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Omelia di San Sisto 2020

15 Aprile 2020

Omelia di San Sisto 2020

15 aprile 2020 – Alatri, Concattedrale

Festa di San Sisto I, Papa e Martire Letture

: At 3,1-10 Eb 13,7-20 Lc 24,13-35 “Alzo gli occhi verso i monti:

da dove mi verrà l’aiuto?

Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra” (Sal 120,1-2)

E’ uno dei Salmi che accompagnavano i pellegrini che salivano verso il tempio di Gerusalemme. Sono parole di fiducia nei riguardi di Dio che è “nascosto” e spesso sembra dormire nell’ora della prova. Colui che ha risuscitato Gesù Cristo dalla morte è il nostro custode e non ci tradirà lasciandoci soli. In questo momento in cui tutta l’umanità è squassata dalla tempesta del Coronavirus e mille dubbi, ansie, preoccupazioni e paure sembrano travolgerci, da chi ci dobbiamo aspettare un aiuto? Da Dio, attraverso la scienza medica e la ricerca, dalla solidarietà e da una responsabilità assunta in pieno e decisamene condivisa. L’Amore non sopporta che i suoi figli siano inghiottiti per sempre dalla morte e che, soprattutto, siano travolti dalla disperazione. Dio continua a compiere i miracoli mediante l’opera dell’uomo per l’intercessione dei Santi. Oggi è il quarto giorno dell’Ottava di Pasqua: Cristo è risorto ed è vivo; è a fianco a noi e ci vuole vivi. Celebriamo la festa di San Sisto I, Papa e Martire nella luce pasquale e nella gioia di avere un futuro di vita. Dall’11 gennaio 1132, cioè dal giorno in cui le spoglie di San Sisto sono arrivate ad Alatri, è iniziata la storia di una bella amicizia tra gli abitanti di questa Città e il Patrono. Le vicende civili e religiose di Alatri hanno sempre trovato un contrappunto nella devozione profonda dei suoi abitanti verso il sesto successore di San Pietro da cui, soprattutto nei momenti di difficoltà, hanno ottenuto custodia e protezione. E’ così anche oggi. “Il nostro aiuto viene dal Signore” che ci custodisce attraverso i suoi Santi. Le pagine bibliche di oggi ci parlano della vittoria di Dio nella risurrezione del Crocifisso. Cristo, morto per amore, non poteva essere trattenuto più di tanto dalla morte. La Pasqua è la vittoria decisiva, anche se non definitiva di Dio sul male e sulla morte: “Morte e vita si sono scontrate in uno spaventoso duello. Il Signore della vita era morto. Ma, ora, vivo, trionfa”. Il Vangelo ci parla del Vivente che accompagna la speranza morta dei due viandanti di Emmaus in un cammino di risurrezione. La prima lettura ci presenta la forza della risurrezione all’opera nella storia. Dopo aver conquistato a fatica la fede, gli amici di Gesù continuano la sua opera di liberazione guarendo uno storpio alla Porta Bella del Tempio. La seconda lettura aggiunge che, nella ricerca della città futura, la carità e la comunione sono degli elementi irrinunciabili. Il vero culto è quello che parte dai “sacrifici” rituali ma sfocia nella vita e si celebra sulle strade e negli ambienti che frequentiamo. Da queste tre pagine bibliche raccolgo alcune indicazioni di non poco conto per la nostra fede. San Sisto ci è andato avanti nel viverle. Il testo degli Atti degli Apostoli ci racconta un miracolo e ci fa persuasi di come la missione liberatrice di Gesù continui in quella dei Suoi amici. Il Tempio era ancora una grandezza presente nella vita dei discepoli. Pietro e Giovanni vi si dirigono per la preghiera e incontrano uno storpio che chiede l’elemosina alla Porta Bella. Con uno sguardo, una parola e un gesto lo guariscono nel nome e con la forza di Cristo risorto. Pietro e Giovanni possono dare una mano al Signore per compiere il miracolo perché realizzano le condizioni chieste da Gesù per la missione. Il prodigio avviene perché, prima di tutto, sono in due, come indicato da Gesù che inviava i discepoli due a due (cfr Lc 10,1). Due testimoni dello stesso fatto erano più credibili. Inoltre, la prima testimonianza da dare era quella dell’amore reciproco. Inoltre, senza comunione non si annuncia il Vangelo. Essere in comunione è l’“arma” segreta dell’evangelizzazione, l’asso nella manica della Chiesa, l’esorcismo più potente contro il male. Gesù chiedeva ai missionari di avere un bagaglio leggero. D’altronde, nella vita, se abbiamo accanto qualcuno che ci vuole bene, di cos’altro possiamo aver bisogno? Inoltre Pietro e Giovanni non hanno “né argento né oro”. Il gesto di guarigione passa attraverso