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Cammino sinodale e parrocchia: la nuova Lettera pastorale del vescovo Lorenzo

19 Dicembre 2023

Cammino sinodale e parrocchia: la nuova Lettera pastorale del vescovo Lorenzo

Cammino sinodale e Parrocchia

Vivere di fede e di ascolto cordiale in una stagione difficile

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 Carissimi,

 

nel passaggio da settembre a ottobre, abbiamo potuto usufruire di alcuni apporti per niente trascurabili dal punto di vista della fede e del nostro cammino di Chiesa. Mi riferisco all’Assemblea annuale di Fiuggi (23 e 24 settembre u.s.) su “Parrocchia e cammino sinodale” e alla Liturgia della Parola della prima Domenica di ottobre (XXVII del Tempo Ordinario/C).

Lampada ai miei passi è la Tua Parola, luce sul mio cammino” (Sal 118,105).

In effetti dalla Parola di Dio di Domenica 2 ottobre sprigiona una luce straordinaria per i passi incerti del nostro viaggio in questa stagione complessa e avara di soddisfazioni. L’assemblea di Fiuggi, d’altro canto, con i suoi Relatori, ci ha offerto degli in-put molto concreti per il prosieguo del cammino sinodale, soprattutto nella parrocchia, che è lo “spazio” (e l’esperienza di Chiesa) più vicino e congeniale ad una discreta quota di cristiani.

 

Fino a quando? Perché?

 

La Parola della XXVII Domenica del TO/C ci offre la possibilità di inquadrare in termini di fede, e di una fede robusta, i giorni che stiamo attraversando, resi pesanti dalla pandemia, dalla guerra, dalla crisi energetica ed economica, dall’inflazione che galoppa, con la soglia della povertà ormai intravista da un numero maggiore di famiglie che non in passato …

La prima lettura, un testo del profeta Abacuc, sembra scritta oggi (Ab 1,2-3; 2,2-4). Ci presenta il lamento del profeta che rimprovera a Dio il suo silenzio e la sua assenza di fronte alla violenza, all’ingiustizia e all’oppressione dei deboli dovuta a guerre e a grossi sconvolgimenti sociali e politici. Abacuc lamenta soprattutto il fatto che ogni suo grido di preghiera sembra cadere nel vuoto. Il brano fa seguire una risposta di Dio. Eccolo:

Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti a me rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese.

      Il Signore rispose e mi disse: «Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà. Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede».

Abacuc è ciascuno di noi quando sgrana gli occhi, stupiti, su una realtà non proprio piacevole. Abacuc siamo tutti noi quando restiamo sbalorditi, sgomenti, frastornati, quasi increduli davanti a certi spettacoli piuttosto deprimenti, ad un panorama fatto di prepotenza, violenza, ingiustizia, vigliaccheria, indifferenza, episodi e situazioni che non sono tali da accrescere la serenità. Abacuc, in versione attuale, nelle proprie preghiere, sventola davanti a Dio la pagina di un giornale qualsiasi, che documenta i fatti più atroci e disumani. Porta davanti a Dio la sua indignazione quasi a forzarlo a uscire dal Suo silenzio. “Fino a quando?”, cioè “Non ne posso più”. “Perché?”, cioè “Non ci capisco niente”. Dio “risponde”, ma non stabilisce una data precisa. La sua promessa ha una scadenza che sarà onorata. L’appuntamento, allora, è con la speranza, non con un giorno fissato chiaramente sulla nostra agenda. Aver fede implica non venir meno, resistere allo sconforto durante un’attesa interminabile.

Soccombe chi non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede”.

Dio non delude coloro che si fidano. Dio “arriva” unicamente per colui che vive di fiduciosa attesa. E non si smentisce … Purchè sia la nostra fede a non smentirsi.

Il discorso sulla fede costituisce il nucleo centrale anche del Vangelo (Lc 17,5-10). Poco prima Gesù ai suoi amici aveva raccomandato una capacità di perdono senza limiti. E allora capiamo la loro richiesta: “Accresci la nostra fede!”. Una fede piccola quanto un granellino di senape compie cose impossibili, ma essa deve indossare l’abito della fatica. Leggiamo la pagine del Vangelo di Luca che termina con l’immagine di un servo operoso che riempie la sua giornata di lavoro:

In quel tempo gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

                Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?

            Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (17,5-10).

Questa parabola va letta dalla parte del servo, e non del padrone. Il Signore, ovviamente, non si identifica con questo signorotto indisponente e arrogante. Il punto saliente è l’atteggiamento del servo che lavora con impegno, amore e umiltà. E, dopo tutto il lavoro compiuto, riconosce di aver compiuto semplicemente il suo dovere. Il rapporto con Dio è all’insegna della gratuità. C’è bisogno non tanto di “servi”, ma di “servi inutili”, di umili faticatori che mettano a disposizione di Dio una schiena da piegare e un bel sorriso che impedisca loro di smarrire il senso delle proporzioni. Aggiungo solo che l’espressione “servi inutili” non significa che non contano niente. La parola greca usata significa servi “che non cercano l’utile”, l’interesse e il tornaconto.

Dai due testi presi in considerazione proviene una spinta non indifferente alla nostra stanchezza e alla lentezza provocata dalla sfiducia. Davanti a tanti grossi interrogativi, che mettono in crisi, provocati da situazioni insostenibili, l’unica risposta adeguata rimane la fede come credito illimitato nei riguardi di Dio e un servizio che non vanti pretese. Negli ultimi anni, negli ultimi mesi fino ad oggi, abbiamo dovuto affrontare tanti problemi difficili e delicati con un forte carico di ansia e smarrimento. Molti di noi si sono chiesti il perché di tanta sofferenza, di tante ingiustizie, del fatto che Dio sembra assente e non interviene. La tentazione è stata ed è quella di dare risposte affrettate o vaghe o troppo sicure ai nostri “perché”.

La Parola ci convince che solo la fede nella promessa di Dio, che diventa speranza e responsabilità vissuta, riesce almeno in parte a spiegare o a farci accettare con una certa serenità questo mistero della vita. Anche il non capire, il non vedere, fa parte della nostra esistenza, della nostra condizione di limite. Ciò non dispensa dall’impegno nella ricerca di una chiarezza maggiore per una fede che diventi ugualmente dedizione al piano di Dio, anche se tanti suoi elementi rimangono oscuri.

 

I cantieri di Betania.

 

E proprio di una speranza coraggiosa, di una fede robusta e di una capacità di servizio umile e disinteressato hanno bisogno le nostre parrocchie per dare ulteriore impulso al cammino sinodale in una responsabilità più condivisa e in una capacità di ascolto più ampia e profonda. Il Concilio ha disegnato la Chiesa come un popolo in cammino. E le nostre comunità cristiane devono tendere ad essere il cammino di un popolo, e non solo di pochi “addetti ai lavori”. Le esperienze sinodali del primo anno occorre siano ampliate e approfondite. Il cammino d’insieme deve farci crescere nell’arte dell’incontro e dell’ascolto reciproco, dell’ascoltare “la Parola di Dio insieme alle parole degli altri”, come direbbe Papa Francesco. Il secondo anno del cammino sinodale sta muovendo i passi nella prospettiva de “I cantieri di Betania” pensati a partire dall’incontro di Gesù con Marta e Maria nella casa di Betania (Lc 10,38-42). Nei gruppi sinodali delle nostre Chiese sono risuonate continuamente parole come cammino, accoglienza, ospitalità, ascolto, servizio, casa, relazioni, condivisione … che hanno fatto intravvedere la Chiesa (e le parrocchie) come “case di Betania”, aperte a tutti. Allora:

il cantiere della strada e del villaggio potrebbe aiutare le nostre comunità a far crescere l’ascolto dei diversi “mondi” in cui i cristiani si trovano a vivere;

il cantiere della casa e dell’ospitalità (Marta) può permettere una messa a punto delle relazioni comunitarie e del rapporto tra la fraternità e la missione, non trascurando le strutture di corresponsabilità e di partecipazione;

il cantiere delle diaconie e del servizio (Maria) dirige l’attenzione alla formazione spirituale e al radicamento dei servizi sull’ascolto della Parola di Dio.

