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Assemblea Ecclesiale 2024, intervento del vescovo Ambrogio: “Vivere da cristiani in un cambiamento d’epoca”

5 Ottobre 2024

Assemblea Ecclesiale 2024, intervento del vescovo Ambrogio: “Vivere da cristiani in un cambiamento d’epoca”

Segue il testo completo del Vescovo Mons. Ambrosio Spreafico dal titolo 
Vivere da Cristiani in un cambiamento d’epoca“
Clicca qui per scaricare il pdf

Non vorrei aggiungere molte cose a quanto già ascoltato dal prof. Pasquale Bua. Vorrei solo
offrivi alcuni spunti che arricchiscono quanto da lui detto. Il cambiamento d’epoca in cui siamo
esige che anche noi cambiamo. Spesso viviamo come se fossimo in un antico palazzo che ha le sue
crepe e rischia di crollare, senza che nessuno cerchi di pensare a metterci mano. Si continua facendo
le stesse cose, come se niente fosse. Così ripetiamo concetti, verità, schemi, devozioni, pratiche
religiose, facendo fatica a capire che quello che abbiamo detto fino a ieri oggi forse solo pochi lo
capiscono, e soprattutto pochi lo credono utile per la loro vita; quindi, ciò che diciamo e facciamo
rischia di essere inefficace, di non provocare la necessaria crescita umana e spirituale, di non dare
inizio a un cambiamento, perché di questo ha bisogno il mondo. Mi chiedo ad esempio:
nell’itinerario di iniziazione cristiana quanto entri nell’umanità di coloro che noi incontriamo ogni
settimana per quattro anni tanto da incidere sulle loro parole, pensieri, abitudini, scelte? O ci
limitiamo a credere che basta insegnare la dottrina per preparare una persona a incontrarsi con il
Signore Gesù ed essere rivestito della sua umanità? Certo, abbiamo bisogno di formazione, di
preparazione. Questo è indubbio. Ma poi bisogna essere capaci di far diventare la nostra
preparazione capace di suscitare negli altri, pensieri, sentimenti, parole, atteggiamenti, che siano
informati dall’incontro con il Signore Gesù attraverso di noi. Questa è la domanda: quanto la Parola
di Dio è diventata l’alfabeto della nostra umanità che parla attraverso di noi?
La Parola di Dio, che leggiamo e ascoltiamo, dovrebbe infatti diventare parte della nostra
umanità, aiutarci a rileggere la storia, gli avvenimenti, a immaginare il futuro per generare speranza,
visioni, sogni, capaci di guidare le donne e gli uomini verso un futuro dove si possa vivere insieme
in modo fraterno e pacifico. Non possiamo accettare il dominio della violenza né l’assuefazione alla
guerra considerata ormai un fatto normale. Siamo chiamati a costruire con pazienza e saggezza un
mondo fraterno, di cui le nostre comunità dovrebbero essere un modello, da condividere senza
escludere nessuno, senza giudicare, senza sentirci migliori, difendendo noi stessi con paura. Il
mondo non è pieno di nemici, ma semplicemente abitato da donne e uomini bisognosi di ascolto e
di amore. Il Giubileo della speranza, che condivideremo con tutta la Chiesa a partire dal Natale di
questo anno, dovrebbe essere la porta di speranza che ci fa sussultare, che ci risveglia a un di più di
vita, di gioia, di amore, da diffondere attorno a noi per la crescita di un’umanità ferita dalla violenza
e dalla guerra, ma anche da tanto bisogno di pace e di salvezza. Il Signore Gesù, Parola eterna del
Padre, ce ne renda testimoni.

Ascoltare, vedere, ripetere, imitare, servire, comunicare


Vorrei suggerire alcuni atteggiamenti che ci possono aiutare nel nostro essere discepoli di Gesù
nella realtà in cui siamo, comunicando la gioia e la speranza della vita cristiana. Li riassumo in
alcuni verbi:

  • Ascoltare. La fede nasce dall’ascolto, dice l’apostolo Paolo (Rm 10,17). Ascoltare è
    l’atteggiamento fondamentale di ogni discepolo di Gesù anzitutto davanti al Signore, ma
    anche di fronte a tutti coloro che si incontrano lungo le loro giornate. Infatti, siamo in un
    mondo dove l’ascolto è diventato difficile. Si ha sempre da fare. Si ha sempre fretta. I social
    media poi abituano a non parlare, quindi a non ascoltare. Soprattutto non si ascoltano i
    giovani e gli anziani. I primi perché anch’essi faticano a parlare e a raccontare, imbrigliati
    spesso in chat che non aiutano la relazione e che quindi abituano a non ascoltarsi. Gli
    anziani perché sono spesso soli e sembrano a volte ripetitivi nel loro parlare. Così si trattano
    velocemente, senza la pazienza di ascoltarli nel loro bisogno di raccontare o semplicemente
    di avere qualcuno che stia con loro. Ma la mancanza di ascolto rende la vita di tutti più
    difficile, più chiusa, le relazioni rarefatte e povere di quell’umanità che cresce nella capacità
    di dialogare e di ascoltare il punto di vita dell’altro. Ogni comunità, civile o religiosa che
    sia, senza ascolto non crescerà mai né sarà capace di accogliere altri.
  • Vedere. Lo sguardo nella Bibbia ha una funzione essenziale. E’ anzitutto Dio che vede e,
    vedendo il suo popolo e l’umanità, se ne prende cura. Dio “guardò la condizione degli
    Israeliti; Dio se ne diede pensiero” (Esodo 2,25). Gesù “vide una grande folla, ebbe
    compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore” (Marco 6,34). Cosa vediamo
    ogni giorno? Vediamo la gente che ci circonda con lo stesso sguardo di Gesù e la sua
    preoccupazione oppure guardiamo spesso gli altri con un giudizio scontato? Vediamo la
    solitudine e la sofferenza degli anziani, le domande e lo smarrimento dei giovani, l’egoismo
    e la violenza delle guerre e dei cuori, la domanda di aiuto dei tanti cercatori di senso e di
    amore? La comunicazione della gioia del Vangelo può avvenire solo se si impara a vedere il
    bisogno nostro e del mondo. Senza questo sguardo saremo irretiti dalla ripetizione di noi
    stessi e di quello che abbiamo sempre fatto. Solo uno sguardo continuo verso l’altro ci
    aiuterà ad essere donne e uomini che cercano risposte che aiutano e fanno crescere.
  • Ripetere. Esiste una ripetizione che fa crescere la vita. La comprensione passa anche
    attraverso la ripetizione. La lettura della Bibbia, di racconti o parabole, aiuta a fissare il
    messaggio, a renderlo nostro e quindi a comunicarlo, perché diventa il linguaggio delle
    nostre parole e del cuore. Nelle prime comunità cristiane, immerse in un mondo pagano, il
    Vangelo era trasmesso oralmente, per ripetizione, prima di essere fissato per iscritto. Non


dovremmo riscoprire l’immediatezza e l’entusiasmo di quei primi testimoni della fede? C’è
anche un altro momento della vita cristiana in cui la ripetizione è essenziale. “Fate questo in
memoria di me”; nella Santa Messa noi ripetiamo le parole ed i gesti dell’ultima cena, ma
anche, nell’arco del calendario liturgico, sentiamo il bisogno di proclamare e di ascoltare le
stesse pagine della Bibbia. Certo, la liturgia non è una ripetizione stanca e scontata di
formule, da subire distratti o frettolosi. Essa esprime il cuore stesso della nostra fede: “Ogni
volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte o
Signore, proclamiamo la tua Resurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Ripetere, in questo
caso, non è solo celebrare un evento lontano nella storia, ma rendere attuale e viva la
presenza di Dio, che cammina con noi. Per questo occorre celebrarla con cura e con gioia,
trovare bravi lettori, ministranti, scegliere canti a cui l’assemblea possa unirsi.