il discepolo spoglio di ogni potenza umana per riporre la sua fiducia esclusivamente nel Nome del Signore. Il vuoto di sé e di ogni sicurezza può, allora, essere riempito dal Nome che solo compie prodigi. Un Nome che è al di sopra di ogni altro nome e che non solo raddrizza lo storpio ma, permettendogli di camminare ed entrare nel Tempio, lo reintegra pienamente nel suo popolo restituendogli una dignità piena. Altri suggerimenti per la nostra fede li colgo nell’episodio dei due discepoli di Emmaus e nella compagnia di Gesù che li aiuta a passare dalla cecità alla luce, dal disconoscimento al riconoscimento, dalle dimissioni alla missione, dalla fuga al ritorno all’interno della comunità. Dopo la liturgia della strada, nella quale Gesù si fa raccontare la Sua morte e in cui i due discepoli prendono atto del naufragio del loro sogno e del fallimento della loro speranza, con la liturgia della Parola Gesù spiega loro le Scritture e come tutto il piano di Dio abbia potuto trovare il compimento nella Pasqua, in cui la Croce non era un incidente, ma la pienezza dell’amore. Con la Parola Gesù scalda il loro cuore: “Non ci bruciava, forse, il cuore mentre per via ci spiegava le Scritture?” (Lc 13,32). Infine la liturgia del Pane apre ai due amici gli occhi: “Lo riconobbero nello spezzare il pane” (Lc 13,31). La Parola accende il cuore, il Pane apre gli occhi. Parola e Pane cambiano il cammino, la direzione: “Partirono sen’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme” (Lc 24,33), nella comunità alla quale annunciano il Risorto. Quante suggestioni e quante luci di indicazione per la nostra fede! La fede, prima di tutto, non è “la religione delle bucce”. Non è un’avventura di basso profilo con delle estemporanee escursioni nei recinti del sacro (cinque minuti di preghiera, una piccola elemosina, una visita frettolosa ad un anziano solo …). Dio cerca persone innamorate e a tempo pieno: “Non hai voluto né sacrificio né offerta; un corpo, invece, mi hai preparato … Ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7). Soprattutto in questo momento bisogna aggiungere che la fede non è un’assicurazione contro gli infortuni della vita. La Croce di Gesù Cristo è la manifestazione suprema dell’Amore in un momento e in un luogo dove tutto era possibile immaginare e vedere meno che l’amore. La Croce è un passaggio necessario alla vita ed è la morte della morte. Perché è l’amore che uccide la morte. Dio non ci salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza. Non toglie gli ostacoli sul nostro cammino, ma ci dona tutto ciò che è necessario perché possiamo attraversare certi passaggi tortuosi e difficili da uomini e donne e da cristiani. La fede è un modo di vedere la vita, di stare davanti alla realtà con gli occhi di Gesù che ci fa “conoscere” il Padre e ci dona una coscienza alta di figli e figlie, di fratelli e sorelle. Dio non tradisce mai i suoi figli e li strappa dall’abbraccio velenoso della morte. Un’ultima indicazione vorrei che fosse nostra: l’annuncio del Vangelo non riguarda solo noi. Tutti hanno diritto alla gioia del Vangelo. Ma chi la possiede deve condividerla con tutti. La gioia dell’incontro con Cristo Risorto, che ci fa sentire amati, salvati, titolari di un tesoro di umanità e di vita, va condivisa. E diventa contagiosa quando traspare dal volto di una comunità cristiana che non si isola e non si piange addosso, ma risplende come “la locanda del Buon Samaritano”. La Chiesa non nasce e non cresce per proselitismo, ma per attrazione. Gesù invia i suoi discepoli e li invia “due a due”. Senza comunione non si annuncia il Vangelo. E la soglia per avvicinare gli uomini a Cristo e al mistero della Sua Pasqua è il volto di una comunità cristiana trasfigurata dalla gioia e dalla comunione fraterna. In passato le parrocchie erano luoghi di esercizio della fede posseduta e solida. Oggi devono diventare luoghi in cui si impara a credere, a pregare e a collaborare con tutti per rinnovare il mondo nel preparare una nuova generazione di credenti (educazione) e nel venire incontro alle fragilità e alle vulnerabilità (solidarietà). E questo soprattutto nel prossimo futuro in cui sarà più urgente la conversione personale e sociale per superare non solo l’emergenza sanitaria, ma anche quella economica, psicologica, sociale ed ecclesiale. + Lorenzo Loppa

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