciati guidare dalla stella, la luce di Dio, che ti porta
verso la mangiatoria di Gesù, venuto a condividere la nostra vita, il dolore, la fatica,
le paure, per darti la gioia di essere davanti a lui, per seguirlo, ascoltarlo, fare parte
della sua famiglia senza confini. Con lui comincerai a incontrare gli altri, il loro
dolore e la loro speranza, la loro tristezza e le loro attese, la loro debolezza e il loro
bisogno. Li ascolterai con lui, e con lui cominceranno a far parte di una famiglia
larga, la famiglia di Dio, il popolo delle nostre comunità, dove ci sarà posto per tutti,
a cominciare dai poveri e dagli esclusi. E noi con loro saremo segno di quella
fraternità che rende amici, felici di essere insieme, condividendo la nostra vita nella
solidarietà e nell’amore reciproco.
Oggi, dopo il tempo di avvento, abbiamo di nuovo cantato il Gloria, il canto di lode
dell’esercito celeste, un esercito la cui forza non è in armi che uccidono, ma nella vita
che viene da Dio e che si esprime nel cantare la sua lode e non la nostra, come di
consueto in un mondo di donne e uomini abituati a lodare se stessi, a farsi lodare e a
dispiacersi se qualcuno non lo fa. Sono belle e piene di speranza le parole di questo
inno che cantiamo così spesso: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace
agli uomini amati dal Signore”. Pensate: la gloria di Dio è la pace sulla terra, quando
noi siamo capaci di costruirla e di aiutare gli altri a viverla. Cantiamo allora la sua
gloria, che di solito viene cantata per chi vince una guerra. Ecco la speranza del
Natale, sorelle e fratelli: viviamo in pace, ovunque siamo costruiamo la pace con
Gesù, così renderemo gloria a Dio riconoscendolo “principe della pace”, amante della
vita, nostro unico Signore e Maestro. Grazie, Signore, perché torni in mezzo a noi per
renderci famiglia di Dio, sorelle e fratelli perché figli del Padre tuo, luce di vita e di
speranza per l’umanità.
Il Giubileo, a cui papa Francesco ha dato inizio ieri aprendo la porta Santa di San
Pietro e che noi apriremo nella nostra diocesi domenica in questa Cattedrale, sia
davvero la buona notizia che nella nascita di Gesù ci accompagnerà in tutto
quest’anno, donandoci la felicità di essere donne e uomini di pace, solidali, amici,
fratelli e sorelle, pellegrini di speranza. Come ha detto Francesco: “A noi, tutti, il
dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita,
nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella
stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto,
nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza. Portare speranza lì, seminare speranza lì. Il Giubileo si apre perché a tutti sia donata la speranza, la speranza del Vangelo, la speranza dell’amore, la speranza del perdono”.