  • Imitare. Ascoltare, vedere, ripetere, porta a imitare. Il modello da imitare è innanzitutto
    Gesù. Ma Paolo chiede alle sue comunità di farsi suoi imitatori. “Vi esorto dunque, fatevi
    miei imitatori”, dice nella 1 Corinzi (4,16). Egli è colui che ha generato i Corinzi alla fede
    mediante l’annuncio del Vangelo. Per questo i Corinzi lo devono imitare. L’Apostolo è in
    qualche modo la forma vivente del Vangelo. È inutile nasconderci la responsabilità che ci
    viene consegnata come uomini e donne che hanno il compito di comunicare la parola di Dio
    e che quindi devono porsi come modello di un’umanità segnata dalla Parola di Dio e dal suo
    amore. Gli altri, incontrandoci, dovrebbero stupirsi della nostra umanità segnata da quella di
    Gesù, e quindi esserne attratti.
  • Servire. Troppo spesso si pensa che il servizio agli altri sia appannaggio della Caritas. In
    realtà servire è la caratteristica del cristiano, tanto che la “carità”, l’amore, è una delle tre
    virtù teologali, fede, speranza e carità. “Servire” implica la ricerca quotidiana non di ciò che
    mi piace fare per gli altri, ma ciò di cui c’è bisogno. Ognuno di noi è al servizio della realtà
    in cui vive la sua vita cristiana, ma tutti siamo chiamati a metterci al servizio dei poveri, in
    cui Gesù stesso si è identificato e su cui saremo giudicati (Matteo 25,31-46). Ognuno è
    chiamato a trovare il tempo e la possibilità di essere al loro servizio. Se in Italia le statistiche
    dicono che il volontariato è in diminuzione, questo ci deve interrogare. Nessuno di noi è
    senza impegni. Tutti abbiamo i nostri doveri da compiere ogni giorno. Ma si deve ricordare
    che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20,35). A volte la tristezza e
    l’insoddisfazione sono conseguenza di una vita chiusa nella ricerca del proprio interesse,
    poco generosa, solidale, sempre stanca e lamentosa. Fare il bene libera il cuore, alleggerisce
    i propri pesi, ci fa chinare sul bisogno degli altri e ci rende felici nel dare con gratuità. Credo
    che ognuno lo abbia provato quando si è reso disponibile a dare una mano a un altro, magari si è solo fermato ad ascoltare la domanda di aiuto o la confidenza di qualcuno. A volte assomigliamo a quella generazione a cui si rivolge Gesù: “A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: ‘Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto’. È venuto Giovanni, che non mangia e non beve e dicono: ‘È indemoniato’. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia a beve, e dicono: ‘Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicano e peccatori’. Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie” (Matteo 11,16-19). Sembra a volte che non vada mai bene niente, perché tutto viene riportato ai propri sentimenti, alle proprie emozioni, al proprio stato d’animo, a se stessi. Così ci si muove tra insoddisfazione e rabbia, senza avere quella di gioia di chi vive con umiltà e passione il proprio essere donne e uomini ripieni dello spirito di Dio, che rende felici nel dare più che nel ricevere. Infine, anche la preghiera è un servizio prezioso ed essenziale che tutti possono realizzare, un servizio ad esempio alla pace nel mondo, a quell’unità e quella comunione di amore che rende sorelle e fratelli. Attraverso la preghiera si apre la possibilità di portare davanti a Dio il mondo dei poveri e di uscire da tante paure di fronte alla realtà. La preghiera libera il cuore per gli altri, perché lo raccorda al cuore di Dio.
  • Comunicare. Il cristiano maturo è anche colui che comunica il Vangelo. Si dice spesso che
    la Chiesa è per essenza missionaria. Essere missionari è innanzitutto annunciare il Vangelo,
    comunicarlo con la propria testimonianza di vita, con l’ascolto e le parole. Non si può
    sempre stare in silenzio, quando sentiamo parole violente e di giudizio. Non si può sempre
    tacere quando qualcuno si permette di condividere, magari sulla rete, insulti e parole
    violente. Non si può sempre tacere davanti al male nelle sue diverse espressioni. Penso al
    dilagare della droga anche tra i giovani (che seguono ovviamente l’esempio degli adulti!),
    dell’uso dell’alcol senza limiti, alle risse e alla violenza anche nelle nostre città. Non
    possiamo rimanere indifferenti o silenziosi, mentre si continua a inquinare e danneggiare
    l’ambiente, la nostra bella terra, come ho ricordato quest’estate riguardo agli incendi.
    Potrebbe essere un canale di dialogo e di ascolto dei più giovani, che, talvolta, hanno
    sviluppato una sensibilità maggiore della nostra su questo tema. Non abbiamo paura di
    comunicare il Vangelo ai giovani, troviamo forme e modi nuovi, stando loro vicino, perché
    le parole “Chiesa in uscita” non rimangano solo uno slogan. Il Vangelo si annuncia
    comunicando in maniera semplice quanto uno vive seguendo Gesù, assumendosi la
    responsabilità quotidiana di essere portatore del Vangelo della pace e dell’amore in un
    mondo violento ed egoista.


La vita cristiana è vita che deve essere portatrice di umanità compassionevole, gentile, capace di
ascoltare, di accogliere, di prendersi cura di tutti senza escludere nessuno. Dialogo e amore vanno di
pari passo. Solo così si potrà costruire un mondo fraterno a pacifico. Benevolenza non significa
tuttavia restare in silenzio davanti al male, anzi significa vivere l’autorevolezza di Gesù che seppe
discutere e contrastare il male facendo il bene e indicandone la via. In una società di tante solitudini
e inimicizie, la Chiesa e le nostre comunità sono custodi, pur con i nostri limiti e il nostro peccato,
di un tesoro di comunione e di unità di cui dobbiamo essere consapevoli. L’unità e la comunione del
nostro popolo, che si manifesta in modo visibile attorno alla mensa della Parola e del pane di vita
eterna nella celebrazione della Liturgia Eucaristica della domenica, sia il segno di ciò che siamo e
dobbiamo essere nella vita di ogni giorno. Da lì traiamo forza e speranza, vigore e amore. Da lì
possiamo mostrare al mondo, con umiltà e spirito di servizio, che si può vivere da sorelle e fratelli
nella diversità di ognuno. Iddio onnipotente e misericordioso ci renda sempre tali e ci mantenga
nell’unità di amore attorno al suo Figlio unigenito, nostro Signore e Maestro.

Fiuggi 5 ottobre 2024
Ambrogio Spreafico

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