Segue il testo dell’omelia del Vescovo Mons. Ambrogio Spreafico
nella celebrazione per l’inaugurazione dell’anno accademico 2024/25
del Pontificio Collegio Leoniano – Anagni 23 ottobre 2024
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Fratelli e sorelle,
iniziamo questo nuovo anno davanti al Signore, per nutrirci cella sua Parola, pane di vita eterna. Abbiamo bisogno di ritrovarci insieme davanti a lui, per ricentrare la nostra vita, per riscoprire la gioia e la bellezza di essere cristiani, di vivere il senso di essere popolo, comunità, non tanti io che camminano da soli pur essendo con gli altri. L’apostolo Paolo ci trasmette sempre il grande dono di essere comunità, di vivere la gioia dell’unità e della fraternità, quel mistero di cui anche le genti sono diventate partecipi, condividendo la “stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”. Egli si sente partecipe di questa grazia, che è annunciare “alle genti le impermeabili ricchezze di Cristo”. Se c’è una resistenza nel tempo in cui siamo riguarda proprio la condivisione della gioia di essere comunità, popolo riunito dalla Spirito Santo come segno dell’unità di tutto il genere umano”, come dice il Concilio. Il mondo ci abitua all’io, ad essere concentrati su di sé, i propri bisogni, le proprie esigenze, emozioni, paure, e via di seguito. Siamo in un mondo in cui gustare la forza di essere “corpo di Cristo”, uniti dal suo amore per noi, è diventato quasi una richiesta troppo difficile.
Nella parabola che abbiamo ascoltato Gesù parla di un padrone, che ha bisogno di amministratori che si facciano custodi della sua casa. Noi tutti, in modi diversi, siamo chiamati a custodire la casa di Dio, le nostre comunità, anche questo luogo dove molti di voi vivono. Essere amministratori non vuol dire essere padroni. Poco prima il Signore aveva parlato dell’inganno della ricchezza e del possesso, perché “la vita non dipende dal possesso”. Il mondo abitua al possesso. La violenza e le guerre sono spesso frutto della smania di possesso di beni, terre, ricchezze altrui. Ma anche la vita quotidiana è costellata di un modo di vivere in cui possedere beni, esibirli, usarli mettendoli in mostra (pensate a chi sfreccia per le strade con macchine enormi per esibirsi o ci semplicemente vuole qualcosa perché è di moda! Si comincia già da piccoli a pretendere per esibirsi e non essere da meno degli altri). Non è spontaneo essere amministratori, o, come aveva detto proco prima Gesù, servi. Molti vogliono essere solo padroni! Questa è una grande tentazioni anche degli uomini e delle donne di chiesa e riguarda anche le nostre comunità. Possedere, sentirsi padroni, magari solo di una chiave o di un incarico, invece di essere al servizio. Da qui nascono giudizi, gelosie, irritazioni, persino rivalità.
Così a volte si perde il senso di essere al servizio di una casa dove l’unico signore a maestro è il Signore. Quindi si perde anche il senso dell’attesa, della vigilanza. Ma si deve vigilare, perché la casa che noi abitiamo come cristiani è per tutti, è per una famiglia che deve sentirsi accolta, amata, rispettata nelle sue diversità. Sorelle e fratelli, “a chiunque fu dato molto, molto più sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. Molto ci è stato dato a cominciare dalla vita e da quanto ciascuno di noi ha ricevuto negli anni della sua crescita, ma anche molto ci è stato “affidato”. L’evangelista si riferisce qui a quanto il Signore ci ha affidato come discepoli del Signore dal battesimo in poi nella vita della Chiesa. Bisogna avere sempre la consapevolezza di quanto abbiamo ricevuto e di quanto ci è stato affidato. Solo questa consapevolezza ci aiuterà ad essere non padroni, ma servi, pronti a restituire quanto abbiamo ricevuto. Vivere la vita come restituzione di qualcosa che abbiamo ricevuto libera il cuore e la mente dall’ossessione del possesso, dei beni, dell’esibizione. Rende umili e quindi sempre vigilanti, perché bisognosi di accogliere il Signore nella nostra vita e di condividere con gli altri quanto abbiamo ricevuto. Con questa consapevolezza sapremo costruire un mondo fraterno, comunità accoglienti, non chiuse nei propri riti e nelle proprie conventicole di uguali, che finiscono per escludere, per giudicare e disprezzare gli altri. Quante esclusioni umiliano la grazia di un Vangelo che, come dice Paolo, è grazia per tutti. Cari amici, condividiamo la grazia e la gioia di un Vangelo che ci è stato affidato e che può avvicinare tutti a un modo di vivere fraterno e amico in un mondo che esclude e discrimina, in cui i poveri sono spesso dimenticati, gli stranieri esclusi e respinti, i giovani non ascoltati, gli anziani lasciati soli e ghettizzati. Quanta miseria ci tocca vedere! Quanta ingiustizia! Non assecondiamo mai questa mentalità che sta rendendo l’umanità più povera e violenta. Siamo portatori qui e nei luoghi che ci vedono vivere e operare della grazia e del dono che abbiamo ricevuto e che ci è stato affidato, perché sia comunicato con gioia e passione. La cultura che qui viene comunicata sia la via per allargare la vostra mente e il vostro cuore al mondo in cui siamo, perché la cultura deve sempre parlare al tempo in cui viene comunicata, come la fede deve diventare ogni volta cultura del vivere, altrimenti sarà sterile ripetizione. Il Signore ci aiuti, la Vergine Santa e i patroni delle nostre comunità, che affidiamo al Signore, ci proteggano e ci portiano sempre verso il Signore e intercedano perché il mondo ritrovi la via della pace e della fraternità.
+ Ambrogio Spreafico