 

Fare un po’ meno, ma fare tutti.

 

Provo a guardare più da vicino le nostre parrocchie, a formulare alcune proposte e ad offrire qualche piccolo suggerimento.

 

  1. Al centro di ogni comunità cristiana ci deve essere la Parola, l’Eucaristia e la Coscienza di ogni essere umano da servire nel suo rapporto con la Parola. Due linee di lavoro e di impegno dovrebbero funzionare discretamente:
    • quella della educazione e della formazione alla fede, privilegiando giovani e adulti;
    • quella della carità e della solidarietà verso tutte le ferite, le sofferenze e le povertà di persone e famiglie.
  2. E’ essenziale, comunque, in questo momento che in ogni parrocchia o serie di parrocchie ci sia “un gruppo sinodale”, “un tavolo di lavoro”, “uno spazio di discernimento”, “un Consiglio pastorale”, che dia una valutazione del tempo e della realtà e si metta in atteggiamento di ascolto di Dio, delle persone che incrociano la parrocchia, del territorio e di tutti coloro che sono in ricerca.
  3. La prima domanda a cui dovrebbero cercare si rispondere le persone che danno vita a questo “punto-luce” di valutazione della realtà è la seguente:

Stiamo camminando insieme? Come possiamo farlo di più e meglio?”

Inoltre, in ogni comunità cristiana ci dovrebbe essere un cartello con una scritta: “Qui si viene per incontrare Gesù Cristo e per essere più vicini a Lui e tra di noi”.

Di conseguenza un’altra griglia di domande a cui rispondere potrebbe essere la seguente:

Cosa favorisce l’incontro con il Signore e tra di noi nella vita della nostra comunità?”.

Che cosa lo ostacola o lo rallenta?”

Cosa manca alla nostra parrocchia di essenziale per la crescita del Regno?”.

A seconda delle risposte, diventa necessario: potenziare quello che funziona, togliere ciò che ostacola e introdurre quello che manca.

  1. Faccio rapidamente qualche esempio di “buone pratiche” per migliorare il tono e l’andamento della vita comunitaria:
    • migliorare la celebrazione della Messa della Domenica …
    • introdurre o migliorare la “lectio divina” …
    • introdurre la celebrazione della Liturgia delle Ore (Lodi e Vespri);
    • aiutare di più le famiglie ad essere “chiesa domestica”, soprattutto nella preghiera (lo abbiamo fatto durante il loock-down, perché non proseguire?);
    • seguire di più le famiglie giovani nell’educazione alla fede dei bambini;
    • aumentare il numero di adulti che potrebbero accompagnare le famiglie nei loro momenti di fragilità;
    • fare un po’ meno, ma fare tutti … specialmente nel campo della solidarietà e del servizio alle fragilità …

 

Mi avvio alla conclusione non senza aver prima ringraziato dal più profondo del cuore la Dottoressa Chiara Griffini e S. E. Mons. Luigi Vari per la passione, la pazienza e la competenza con cui hanno animato le giornate della nostra Assemblea annuale di Fiuggi.

A tutti dico che fare le cose insieme è un modo di camminare insieme: non lavorare per gli altri, ma con gli altri. Dobbiamo restituire slancio e creatività alla nostra vita parrocchiale uscendo dalla logica del “s’è sempre fatto così, tanto le persone non partecipano”. Occorre più fiducia nel superare anche atteggiamenti clericali e gerarchici che scoraggiano e deresponsabilizzano le persone. Il miracolo del cammino sinodale è proprio questo: essersi presi del tempo per incontrarsi con il Signore e tra noi. Vivere di ospitalità in una stagione poco propizia significa attraversarla nell’attenzione e nella responsabilità solidale, trasformandola in tempo di benedizione.

A tutti buon cammino

 

Anagni, 11 ottobre 2022

Memoria di San Giovanni XXIII

60° anniversario d’inizio del Concilio Vaticano II

+ Lorenzo, vescovo

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