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L’intervento del vescovo Spreafico alla cerimonia per la memoria della deportazione degli Ebrei di Roma

16 Ottobre 2024

L’intervento del vescovo Spreafico alla cerimonia per la memoria della deportazione degli Ebrei di Roma

La Comunità di Sant’Egidio e la Comunità Ebraica di Roma hanno promosso anche quest’anno una memoria della deportazione degli ebrei di Roma, compiuta dai nazisti il 16 ottobre 1943.

Furono in 1.024 ad essere strappati dalle loro case e deportati ad Auschwitz: ne tornarono solo 16. La ferita inferta al tessuto della città è stata profonda e ci richiama all’importanza di un impegno contro ogni forma di antisemitismo e di razzismo.

La commemorazione pubblica si è tenuta alla vigilia dell’anniversario del tragico evento, il 15 ottobre alle ore 19.45, proprio nel luogo in cui avvenne, al Portico d’Ottavia, nel cuore del quartiere ebraico di Roma, che oggi ha preso il nome di Largo 16 ottobre 1943. (il link per rivedere il video completo)
https://www.santegidio.org/pageID/30284/langID/it/itemID/58953/La-memoria-della-deportazione-degli-ebrei-romani.html

Alla commemorazione sono intervenuti: il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, il Presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità ebraica di Roma, Victor Fadlun, il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi e il vescovo di Anagni-Alatri e Frosinone-Veroli-Ferentino mons. Ambrogio Spreafico.

Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’intervento del vescovo Ambrogio:
Clicca qui per scaricare il pdf

Il recente incontro internazionale delle religioni per la pace che Sant’Egidio ha promosso a Parigi aveva come titolo, Immaginare la pace. E’ una speranza coltivata dai profeti pur in mezzo a ingiustizie e guerre e che ci conduce questa sera a continuare a crederlo con voi, sapendo che è un sogno che le Sacre Scritture ebraiche ci propongono tante volte.
Qui ogni anno noi ricordiamo quanto l’odio per l’altro possa condurre a una violenza e a una crudeltà così cruda, che non riesce più a vedere nell’altro, e allora era l’ebreo, considerato dall’ideologia nazista e fascista indegno di essere parte della cosiddetta umanità dei puri, una donna e un uomo, semplicemente un essere umano come te, uno creato a immagine e somiglianza di Dio, come recita così bene l’inizio di Bereshit. L’odio cresce e la barbarie della violenza lo fa crescere.
Allora nessuno ebbe pietà, perché l’odio toglie ogni residuo di pietà e rende l’Altro solo un nemico da sconfiggere ed eliminare. Erano uomini, donne, bambini, vecchi, malati. Che importa. Nessuno di loro aveva diritto di continuare a vivere. La loro memoria oggi deve rimanere un monito in un mondo in cui rigurgiti di antisemitismo e di razzismo diventano sempre più frequenti e rendono a volte persino pericoloso mostrarsi con la propria identità religiosa o etnica che sia.
È stato recentemente tradotto in italiano un documento dei vescovi francesi, “Decostruire l’antigiudaismo cristiano”. È un segno ulteriore che mostra come la Chiesa Cattolica, dal Concilio Vaticano II, si è impegnata perché l’antigiudaismo, che tanto ha segnato la cultura cristiana, sia eliminato. La “decostruzione”, che compie questo documento, evidenzia un passato con convincimenti non più condivisibili, ma anche un rinnovato impegno della Chiesa cattolica per riscoprire le radici ebraiche della sua fede e per stabilire un dialogo fraterno con il popolo ebraico.
Esso dovrebbe preservarci dall’accondiscendere al clima di odio e di violenza che respiriamo, in cui
l’antisemitismo e l’antigiudaismo sono così cresciuti soprattutto dopo la strage compiuta da Hamas
nel sud di Israele e la conseguente risposta di Israele. Dovrebbe altresì aiutarci a rinnovare quell’alleanza di amore e di pace, che sola porta alla vita e che, nella nostra diversità, e insieme nella comune appartenenza alla famiglia umana, tutti siamo chiamati a custodire e a testimoniare “spalla a spalla”, come dice il profeta (Sofonia 3,9). Scrive un sapiente ebraico: “Per guarire dalla violenza potenziale verso l’Altro devo essere capace di immaginarmi come l’Altro”. Questo è anche immaginare la pace spalla a spalla.
Cari amici della Comunità ebraica di Roma, a cui ci lega una salda e antica amicizia, sento l’urgenza di un impegno comune in questa direzione. Vorrei attingere alle vostre Scritture per dire che oggi abbiamo bisogno di condividere quel Tiqqun ‘olam, “quella riparazione del mondo”, così necessaria e urgente. Bisogna fare qualcosa al mondo che non solo ripari i suoi danni ma anche che lo migliori, preparando il suo accesso allo stato ultimo per il quale esso fu creato, quell’armonia delle differenze che solo può rendere possibile una convivenza pacifica e umana e un futuro all’umanità. C’è molto dolore e molta distruzione da riparare, molto odio da raddrizzare, un linguaggio parlato e scritto da eliminare, molta violenza da combattere con le armi insostituibili della mitezza e di un dialogo pacificatore. Di questo spirito ne ha bisogno questa città, ne ha bisogno il mondo, ne hanno bisogno le relazioni sociali, per riparare quei danni dell’io che con arroganza non sa ascoltare e dialogare.
Sono stato nel mese di luglio a Betlemme, Gerusalemme e Tel Aviv con una delegazione europea
della Comunità di Sant’Egidio. Ho incontrato alcune famiglie dei rapiti del 7 ottobre. Abbiamo
condiviso il dolore di tutte le parti. Il dolore ci accomuna e ci chiede un impegno perché si torni a
dialogare, perché Israele possa vivere in sicurezza e pace e ci sia pace per tutti.

+ Ambrogio Spreafico

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