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Il vescovo alla veglia ecumenica: «La “compassione” rende la vita possibile»

17 Gennaio 2024

Il vescovo alla veglia ecumenica: «La “compassione” rende la vita possibile»

La domanda del maestro della Torà, la Legge, era molto importante, direi una domanda legittima che esprime un desiderio di bene, di eternità, cioè di qualcosa che non finisce, che va persino oltre la nostra esistenza terrena. Noi, il mondo, siamo pieni di domande di questo genere. Tuttavia molte volte preferiamo non porle, non farle, soprattutto a Gesù, perché preferiamo rimanere come siamo, non essere disturbati, non essere messi in discussione. Gesù accoglie quelle domande e non risponde come avrebbe potuto, ma vuole dialogare con quell’uomo saggio. Così fa anche con noi. La sua Parola non si impone, ma è frutto di un dialogo, di domande a cui rispondere.  Così avvenne per quel saggio, che rispose ripetendo il grande e unico comandamento, che racchiude in sé tutta la legge. Non si accontenta tuttavia dell’apprezzamento del Signore, e vuole continuare a capire: “Chi è il mio prossimo?”.

Conosciamo bene la parabola del Buon Samaritano. Chi fu il prossimo di quell’uomo mezzo morto lasciato sul bordo della strada? Tutti e tre videro quell’uomo, ma uno solo si fermò. Eppure erano uomini religiosi, un sacerdote e un addetto al tempio.

Cari amici, non basta essere frequentatori della casa di Dio per vivere secondo la sua parola e non secondo noi stessi. Noi vediamo tante immagini di donne e uomini mezzi morti o eliminati dall’odio, dalla violenza, dalla guerra, dall’abbandono della nostra società a volte crudele e disumana. Certo vediamo. Ma poi le immagini passano e si dileguano. Anche noi spesso passiamo oltre, dall’altra parte, scansiamo il dolore di quelle immagini. Chi si ricorda Cutro? Chi si ferma davanti alle immagini di morte, di guerra, di distruzione? E quante volte passiamo oltre il dolore e la solitudine di un’anziana sola o malata, che avrebbe bisogno di qualcuno che si accorga di lei, prima che muoia e venga trovata a casa magari dopo mesi?

Che cosa cambia la sorte segnata di quell’uomo mezzo morto? Si legge: “Un samaritano, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide, e ne ebbe compassione. Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò”. La “compassione”, sentimento attribuito solo a Gesù nel Vangelo, cambia la scelta di quell’uomo che passava di là per caso e non aveva nulla a che fare con quel poveretto.

Cari fratelli e sorelle, la “compassione”, la scelta di immedesimarsi nella condizione dell’altro, chiunque sia, ma soprattutto in chi è nel dolore, chi è ferito dalla vita, rende la vita possibile, perché fa avvicinare, si fa cura, medicina. Ma non può fare tutto il samaritano. Tuttavia lo porta in un luogo dove qualcun altro possa continuare a prendersi cura di lui. Queste locande sono le nostre comunità. Nessuno riesce a far tutto da solo per gli altri, né per i poveri. Abbiamo bisogno di essere nel “noi” delle nostre comunità, che, come ha detto papa Francesco, dovrebbero essere come “ospedali da campo”. Allora capiamo la domanda di Gesù, che rovescia quella di quel saggio. Chi è il mio prossimo? Per scoprirlo devi “farti prossimo” altrimenti non lo capirai mai! Nella prossimità verso il bisogno degli altri sono certo che affretteremo il tempo dell’unità piena tra i discepoli di  Gesù, di cui il mondo ha tanto bisogno. Allora quel saggio del Vangelo rispose molto bene al Signore: “Quello che ha avuto misericordia (e non “compassione”, come traduce la Bibbia) di lui”. La misericordia, infatti, è la compassione diventata il nostro modo di vivere con gli altri. Facciamo come quell’uomo, se vogliamo costruire un mondo fraterno, dove ci sia posto per tutti, a cominciare dagli ultimi e dai poveri. Questa scelta ci renderà più uniti, un “noi” nel rispetto delle nostre diversità e aiuterà la pace nel mondo. “Chiese sorelle, popoli fratelli”, diceva Atenagora, patriarca di Costantinopoli, lui che aveva incontrato papa Paolo VI a Gerusalemme dopo secoli di distanza.

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