Il vescovo tra i pazienti dell’ospedale di Alatri: «L’amore è la medicina della vita»

14 Febbraio 2025

Il vescovo tra i pazienti dell’ospedale di Alatri: «L’amore è la medicina della vita»

In occasione della Giornata del malato, mercoledì 12 febbraio il vescovo Ambrogio Spreafico ha presieduto la Messa nella cappella dell’ospedale di Alatri, concelebrata dal cappellano ospedaliero, don Alessandro Tannous, e dal diacono Giovanni Straccamore, alla presenza di numerosi pazienti, dei loro familiari, di medici, paramedici e amministrativi del nosocomio, di alcuni malati seguiti dall’Unitalsi, con la presidente di sezione Paola Pietrobono, e di alcuni ospiti della cooperativa “Ia ia oh” di Fiuggi, con il responsabile Piergiorgio Ballini, e con il servizio all’altare delle suore ospedaliere della Misericordia. Nel corso dell’omelia, monsignor Spreafico si è subito riallacciato alla Madonna di Lourdes, la cui statua è presente nella cappella dell’ospedale, per ricordare quel “pentitevi” che disse a Bernadette:  «Ma noi siamo in un mondo in cui non si pente più nessuno, ognuno invece urla per avere ragione sull’altro, e ci fosse una volta che chiede scusa, mai uno che dice “mi dispiace, ho sbagliato”, in un mondo in cui tutti si credono giusti. Però quel “pentitevi” non è una punizione, ma è un modo di vivere di uomini e donne che con saggezza sanno che sono peccatori come tutti, perché ognuno di noi uomo è fragile e  talvolta non segue quello che il Signore ci dice e che ci aiuta a vivere, ma segue piuttosto se stesso. Ma quando uno si crede chissà chi, allora la vita non funziona».

E qui il vescovo di Anagni-Alatri si è ricollegato al Giubileo, ricordandone anche le origini anagnine con la Bolla del primo di questi eventi emanata da papa Bonifacio VIII nel 1300: «Il Giubileo è un grande dono, una grazia, perché anzitutto è perdono. E quando una persona lo riceve, anzitutto deve avere la coscienza che ne ha bisogno, quel riconoscere che senza il Signore, senza gli altri, non viviamo bene insieme. Ma oggi c’è troppa  prepotenza e poi si litiga e ci lamentiamo sempre degli altri. Il problema resta il cuore, il modo in cui uno vede gli altri: questo oggi ci impedisce di essere amici».

Non a caso, ha rimarcato Spreafico, la Messa inizia con la richiesta di perdono «e i peccatori, se riconoscono di essere tali, possono cambiare e contribuire a costruire un mondo migliore, più umano, meno guerrigliero. Anche noi possiamo fare molto, e ce lo spiega Maria, giovane donna che fece l’unica cosa giusta da fare: ascoltò Dio che le parlava». Il vescovo si è quindi rifatto al brano del Vangelo di Giovanni annunciato poco prima, sulle nozze di Cana: «Quando finisce il vino, Maria si rivolge a Gesù e sa che esaudirà la preghiera, e allora dice ai servi: qualunque cosa vi dice fatela. E allora noi chi siamo? Siamo i servi, dobbiamo ascoltare quello che ci dice Gesù, perché se tu lo ascolti avviene il miracolo, quello che hai devi portarlo davanti a Gesù, come quegli invitati portarono le anfore piene di acqua. Questo vuol dire che ognuno di noi comunque ha qualcosa, magari solo un’anfora piena di acqua, ma se tu le cose che hai le condividi, quelle si trasformano, ed ecco il miracolo. Condividere, anche se sembra poco: anche se è poco, una parola a una persona che ha bisogno, un sorriso a uno che ha sempre la faccia triste, una carezza a un anziano che sta male, una visita a un bisognoso, un gesto di solidarietà verso una povera famiglia o chi vive per strada, guardare con simpatia uno straniero o un immigrato senza giudicarlo. E’ qui che avviene il miracolo. Noi abbiamo bisogno di rendere la vita di tutti bella, dobbiamo essere buoni, gentili, prenderci cura degli altri, aiutare chi soffre. Siamo chiamati a dare quel poco che ognuno di noi ha agli altri e questo renderà la vita di ognuno più umana».

Monsignor Spreafico ha quindi concluso ricordando che «la medicina della vita, oltre a quella che cura i malanni,  è anzitutto la condivisione dell’amore: una medicina che guarisce l’anima e il cuore, perché tutti possano vivere come fratelli e sorelle». Al termine, dopo un pensiero di ulteriore vicinanza e affetto ai malati e ai loro parenti e a quanti lavorano in ospedale, è stata impartita l’unzione degli infermi.

Igor Traboni

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